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Quaresima: verso la libertà

Mer, 14/02/2024 - 07:00

Con il rito delle imposizioni delle Ceneri ha inizio un nuovo tempo di Quaresima, dono propizio della grazia di Dio in preparazione alla Pasqua di risurrezione e rinascita. Nel Messaggio per la Quaresima, il Santo Padre, papa Francesco, ci invita a ripercorre gli stessi passi del popolo d’Israele guidato da Mosè nella liberazione dalla schiavitù egizia e in cammino verso la Terra promessa.
Questo tempo favorevole diventa per tutti noi – ancora una volta ma con lo stupore e l’impegno della pria – un passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà. Riprendendo le parole del papa, riconosciamo che il tempo di grazia che ci viene donato, tempo di conversione e di rinnovamento, può essere interpretato con tre atteggiamenti specifici

Un tempo per riconoscere

«L’esodo dalla schiavitù alla libertà non è un cammino astratto. Affinché concreta sia anche la nostra Quaresima, il primo passo è voler vedere la realtà. Quando nel roveto ardente il Signore attirò Mosè e gli parlò, subito si rivelò come un Dio che vede e   ascolta» (papa Francesco).
Alcuni autori fanno derivare il termine “concreto” da cum crescere, “crescere insieme”, cioè tener conto della pluralità dei fattori che insieme costituiscono il processo di maturazione. Riconoscere nella gratitudine e nell’umiltà ciò che ci è stato affidato, i nostri talenti e anche le nostre fragilità, è il principale atteggiamento per poter fare i conti con la complessità della realtà ed avere uno sguardo che sappia tenere tutto insieme per poter costruire percorsi che accrescano in noi la fede, una fede che si concretizza nella chiamata alla vita del Signore. È Lui che ci ama per primo (cfr. 1 Gv 4,19) e ci affida il ministero della riconciliazione (cfr. 2 Cor 5,18) perché possiamo costruire una nuova fraternità superando disuguaglianze e incomprensioni.
La libertà, dunque, trova la sua ancora nella parola della Riconciliazione perché il dono dell’amore di Dio rifiorisca nei nostri cuori e ci dia la possibilità di riconoscere quei conflitti che interrompono i nostri percorsi di crescita: il conflitto con noi stessi, con le paure e le inconsistenze che ci portiamo dentro; il conflitto con gli altri, con la fatica di accogliere l’altro per ciò che è; il conflitto con Dio, con l’incapacità di riconoscerlo sempre Padre di misericordia. Nel conflitto noi riconosciamo il desiderio profondo di bene che portiamo nel cuore e ci apriamo alla speranza.

Un tempo per fermarsi

«Fermarsi in preghiera, per accogliere la Parola di Dio, e fermarsi come il Samaritano, in presenza del fratello ferito. L’amore di Dio e del prossimo è un unico amore. Non avere altri dèi è fermarsi alla presenza di Dio, presso la carne del prossimo. Per questo preghiera, elemosina e digiuno non sono tre esercizi indipendenti, ma un unico movimento di apertura, di svuotamento: fuori gli idoli che ci appesantiscono, via gli attaccamenti che ci imprigionano. Allora il cuore atrofizzato e isolato si risveglierà» (papa Francesco).
Il tempo quaresimale è il tempo contempl-attivo per eccellenza. Un tempo in cui rallentare, un tempo non fagocitato dai nostri molteplici impegni quotidiani, un tempo che ci dia del tempo per riflettere, meditare, gustare il dono della Parola. Un tempo in cui fermarsi per farsi accanto perché sicuramente ci sarà lì dinnanzi a noi un bisognoso del nostro tempo e di un ascolto profondo e generativo. Occorre fare spazio, lasciar andare ciò che è superfluo per far entrare realmente nella nostra storia l’A/altro.
Simon Weil direbbe che la Quaresima ci insegna «l’attesa, l’immobilità vigile e fedele che dura all’infinito e nessun evento può scuotere». Si tratta di un’attesa che in nell’apertura radicale all’altro diviene «la forma più rara e più pura di generosità».
La libertà si concretizza, così, nella Prossimità a Dio per diventare compagni di viaggio ai fratelli e alle sorelle che incontriamo sul nostro cammino e per donare loro le energie migliori della nostra esistenza.

Un tempo per ripensarsi

«La forma sinodale della Chiesa, che in questi anni stiamo riscoprendo e coltivando, suggerisce che la Quaresima sia anche tempo di decisioni comunitarie, di piccole e grandi scelte controcorrente, capaci di modificare la quotidianità delle persone e la vita di un quartiere: le abitudini negli acquisti, la cura del creato, l’inclusione di chi non è visto o è disprezzato» (papa Francesco).
Nell’annuncio fedele del Vangelo, la Chiesa continua a conformare i suoi figli alla Parola perché essi siano portatori nel mondo del messaggio evangelico, costruttori di una civiltà pienamente umana perché solidale e fraterna. In un tempo ancora segnato da guerre, divisioni (all’interno e fuori della Chiesa), individualismi caratterizzati dall’indifferenza sociale, bisogna correre il rischio della fedeltà al Vangelo e, quindi, il rischio dell’incomprensione e della sofferenza, della solitudine e della sconfitta. Si tratta del rischio del chicco di grano seminato nella terra fertile che porta alla morte per dare molto frutto (cfr. Gv 12,24). Il rischio evangelico, che ci viene raccontato anche nelle parabole, ci dice le modalità con cui Dio va alla ricerca dei suoi figli: parliamo di un rischio che conduce sempre alla gioia vera, la gioia di aver ritrovato il proprio figlio (cfr. Lc 15,32).
La libertà è Audacia e ci permette di raggiungere la terra promessa tutti insieme: è questo lo stile che dobbiamo acquisire per progettare insieme percorsi che diano alla nostra gente la percezione e la possibilità di condurre la propria vita verso una terra benedetta, in cui ciascuno può ritrovarsi da figlio amato e realizzare il proprio sogno di felicità.

La Riconciliazione, la Prossimità e l’Audacia diventino per tutti noi, in questa Quaresima e oltre, lo stile con cui abitare le nostre relazioni, le nostre scelte quotidiane e la modalità con cui testimoniamo il Vangelo della Risurrezione.

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Dottrina sociale: Give Me Five

Lun, 12/02/2024 - 07:00

Al via il secondo percorso estivo sulla Dottrina Sociale della Chiesa per i giovani under 35. Si terrà ad Assisi, presso la Domus Pacis, piazza Porziuncola, dal 22 al 26 luglio 2024. Tema: “Give me five- I cinque princìpi della Dottrina Sociale”. Promossa dalla Facoltà di Scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con l’Azione cattolica italiana, l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, la Caritas italiana, il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale (DSSUI) e la Fondazione Fratelli tutti, l’iniziativa alternerà momenti di riflessione, condivisione e preghiera.

Il percorso di quest’anno punta a fare della Dottrina Sociale un criterio di azione e di animazione ecclesiale, mettendo a disposizione di partecipanti le diverse competenze che provengono dagli enti organizzatori. A partire dal magistero di papa Francesco, si approfondiranno i seguenti princìpi: la dignità umana; la solidarietà per il bene comune; la sussidiarietà; la partecipazione; la destinazione universale dei beni.

Lectio e lezioni, discernimento e testimonianza

Il corso si aprirà il 22 luglio mattina con la Lectio a cura di don Antonio De Rosa di Caritas italiana. Seguiranno le lezioni su: La centralità della persona nella DSC di padre Francesco Occhetta, docente della Pontificia Università Gregoriana (PUG) e segretario generale della Fondazione Fratelli tutti; Dignità umana e diritti umani di Silvia Sinibaldi di Caritas italiana.
Nel pomeriggio: Palestra di discernimento a cura di Ettore Valzania, resp. eventi della Fondazione Fratelli tutti e F.S.P, e la Testimonianza di Francesca Di Maolo del Seraficum di Assisi.
Il 23 luglio mattina la Lectio a cura di suor Lorella Nucci di Caritas italiana. Seguiranno le lezioni su: La solidarietà nella DSC di don Sergio Massironi del DSSUI; «Il tutto è superiore alla parte»: il bene comune di Emilia Palladino, docente della Pontificia Università Gregoriana (PUG).
Nel pomeriggio: Palestra di discernimento a cura di Caritas italiana. La visita alla Basilica di san Francesco e la preghiera sulla tomba del “poverello”.

Sussidiarietà, partecipazione e bene comune

Il 24 luglio mattina la Lectio a cura di don Ivano Licinio del Progetto Policoro-Cei. Seguiranno le lezioni su: La sussidiarietà nella DSC di Emanuela Gitto, vicepresidente nazionale per il Settore giovani di Ac; La partecipazione nella vita sociale di don Bruno Bignami, direttore UNPSL-Cei.
Nel pomeriggio: Palestra di discernimento a cura del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e la Testimonianza di Stefania Proietti, sindaco di Assisi.
Il 25 luglio mattina la Lectio a cura di suor Pina Ester, alcantarina di Assisi. Seguiranno le lezioni su: La destinazione universale dei beni nella DSC di suor Alessandra Smerilli, segretaria del DSSUI; Economia ed ecologia integrale di Davide Maggi, economista e docente della Pontificia Università Gregoriana (PUG).
Nel pomeriggio Palestra di discernimento a cura di Domenico Smimmo del Progetto Policoro-Cei, e la Testimonianza della Cooperativa «Fratelli è possibile» di Rimini.
Il 26 luglio mattina Santa Messa presieduta dal cardinale Mauro Gambetti, presidente della Fondazione Fratelli tutti. Seguiranno le riflessioni e testimonianze conclusive.

Al termine del percorso ogni iscritto avrà un Attestato di partecipazione.

Per poter partecipare occorre:

Per l’iscrizione, avranno la precedenza i partecipanti fino a 35 anni di età.
L’iscrizione dovrà avvenire entro il 29 febbraio 2024 specificando Nome/Cognome/Età/Luogo di
nascita/Residenza/Diocesi di appartenenza/Ente all’indirizzo mail percorsoestivo@gmail.com
Il costo complessivo è di 300 euro (camera doppia o tripla), 400 euro (camera singola).
Chi desidera il riconoscimento dei crediti universitari della Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana dovrà fare l’immatricolazione presso la stessa Università. Versando la quota di 100 euro e contattando l’indirizzo mail decsoc@unigre.it (P. Peter Lah).
Il percorso si svolgerà presso la Domus Pacis, piazza Porziuncola, 1 – 06081 Assisi

Brochure del Percorso estivoDownload


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Compagni di strada di tutti

Ven, 09/02/2024 - 07:00

Ci saremo… perché essere insieme al Papa in piazza San Pietro il 25 aprile sarà bello, anzi bellissimo. Gli adulti saranno in piazza San Pietro il 25 aprile perché desiderano abitare quella bella piazza, e il mondo intero, con la consapevolezza che la loro presenza anche se discreta e accorta è fondamentale per sostenere il cammino dei fratelli di ogni fascia di età non solo nell’associazione ma nella vita di ogni giorno. Accompagnare tutti, tenendo per mano senza trattenere ma per man-tenere. Troppo spesso capita di percepire che l’adulto delega, specialmente ai più giovani, sia il fare che il pensare nelle nostre parrocchie e nelle nostre città. In piazza il 25 aprile diremo nuovamente che gli adulti di Ac vogliono farsi compagni di strada di tutti.

L’incontro e l’abbraccio

In questo periodo e con questo incontro desideriamo favorire il passaggio tra il triennio che va e quello che arriva. Senza dimenticare che per molti responsabili quello passato, a causa della pandemia, è stato un quadriennio con un anno aggiuntivo non tanto “pesante” per i giorni in più ma per lo sforzo di fantasia che è stato richiesto per inventare un’Ac che non aveva più a disposizione le sue caratteristiche principali: l’incontro e l’abbraccio. Ci siamo e ci saremo quindi per restituire a tutti la bellezza di stare insieme e di farlo a braccia aperte per accogliere e abbracciare. E con il tornare a trovarci suggelliamo questo dire che ci siamo come adulti nonostante le nostre fatiche. 

Nessuno si salva da solo

Ci siamo e ci saremo per tornare a riempire quella piazza che abbiamo veduto vuota e attraversata in solitaria dal Santo Padre quella sera del 27 marzo 2020 quando ci ha ricordato che siamo sulla stessa barca. E che nessuno si salva da solo.

In questo triennio su quella barca, insieme, abbiamo cercato di passare all’altra riva. E adesso vogliamo essere li per offrire a papa Francesco la nostra disponibilità a creare un “noi sempre più grande” nella collaborazione anche con tutte le realtà che camminano accanto a noi per vivere sempre più quello stile che il cammino sinodale ci sollecita ad assumere come unico modo per vivere oggi da cristiani nella Chiesa e nel mondo. E ci siamo e ci saremo in una data simbolica per il nostro Paese, quel 25 aprile che significa liberazione e libertà. Una liberazione che è stata frutto del sacrificio di tanti, anche di tanti soci dell’Azione cattolica che si sono opposti alla dittatura fascista e all’invasione nazista.

Ritrovarsi al culmine del cammino assembleare è per noi segno di un percorso che si chiude ma non finisce, perché continua nel rinnovo delle responsabilità. Ci permette di dire grazie a coloro che con il loro impegno hanno fatto bella la nostra associazione. E anche a chi da oggi si impegnerà perché una bella Ac possa rendere più bella la Chiesa e la aiuti a vivere nel mondo.

Noi ci saremo come adulti perché crediamo che questo passaggio di consegne sia una “festa” in cui non si scarica un peso ma si consegna un bel regalo. E tutti insieme vogliamo contribuire!

Perché saremo in piazza San Pietro

Siamo certi che gli adulti ci saranno perché in questo triennio abbiamo riscoperto un settore vivace e vitale, capace di mettersi in moto e di muoversi. Ce lo hanno dimostrato i più di mille animatori che hanno seguito il percorso di formazione Animaps. Siamo certi che il 25 aprile si faranno compagni di strada e arriveranno in piazza con gli adulti delle loro associazioni pronti a fare festa e a mettere in campo la loro passione ed energia. 

Gli adulti saranno in Piazza San Pietro il 25 aprile perché, anche se a volte nelle nostre comunità non sembra, gli adulti di Ac ci sono. Come ci sono anche i giovani adulti, persone che, pur nella precarietà e mobilità, vogliono stare nell’associazione e starci da protagonisti.

Ecco, rubando un po’ una parola chiave dell’Acr, come adulti di Ac ci siamo e ci saremo in piazza San Pietro col Papa il 25 aprile, perché siamo e saremo protagonisti nella nostra associazione, nella nostra Chiesa, nelle nostre città. 

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Vincitori Premio “Vittorio Bachelet” Edizione 2023

Gio, 08/02/2024 - 17:18

La Commissione, designata dal Consiglio Scientifico dell’Istituto Vittorio Bachelet, composta dal prof. Matteo Truffelli (presidente), dal prof. Umberto Ronga e dal Dott. Nicola La Sala, ha proceduto all’esame delle numerose tesi arrivate per l’edizione 2023 del Premio Bachelet.

Quest’anno sono risultati vincitori ex equo per completezza di documentazione, originalità e profondità di analisi critica:

Gabriele Di Girolamo con la tesi dal titolo I reati ministeriali e la «giustizia politica», Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Università di Bologna;

Abdurrahman Gad Elrab con la tesi dal titolo L’Islam in Italia: snodi critici tra bilateralità pattizia e tutela unilaterale, Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Università di Milano.

La premiazione si svolgerà Sabato 10 febbraio 2024 alle ore 12.30 a margine del XLIV Convegno Bachelet.

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Per una (r)esistenza democratica

Mer, 07/02/2024 - 07:00

A 44 anni di distanza Vittorio Bachelet ha ancora molto da dire alla “sua” Azione cattolica che guidò nella stagione della riforma collegata allo statuto del 1969 e ancor più all’Italia, il Paese che servì in quanto vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Rilanciare la sua testimonianza esemplare e declinare per l’oggi l’eredità dell’uomo, del credente, del servitore dello Stato è la vera missione del Convegno Bachelet Per una (r)esistenza democratica. Come si custodisce la democrazia (Roma, 9 e 10 febbraio).

Arriva alla 44 edizione senza aver mai lasciato passare un anno da quel terribile 12 febbraio 1980 in cui un commando delle Brigate Rosse assassinò Bachelet in un agguato sulla scalinata che porta alla sala professori della Facoltà di scienze politiche della Sapienza di Roma.

Come si custodisce una democrazia

In continuità con il 2023, anche quest’anno l’Istituto Bachelet – è nato in seno all’Azione cattolica italiana nel 1988 per contribuire a una formazione sociale e politica dei laici – ha scelto di mettere al centro dell’attenzione il tema della democrazia. Per una (r)esistenza democratica. Come si custodisce la democrazia è il titolo scelto per l’odierna edizione.

«Percorriamo un tornante della storia in cui certamente è necessario vigilare perché la democrazia continui ad esistere. Non possiamo viverla come un fatto scontato, instaurato una volta per tutte – spiega il presidente dell’Istituto Bachelet ed ex presidente nazionale di Ac, Franco Miano –. Osserviamo il disinteresse di ampie fasce della popolazione per la vita politica. Si esprime al massimo grado al momento elettorale in cui si registrano tassi di astensione che superano talvolta il 50 per cento degli aventi diritto. Tutto questo ci porta a impegnarci per un’opinione pubblica informata e consapevole. E per un corpo elettorale capace di pensiero critico e, di conseguenza, di scelte compiute a ragion veduta».

Democrazia e cammino sinodale

Parole da cui si evince la centralità dei mezzi di comunicazione, entrati in Italia in una crisi che oramai dura da decenni e non permette di intravvedere la luce in fondo al tunnel. Ma non è solo una questione di giornali, tv o informazione digitale. «È necessario tornare a coltivare i luoghi in cui si fa esperienza di democrazia nelle sue diverse espressioni fin da piccoli – riprende Miano –. Pensiamo in particolare alla scuola, all’università, al mondo del lavoro con il sindacato, al terzo settore animato da associazioni e cooperative che eleggono i propri organi rappresentativi. Ma pensiamo anche alla Chiesa che ha imboccato con decisione il cammino sinodale tuttora in corso».

Il programma

In gioco in questo convegno si pone anche l’attitudine democratica che da sempre caratterizza l’Ac, che in queste settimane vive il suo cammino assembleare che culminerà con l’incontro con papa Francesco il 25 aprile; e la diciottesima Assemblea nazionale nei giorni successivi.

In questo contesto si pone il dialogo del 9 febbraio tra il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano e mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Proprio nel corso di quest’anno, dal 3 al 7 luglio, a Trieste si terrà la 50 edizione della Settimana sociale dei cattolici italiani. E l’attenzione, anche in questo caso, sarà rivolta alla democrazia e, nello specifico Al cuore della democrazia.

«L’Azione Cattolica è da sempre pienamente coinvolta nell’organizzazione e nella promozione delle Settimane sociali – conferma il presidente dell’Istituto Bachelet –. Ci ritroviamo in piena sintonia nei temi e in particolare nell’accostarci alla democrazia non solo come a una delle possibili forme del vivere civile, ma come elemento sostanziale della nostra società».

Per questo l’introduzione al convegno, dello stesso Franco Miano, mette a fuoco Il metodo democratico come modo d’essere e come stile. Ecco l’università, la scuola e il lavoro nel confronto tra Carla Danan (Università di Macerata), Ludovica Mangiapanelli (vicesegretaria del Msac) e Vera Negri (Università di Bologna.

La seconda sessione mette invece a fuoco il pluralismo come elemento essenziale della democrazia. Le istituzioni e le autonomie locali, i centri di potere e i loro equilibri, economia e informazione, con gli interventi di Giusy Caminiti (sindaco di Villa San Giovanni), Stefano Ceccanti (costituzionalista), Monica Di Sisto (giornalista economica) e Marco Ferrando (vicedirettore di Avvenire). A chiudere il convegno la consegna del Premio “Vittorio Bachelet” per la migliore tesi di laurea del 2023.

Vittorio Bachelet parla alle nostre coscienze

«Vittorio Bachelet continua a parlare alle nostre coscienze oggi – conclude Franco Miano – e ci trasmette in particolare un messaggio di unità, in un momento storico in cui a tutti i livelli sembrano prevalere l’individualismo, l’autonomismo, la logica settaria dell’interesse particolare sul più ampio orizzonte del bene comune. Nell’Ac come nel Csm, Bachelet ha sempre saputo mettere insieme le persone, ascoltarle, valorizzare il loro pensiero, raggiungendo risultati solidi e duraturi nel tempo, e questa dote gli è stata riconosciuta unanimemente, anche da parte di chi non lo aveva votato. Di fronte alla tentazione della separazione, sulla sua scorta, possiamo impegnarci in una logica di unità».

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Il futuro delle “Afriche”

Mar, 06/02/2024 - 08:37

Il primo luogo comune da sfatare è l’esistenza stessa dell’Africa. Non è così, nonostante l’approccio comune occidentale alle sorti del continente culla della vita. Parliamo di un insieme di 54 Paesi, un miliardo e 450 milioni di abitanti, in vorticosa crescita, con un’età media di vent’anni. Eppure il Pil del continente è al palo, appena 2,8 trilioni di dollari (migliaia di miliardi) nel 2023. (scarica qui il pdf dell’articolo Il futuro delle “Afriche” su Segno nel mondo n. 1/2024).

Padre Giulio Albanese, comboniano, fondatore dell’agenzia giornalistica Misna, profondo conoscitore del continente, parla infatti di “Afriche” intervistato da Luca Bortoli per Segno nel mondo. «La verità è che l’altissimo tasso di conflittualità che riguarda molti degli Stati africani di fatto impedisce lo sviluppo. L’unico vero grande business che nelle Afriche non conosce recessione è quello delle armi. Nel continente non ci sono produttori, eppure è forse il luogo al mondo in cui la presenza di pistole e fucili è più diffusa e capillare».

Ogni area quindi ha caratteristiche politiche e sociali proprie. Tuttavia ci sono alcuni caratteri generali su cui vale la pena soffermarsi? 

Il vero problema è la debolezza degli Stati centrali, sia per quanto riguarda i governi sia per quel che concerne le pubbliche amministrazioni, per la poca preparazione e per l’inconsistenza dal punto di vista politico. Un problema endemico che deriva strettamente dal rapporto che i Paesi africani hanno da secoli con le Nazioni di altri continenti: una su tutte la Francia che nell’area storicamente di suo maggiore influsso ha avuto un fortissimo impatto sulla selezione della classe dirigente.

Se oggi Parigi sembra perdere terreno, altri attori si affacciano o sono già presenti sul territorio, come la brigata Wagner fondata dal russo Prigozin (secondo fonti ufficiali russe, morto nel conflitto russo-ucraino).

I mercenari sono attivi per lo più nelle zone in cui è forte la presenza dei terroristi jihadisti, ma la loro efficacia è tutta da comprovare. L’esempio paradigmatico è il Mali, dove la popolazione locale è vittima sia del terrorismo sia dei soprusi che ogni giorno compiono i mercenari.

In generale qual è l’atteggiamento con cui i Paesi sviluppati guardano all’Africa?

Purtroppo, nonostante molto sia cambiato dall’epoca colonialista, la verità è che l’interesse è tutto nel business e l’atteggiamento è tuttora predatorio e le motivazioni di carattere economico, principalmente per lo sfruttamento delle commodity, cioè delle materie prime, è un fattore di enorme conflittualità che, unito alla già citata debolezza dei governi centrali, rende pressoché impossibile il controllo del territorio e l’esercizio della giustizia.

Qual è il ruolo dell’Europa in tutto questo?

L’Europa non ha una sua politica, possiamo dire che è “la bella addormentata” della situazione. Vive delle politiche dei singoli stati, i quali non riescono a fare sistema. Oggi l’Italia presenta il “Piano Mattei”, che tra qualche settimana dovrebbe comprendere una serie di progetti, ma al momento ancora non ne conosciamo i contenuti. Le Afriche, proprio per la loro forza demografica rappresentano oggi una enorme opportunità di sviluppo e di crescita, ma occorre programmazione, andando oltre i soliti slogan, come “aiutiamoli a casa loro” che poi non trovano un riscontro pratico nelle politiche.

Sui conflitti pesano anche l’enorme debito e il problema endemico della corruzione.    

È così, anche se occorre dire che il debito africano, seppure in crescita, è molto basso in termini assoluti, rispetto alle dimensioni economiche planetarie e inoltre oscilla vistosamente perché risente molto delle turbolenze dei mercati internazionali e in particolare della crescita dei tassi e dell’inflazione. In ogni caso è vera la massima di Frederic Bastiat, «dove non passano le merci, passano gli eserciti»: se in Africa ci fosse un commercio strutturato e una presenza costruttiva e tesa allo sviluppo più che allo sfruttamento da parte di potenze straniere, calerebbero anche le opportunità di ingenerare conflitti.

A proposito di conflitti, quello scoppiano in Sudan appare praticamente dimenticato…

Si tratta di una guerra civile a tutti gli effetti con a capo dei due schieramenti due generali. Al di là della tragicità della situazione, è complesso prevedere come finirà, di certo il disinteresse dei media nazionali rende concreto il rischio che questo contesto, come molti altri in Africa si cronicizzi. L’esempio principale è la Somalia, in guerra dal 1991, un Paese parcellizzato, diviso, con i terroristi jihadist di Al Shabab che si oppongono al governo federale di Mogadiscio.

Quali sono altre zone particolarmente sensibili? 

Certamente il già citato Sahel, e quindi Mali, Niger e Burkina Faso, infestato dal terrorismo jihadista e interessato dai mercenari della Wagner, ma anche la Repubblica Centrafricana, dove il governo di Bangui è un’armata “brancaleone” che non riesce a tener testa alle formazioni eversive in lotta con le forze lealiste. Le tensioni continuano anche in Etiopia, e in particolare nel Nord dove si trova il Tigray. La guerra c’è nella Repubblica federale del Congo, mentre il terrorismo di matrice islamista è presente anche nel nord del Mozambico e nello stato nigeriano del Borno, dove Boko Haram ne ha fatte di cotte e di crude.

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Presi per mano

Lun, 05/02/2024 - 14:56

Il campo è sempre un tempo prezioso che regala emozioni uniche e indimenticabili; è fatto di incontri, di sguardi, di abbracci caratterizzati da una ricerca costante di unicità. Proprio da questa necessità nasce la proposta che ti offriamo quest’anno. 

“Presi per mano” vuole essere uno strumento che aiuti a stimolare la creatività e a promuovere riflessioni e condivisioni su temi che nel nostro vivere quotidiano difficilmente abbiamo il tempo di approfondire. Sarà un tempo dove avremo l’occasione di scoprire e di coltivare insieme ai nostri giovanissimi e giovanissime quelle tematiche che a volte potrebbero sembrare scontate, banali oppure argomenti troppo difficili da affrontare o per i quali abbiamo semplicemente paura a parlarne. 

Dunque, proprio per questo, il percorso tematico di questo campo si concentrerà sulla riscoperta della fede, intesa in tutte le sue sfumature. In primo luogo, la fiducia in sé stessi che molto spesso a causa dei nostri pregiudizi e delle alte aspettative della società viene messa in secondo piano. In secondo luogo, la fiducia nell’altro e nel mondo che ci circonda, per continuare, nonostante tutto, a riscoprirsi fratelli. E infine la fede in Dio, in un Padre sempre pronto ad accoglierci tra le Sue braccia. 

Non mancheranno momenti di preghiera e di spiritualità; viene anche inserita in allegato una proposta di deserto e una traccia di adorazione. La preghiera quotidiana è articolata sia in proposte personali che di gruppo.

Le giornate saranno accompagnate da alcuni testimoni che ci aiuteranno, con le loro coraggiose scelte di vita, a comprendere il tema principale e il punto di arrivo di ogni giornata.  
Nella vita di ogni giovanissimo e di ogni giovanissima sono fondamentali le relazioni, i gesti di affettività e i sentimenti che si trasmettono anche attraverso la corporeità e il contatto umano, quello stesso contatto che Dio ha “divinizzato” nell’umanità di Gesù, il quale ha preso per mano l’umanità stanca e triste per rialzarla e rimetterla in cammino. Speriamo che questa proposta possa muovere dentro ciascun educatore e giovanissimo la sensazione di sentirsi presi per mano e accompagnati.

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Cura, lo stile che ispira un’autentica comunità

Dom, 04/02/2024 - 10:15

Siamo davvero molto grati ai nostri pastori per il messaggio che ci hanno donato in occasione della 46ª Giornata per la vita: la forza della vita ci sorprende! Ed è davvero così, è un mistero da contemplare la vita che si fa sempre spazio e che trova continuamente percorsi e genera semi e frutti che aprono alla Speranza. Siamo tutti invitati a farci sorprendere da ciò che può accadere se siamo aperti e disponibili alla vita, proprio in questo tempo attraversato dalla violenza e dalla guerra che sempre più si impongono con il proprio linguaggio tribale e le loro logiche semplificatrici e banali. Oggi in cui sempre più difficile, talvolta impossibile parlare di pace, di rispetto della persona umana, del valore della giustizia e del principio fondativo del bene comune, del bene di “noi-tutti” come lo aveva definito Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate.

Abbiamo veramente bisogno di recuperare uno sguardo contemplativo, capace di andare in profondità e di scrutare la bellezza che c’è in ogni creatura e in ogni possibilità di stabilire relazioni positive e generative, abbiamo bisogno di sorprenderci di fronte al desiderio di bene e di giustizia che alberga nel cuore di tutti e che speso ci viene presentato dalle persone più fragili, dai più piccoli, da coloro che la cultura dello scarto tende sempre a marginalizzare.

Pensiamo alle nostre famiglie e comunità e a quanto sia prezioso il lavoro di cura e di formazione che quotidianamente contrasta la logica dell’esclusione e l’autoreferenzialità dell’interesse e dell’egoismo che tenta di rileggere le relazioni solo nella chiave del possesso e del potere.

Siamo invitati a riscoprire e valorizzare tutti quei luoghi in cui si pratica tale cura e in cui si custodisce insieme quello sguardo contemplativo che si intreccia con la ricerca delle buone ragioni di vita e di speranza. Mi piace pensare che luoghi simili sono le nostre realtà e gruppi associativi in cui innanzitutto si sperimenta un cammino comune, condiviso in profondità e che anima e sostiene la vita quotidiana. C’è anzi un “primato della vita” che diventa principio ordinatore di una vita associativa, ecclesiale, civile familiare chiamata ad essere continuamente e instancabilmente generativa, sfuggendo alla tentazione del funzionalismo e dell’efficientismo. Desideriamo esistere e non funzionare, per parafrasare il filosofo Miguel Benasayag.

Lo stile della cura fa strada ad un’autentica vita comunitaria, che è in primo luogo sentirsi insieme, sentire profondamente i legami che nascono dall’accoglienza dell’altro e della sua bellezza e da una conversione ospitale del nostro vivere quotidiano.
Ospitalità e condivisione possono dare forma ad una resistenza comunitaria a quella logica individualista che produce frammentazioni e divisioni e riduce le persone a soggetti incapaci di legami significativi, rassegnati solo ad accontentarsi dello scambio come unica forma di interazione sociale.

Come laici cristiani, chiamati ad abitare questo tempo riconoscendo in profondità il suo essere luogo di incontro significativo con il Signore e di ricerca instancabile del suo Regno, ci appassiona questo lavoro di cura, di accoglienza e di promozione della vita delle persone e siamo autenticamente convinti che sia possibile trovare nuove forme, nuove espressioni e nuovi linguaggi che sappiano provocare domande, intercettare fatiche e ricerche personali, che abbiano il coraggio di interagire con il desiderio di tutte le donne e gli uomini di oggi che non si sono stancati di pensarsi insieme, di sentirsi un “noi più grande”.

(Da Avvenire del 4 febbraio 2024 – Inserto speciale La forza della vita ci sorprende)

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Iniziativa a Pordenone per il mese della pace

Gio, 01/02/2024 - 09:20

L’Azione Cattolica diocesana di Pordenone ha organizzato un incontro il 29 gennaio 2024 in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore del TPNW (Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari) presso la Sala Conferenze di Casa Madonna Pellegrina.

Sul tema del Trattato per la proibizione delle armi nucleari è intervenuto Andrea Michieli, costituzionalista, direttore dell’Istituto Toniolo e membro del coordinamento dei firmatari dell’Appello “Per una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”.

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Il sogno della pace

Gio, 01/02/2024 - 07:00

Quando la pace fatica a farsi strada nei negoziati tra le nazioni, adotta altre vie per alimentare il suo sogno di profezia. Forse più nascoste. O semplicemente più umane. Incontri, abbracci, condivisioni di storie, volti e mani, sono corollario necessario per chi prepara la pace prima nei cuori. La pace è ancora utopia possibile se cercata negli sguardi di chi vive la guerra ogni giorno. Ecco perché il dossier che Segno nel mondo offre ai lettori (n. 1/2024, scarica l’intero numero in pdf cliccando qui) si intitola Il sogno della pace

Perché la pace può essere, ancora oggi, utopia concreta, vita da costruire ogni giorno con l’”altro”, chiunque esso sia. Sono tante le testimonianze raccontate. L’Ac, sempre in prima linea, come sempre. Con l’Ucraina, in Terra Santa, nei convegni, nei libri, nei piccoli gesti di pace. La Chiesa italiana, e tutto quel variegato mondo delle parrocchie che si sforza per una cultura di pace da vivere nel proprio territorio.

A braccia aperte… Tutti a San Pietro

La copertina di Segno nel mondo non poteva che essere dedicata al prossimo Incontro nazionale con papa Francesco. Il 25 aprile, infatti, il popolo di Ac incontrerà Francesco in Piazza San Pietro. Una festa ma anche un’assunzione di impegno, forti della sua parola, per gli anni a venire. Nei giorni successivi, infatti, circa mille delegati parteciperanno alla XVIII Assemblea nazionale dell’associazione: il segretario generale di Ac, Michele Tridente, ci spiega il cammino assembleare e i temi dell’Assemblea.

Poi, ancora altri racconti che offrono uno spaccato di società e di un’associazione viva, appassionata a “un noi” più grande. Ad esempio l’Ac diocesana di Roma ha completato l’opera di sistemazione del suo archivio, che ora è anche stato riconosciuto di interesse storico particolarmente importante. Sul fronte delle alleanze, inoltre, si irrobustisce ancora di più quella con Telethon: il presidente di Ac, Giuseppe Notarstefano, è stato ospite della Maratona Telethon su Rai1 lo scorso 16 dicembre.

L’Europa al voto

Tra i fatti salienti c’è l’Europa al voto. Gianni Borsa ci invita a riflettere per il prossimo 9 giugno, quando gli italiani voteranno per il Parlamento europeo. Ai cittadini spetta il compito di informarsi, evitando così l’errore di affidarsi per la propria scelta elettorale solo agli slogan sciorinati dai capi partito o ai post urlanti che viaggiano sui social Anche così, infatti, la democrazia europea potrà crescere e confezionare le risposte alle attese e ai bisogni reali di cittadini, imprese, enti locali e società civile dei Paesi d’Europa. Una “democrazia utile” di cui popoli, Stati ed Europa stessa hanno bisogno. 

Le rubriche

Per le letture il giornale consiglia Francesco di Assisi e i giovani di oggi e due libri appena editi dall’Ave. Il primo è un focus sull’Europa, a pochi mesi dalle prossime elezioni. L’altro è un affresco sulla spiritualità di Rut, la donna biblica che nei suoi incontri riesce a scoprire la presenza di Dio.

Continua con la pubblicazione della seconda parte un articolo di taglio storico di Paolo Trionfini che racconta la genesi, storica e sociale, del Codice di Camaldoli.

Battesimo e corresponsabilità, infine, è il titolo della rubrica Perché credere, affidata questa volta all’assistente centrale per il settore Adulti di Ac, don Oronzo Cosi. In cammino verso l’Assemblea nazionale, partendo dal significato profondo dal Battesimo. L’approfondimento di questo tema ci accompagnerà nei prossimi numeri di Segno nel mondo e sarà sviluppato in questa rubrica da diverse prospettive, a partire da quella battesimale.

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Bisogna solo pregare

Mer, 31/01/2024 - 07:00

         …e poi arriva all’improvviso, come se non ti fosse mai stato preannunciato. Come quella data d’appello che, fissata molti mesi prima, ti aveva quasi autorizzato a non prepararti per tempo all’esame. Approssimativo. Superficiale. Insufficiente. Non potevi sperare altro, perché in effetti di tempo per organizzarti ne avevi avuto in abbondanza. L’esserti dedicato ad altro, fossero state anche grandiose opere di pianificazione urbanistica e di ingegneria ambientale, non ti ha allertato sulla vera portata dell’evento.
Il Giubileo non è primariamente un anno da celebrare. Forse non è nemmeno un evento da costruire. L’Anno Giubilare giunge come un’esperienza. Di Popolo prima di tutto, ma anche di persone singole. Credenti e non credenti. O, come preferiva dire il cardinal Martini, pensanti e non pensanti. Il Giubileo sarà per molti un’occasione straordinaria di verifica e di rilancio. A chi non ha il gravoso compito di predisporre gli appuntamenti e gli spazi viene richiesto fondamentalmente di predisporre se stesso. Occorre iniziare da qualche parte, senza perdere tempo a swippare, come ormai su ogni metro, sogni, ambizioni e progetti.

Papa Francesco chiede che questo anno di vigilia sia un anno dedicato alla preghiera. Forse sarà più efficace raccoglierlo pensando all’azione anziché al sostantivo. Occorrerà pregare anziché parlare di preghiera. Bisognerà vincere l’imbarazzo di non sapere da dove cominciare o (ri)cominciare. Dopo anni, forse anche dopo lunghe stagioni di vita, sarà importante trovare il coraggio di compiere il primo passo. Quello meno scontato, forse anche il meno capito.

Chi crede oggi, come i discepoli della prima ora, si trova nel desiderio e nella necessità di chiedere al Maestro: «insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Non solo i contenuti della preghiera cristiana, ma soprattutto lo stile, gli spazi e i tempi. Ai più attenti non sfugge, infatti, il particolare che Gesù stesso era uomo di preghiera. Prima di scegliere i dodici, prima di compiere segni grandiosi e prima di affrontare la grande prova dell’offerta totale di sé, il Signore ha pregato. In spazi d’intimità difesi e ricercati. In circostanze umane incapaci di celare la sua unica e assoluta confidenza con il Padre.

Come le città anche le comunità cristiane sono evidentemente affaccendate e generose, ma spesso sono anche disorientate ed affaticate. La cultura decisamente spostata sull’esterno non può ignorare che è l’interiorità la sede della ricerca, dell’analisi ed eventualmente della cura del benessere sociale e spirituale. Vengono alla mente alcune parole di Paolo VI che auspicava la «cura di una vita interiormente entusiasta». Da questo punto di vista il 2024 si propone – mai si impone – come un anno di grande investimento spirituale, premessa indispensabile per la realizzazione di ogni progetto ecclesiale, anche l’anno giubilare.

Non ci si spiega come le grandi feste sappiano sempre anticipare i loro gusti e i loro profumi con le loro vigilie. Forse perché esaltati dalla trepidazione e dall’attesa. O forse perché la stessa attesa è già di per sé una magnifica avventura. L’anno vigiliare del giubileo giunge da papa Francesco come un invito. Ognuno, come da piccoli, lo sente accompagnato dalle parole: «Non farti pregare!». Perché ciò che conta è diventare grandi e provare a pregare da sé.

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Prossimità, cuore e responsabilità

Mar, 30/01/2024 - 09:28

Papa Francesco ha ricevuto ieri in udienza dirigenti e dipendenti di televisione e radio dei vescovi italiani  in occasione del 25° anniversario della nascita di TV2000 e del circuito radio inBlu2000. Un discorso tutto sommato breve, come sono in genere quelli che Francesco fa in udienza da qualche mese a questa parte. Lo stato di salute e gli anni che passano probabilmente lo richiedono. Ma come spesso accade la relativa brevità aiuta la chiarezza.

Francesco traccia le direttrici del fare comunicazione per chi si dice cattolico (che non è un «limite» ma «libertà», sottolinea il pontefice), invitando innanzitutto ad andare «controcorrente» rispetto a un mondo della comunicazione che «rischia di appiattirsi su alcune logiche dominanti, di piegarsi al potere o addirittura di costruire fake news». Senza mai dimenticare quanti sono ai margini (nelle periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali) e, con coraggio, senza mai scadere in polemiche sterili quanto inutili. Piuttosto, facendosi sempre «messaggeri che informano con rispetto, con competenza, contrastando divisioni e discordie».

Le tre direttrici per un’informazione che resti umana

Prossimità, cuore e responsabilità: sono queste le direttrici indicate da Bergoglio per far fronte anche, come media, a un’epoca in cui l’intelligenza artificiale «sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile» (Messaggio per la LVIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali). Francesco lo definisce come un vero e proprio «vortice», che «pare trascinare non solo gli operatori del settore ma un po’ tutti noi».
Si raccomanda il Papa di non dimenticare che «la comunicazione e l’informazione hanno sempre le radici nell’umano». Questo ha delle “conseguenze”: «incarnare la fede nella cultura», specie attraverso la testimonianza, «narrando storie in cui il buio che è intorno a noi non spenga il lume della speranza».

Prossimità è fare rete e tessere legami

In questo senso va intesa la prossimità: «Ogni giorno tramite la televisione o la radio vi fate vicini a tante persone, che trovano in voi degli amici da cui ricevere informazioni, con cui trascorrere piacevolmente del tempo, o andare alla scoperta di realtà, esperienze e luoghi nuovi», sottolinea Francesco. «E questa prossimità si estende anche ai territori e alle periferie dove la gente abita». L’incoraggiamento di Francesco alla stampa cattolica ma anche ai media in generale è a «creare reti», «tessere legami», «raccontare il bello e il buono delle nostre comunità», non dimenticando chi sta ai margini e rendendo «protagonisti quanti solitamente finiscono a fare le comparse o non vengono nemmeno presi in considerazione». Per il Papa le minacce di fake news e appiattimenti su potere e logiche dominanti sono dietro l’angolo: «Non cadete nella tentazione di allinearvi, andate controcorrente, sempre consumando le suole delle scarpe e incontrando la gente».

Cuore è avere il coraggio di essere alternativi

La prossimità segue è accompagna il cuore: «Non si può osservare un fatto, non si può intervistare qualcuno, non si può raccontare qualcosa se non a partire dal cuore», osserva Francesco. Per il Papa «chi ha cuore ha anche il coraggio di essere alternativo, senza però diventare polemico o aggressivo; di essere credibile, senza avere la pretesa di imporre il proprio punto di vista; di essere costruttore di ponti».

Responsabilità è non dimenticare che al centro di tutto c’è la persona

Da grande comunicatore qual è, Francesco ricorda agli altri comunicatori che hanno una grande responsabilità – la terza parola – che è quella di assicurare che «ogni forma di comunicazione sia obiettiva, rispettosa della dignità umana e attenta al bene comune. In questo modo, potremo ricucire le fratture, trasformare l’indifferenza in accoglienza e relazione». Per il pontefice non bisogna mai dimenticare che «al centro di ogni servizio, di ogni articolo, di ogni programma c’è la persona: non dimenticare questo. È proprio ciò che dà senso alla comunicazione». E chiosa: «Il vostro è uno di quei mestieri che hanno il carattere della vocazione: siete chiamati a essere messaggeri che informano con rispetto, con competenza, contrastando divisioni e discordie».

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Noi ci saremo, perché l’Ac…

Lun, 29/01/2024 - 07:00

Il prossimo 25 aprile saremo in Piazza San Pietro con papa Francesco e tantissimi dei soci e amici dell’Ac di ogni età, provenienti da diverse migliaia di parrocchie delle diocesi d’Italia.

Ci saremo perché l’Ac è forma concreta di un modo di pensare e di vivere la Chiesa. È quello che ci ha insegnato il Concilio Vaticano II e su cui insiste papa Francesco sin dall’inizio del suo pontificato: una Chiesa intesa come Popolo di Dio che cammina insieme; una Chiesa che sa che il compito di evangelizzare non spetta a qualcuno o a pochi, ma a tutto il Popolo di Dio.

Ci saremo perché l’Ac sa costruire, custodire e valorizzare legami buoni di vita fra le persone e per le persone. Accompagnandole e sostenendole nel loro camminare nella vita, nel mondo, dentro la Chiesa. Lo fa mettendo insieme sensibilità, punti di vista ed esperienze diverse. Per capire a fondo il proprio tempo, il proprio territorio, la vita delle persone che vivono accanto a noi. E cercare di comprendere insieme come tutto ciò ci interpella, ci chiama a fare scelte precise e trasparenti.

Ci saremo perché l’Ac è Chiesa sinodale per sua stessa natura. Perché è capace di divenire tessuto connettivo dentro la Chiesa e dentro la società. Specialmente quando sa essere amalgama, quando tiene insieme le persone, le fa discutere, le fa anche litigare se occorre, ma sempre camminando insieme.

Ci saremo perché l’Ac è profondamente radicata nelle Chiese locali. È con i piedi e le mani nelle diocesi e nelle parrocchie, nella Chiesa che vive là dove le persone vivono. Ma allo stesso tempo è capace di camminare con la testa alzata, con lo sguardo volto al cammino della Chiesa universale. Sa che essere associazione significa sapere che la mia Chiesa non finisce nel mio gruppo parrocchiale. Non finisce neppure nel mio paese, nella mia diocesi. La mia Chiesa ha un cammino universale, di cui siamo chiamati a sentirci parte e farci carico.

Ci saremo perché l’Ac, per la sua storia e la sua identità prettamente ecclesiale, sa di avere una peculiare responsabilità: tradurre concretamente l’Evangelii gaudium nella vita della Chiesa.
Per fare ciò sa di doversi fare carico della vita di tutta la Chiesa, non accontentandosi di essere una “minoranza profetica”, di “correre avanti”, mentre gran parte del corpo della Chiesa rimane con lo sguardo rivolto all’indietro.
Sa che essere Ac dà una responsabilità in più rispetto a tante altre realtà ecclesiali: farsi carico di portare la Chiesa, tutta la Chiesa, nella direzione indicata dal Vicario di Cristo. Essendo innanzitutto costruttori di comunione, fattori di fermento di comunità con i nostri vescovi, con i nostri sacerdoti, con le altre realtà ecclesiali.

Ci saremo perché l’Ac sa che la realtà è superiore all’idea. Sa che non siamo chiamati a servire la Chiesa come la vorremmo, o a essere educatori di ragazzi o di giovani come li vorremmo, o a relazionarci con parroci come li vorremmo, perché ciò che vorremmo di solito è qualcosa che disegniamo a nostra immagine e somiglianza. Siamo invece chiamati a farci carico della Chiesa così com’è, dei preti così come sono, dei laici così come sono, dei ragazzi così come sono. L’Ac sa che funziona bene se sa farsi carico della realtà così com’è, senza sognarne una diversa. Abbracciandola, piuttosto, fino in fondo e facendo crescere i semi di bene che sono posti al suo interno.

Ci saremo perché l’Ac è quel luogo dello Spirito. Dove ogni bambino, ogni ragazzo, ogni giovane o adulto sa che troverà sempre qualcuno pronto a mettersi in ascolto della sua vita. Sa che c’è qualcuno che è interessato alla sua vita, per quello che è, con le sue fatiche, le sue gioie, le attese di bene e la ricerca di senso, anche quando si è profondamente smarriti e non si è in grado di dare un nome a tale ricerca. Un luogo dove è possibile conoscere e sperimentare la bellezza di un’esperienza di fede, di vita, di cammino condiviso.

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LA MEMORIA CHE GENERA PACE

Sab, 27/01/2024 - 10:03

Il 27 gennaio in Italia e in molti altri Paesi del mondo, si celebra la “Giornata della Memoria”. Il 27 gennaio del 1945, infatti, è il giorno in cui l’armata rossa sfondò i cancelli del campo di concentramento e sterminio di Auschwitz iniziando la liberazione delle persone deportate per volere del governo nazista.

Tra i deportati non vi erano soltanto donne, uomini e bambini ebrei ma anche persone con disabilità, oppositori politici, omosessuali,  persone di etnia rom o sinti etc. L’obiettivo principale della Giornata della Memoria è sicuramente ricordarli tutti riconsegnando loro la dignità persa con la deportazione.

È per perpetuare questa memoria che il 20 luglio del 2000, in Italia, viene promulgata la legge 211/2000 che istituisce proprio questa giornata. La  legge, all’articolo 2, parla di una celebrazione vera e propria di questa giornata, tramite eventi e manifestazioni che si devono svolgere “in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado” per far si che, attraverso la memoria, “simili eventi non possano più accadere”. 

La violenza e l’odio di quel periodo sono stati assecondati e resi possibili dalla cultura dell’indifferenza. Come spesso ci ribadisce la Senatrice a vita Liliana Segre “L’indifferenza è complice”. La parola “indifferenza”, infatti, è stata incisa, a caratteri cubitali, su una parete al binario 21, nella Stazione Centrale di Milano, da dove partirono migliaia di persone verso i campi di sterminio. La scritta ci ricorda sempre che con la perdita della loro dignità anche noi, come società, abbiamo perso parte della nostra. 

In particolare noi msacchine e msacchini, che abbiamo come motto l’“I care” di don Milani, non possiamo rimanere indifferenti davanti a tutte quelle situazioni di discriminazione, bullismo e, in generale, odio che incontriamo nel nostro percorso scolastico. 

La Giornata della Memoria, dunque, ci mette di fronte al dovere di ricordare e soprattutto al dovere di essere cittadine e cittadini coraggiosi e responsabili, che davanti a tali fatti, non si girino dall’altra parte. Soprattutto in questo periodo, caratterizzato da guerre e altre forme di violenza, sentiamo questa responsabilità ancora più forte. 

Nella giornata di ieri, il Presidente Mattarella, in occasione della celebrazione della Giornata della Memoria, affermava: “[…] Assistiamo, nel mondo, a un ritorno di antisemitismo che ha assunto, recentemente, la forma della indicibile, feroce strage antisemita di innocenti nell’aggressione di terrorismo che, in quella pagina di vergogna per l’umanità, avvenuta il 7 ottobre, non ha risparmiato nemmeno ragazzi, bambini, persino neonati. Immagine di una raccapricciante replica degli orrori della Shoah […]” e anche “[…] Coloro che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato […]”. Il Presidente fa riferimento al conflitto in Palestina, che è caratterizzato da una grande complessità geopolitica. Perciò oggi la Giornata della Memoria deve diventare un’occasione per riflettere su come raggiungere una pace giusta, prima ancora che capire le colpe delle singole parti. 

Proprio questa è la prospettiva che, come studentesse e studenti, dobbiamo fare nostra: diffondere attivamente e concretamente un’efficace cultura della pace che, come ci indica la legge 211, dovrebbe partire già dalle nostre comunità scolastiche.

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Dalle ceneri di Auschwitz

Sab, 27/01/2024 - 07:00

Un anziano che vi ha tanto amato e continua ad amarvi vi invita oggi a fermarvi un momento, oggi 27 gennaio. Siete ancora pieni di sonno, avete lasciato suonare la sveglia, e ora bevendo il caffè, vi mettete in fretta il casco, il motorino vi attende alla porta e via, comincia la vita. Ma vi chiedo un solo momento!
Anch’io fui giovane, e il tempo della mia prima gioventù era pieno di speranza: l’Italia pareva un adolescente impaziente di prendere il volo verso il suo futuro. Mussolini il dittatore parlava spesso di aquile, voleva volare a occupare quegli spazi percorsi dalle legioni romane. Vedeva la Roma in cammino, la Roma conquistatrice, audace, implacabile verso i popoli che opponevano resistenza. Non aveva tempo di ascoltare il gemito dei vinti, li affidava al giogo di tiranni locali, e seguitava ad avanzare. Il condottiero non si prese il tempo di ascoltare la Roma del diritto, la Roma saggia, quella a cui l’Ebreo crocifisso era tornato con un messaggio di riconciliazione e di pace.

E allora fu la guerra. Nel tempo di questa guerra sbarcò la mia prima giovinezza e vide improvvisamente cadere tutti i sogni: il fragore delle bombe impose il silenzio dei canti che inneggiavano la grandezza fatale di Roma. Avevo accolto lungamente il messaggio di riconciliazione e di pace dell’Ebreo di Nazareth e lo seguii in un grande palazzo disabitato dove con tre compagni ci disponemmo ad accogliere quelli che la guerra spingeva quotidianamente a mettersi sulle strade in cerca di asilo. Qui conoscemmo l’arresto della storia. Quelli che avevano tentato di affascinarci nel sogno di essere portatori di civiltà nel mondo, apparvero improvvisamente invasori venuti da terre lontane, esseri che venivano da epoche a noi sconosciute, esseri predatori, distruttori assetati di sangue e di vendetta.
Ricordo la giovane coppia venuta dal nord d’Europa portando il ricordo della famiglia distrutta nei forni crematori, dopo un lungo viaggio in vagoni piombati, ammassati come oggetti senza valore. La donna portava nel suo ventre la vittoria sulla furia devastatrice e cercammo di mettere al sicuro questo piccolo seme che conteneva la forza della vita, la speranza sicura della sua vittoria sulla morte. E mentre l’uomo mi raccontava le barbarie della shoah vedemmo entrare gli S.S., quelli che Hitler chiamava “i miei lupi”, lo nascosi in uno strettissimo sottoscala deposito di carta da gettare e di altri rifiuti. I lupi ruppero porte, bruciarono, distrussero, e arrivarono da me che li accolsi con apparente sorpresa e indifferenza. E passarono oltre… Cercai io, impietrito dentro, di far tornare i sensi al mio ebreo svenuto. E la vita continuò.

Accogliendo le notizie di quello che accade oggi nella terra che è tornata ad essere del popolo disperso, mi pongo la domanda: perché si è cancellata così presto la memoria di un tempo in cui l’umanità assistette rabbrividendo all’incontro della più acuta follia con la più audace razionalità? Perché il ricordo non è riuscito a distruggere ogni radice di vendetta, cedendo il luogo a sentimenti di pace e di riconciliazione?
A questa domanda sorge dentro di me la risposta: forse l’umanità è ancora incapace di un amore così forte, così generosamente altruista da superare per sempre il ritorno di istinti feroci preumani. Forse perché il progetto di umanizzazione del nostro io, di crescita nella dimensione dell’alterità, non è riuscito a liberarsi dalle tentazioni del piacere immediato, della comodità, dell’interesse egoistico. Vi lascio la fiducia che voi giovani saprete avanzare in questa linea.
Dalle ceneri di Auschwitz si leva la voce di una ragazza spensierata come voi, come voi avida di piacere, Etty Hillesum: vi dice di amare come lei la vita, di dissipare con il perdono e l’amore i venti dell’odio e della vendetta, di saper scoprire al di là delle nubi nere il sole di Dio che non desiste dal cercare noi che continuiamo ad azzuffarci come adolescenti inferociti. Ascoltate la voce.

Arturo Paoli è stato presbitero, religioso e missionario italiano, appartenente alla congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo. È Giusto tra le Nazioni per il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati durante la Seconda guerra mondiale. Nato nel 1912, ha attraversato tutto il Novecento sino a spegnersi nella sua Lucca nel luglio 2015. Intenso e appassionato il suo legame con l’Azione cattolica, di cui fu vice assistente nazionale dei giovani. Il testo che pubblichiamo e di cui facciamo memoria graffia le nostre coscienze, oggi come ieri, invitandoci ad abbattere il muro dell’indifferenza e del silenzio innanzi al male.

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Tutti a San Pietro

Ven, 26/01/2024 - 07:00

«Voi laici di Azione cattolica potete aiutare la Chiesa tutta e la società a ripensare insieme quale tipo di umanità vogliamo essere, quale terra vogliamo abitare, quale mondo vogliamo costruire. Anche voi siete chiamati a portare un contributo originale alla realizzazione di una nuova “ecologia integrale”: con le vostre competenze, la vostra passione, la vostra responsabilità». Le parole di papa Francesco – qui ai membri del Consiglio nazionale di Ac il 30 aprile 2021 – riscaldano i cuori, generano passioni, stimolano impegni.

Tutti a San Pietro con papa Francesco

Ecco perché il prossimo 25 aprile è un giorno da segnare subito sul calendario. Un appuntamento inderogabile. Infatti, per tutta la mattinata, l’Azione cattolica italiana – ma è invitata tutta la comunità ecclesiale, che consiste anche in quello sterminato popolo di laici che si impegna ogni giorno nel volontariato, nelle parrocchie, con i “lontani”, affianco alle situazioni di disagio sociale – si troverà in piazza San Pietro per incontrare papa Francesco, per ascoltare la sua parola e fare festa insieme a lui. 

Gli orari

Una mattinata che vedrà alle 8.45 un momento di preghiera e animazione mentre si è in attesa dell’incontro con papa Francesco che avverrà alle ore 9.45; e dalle 11.00 alle 13.00 largo alla festa e alle testimonianze.

L’Ac ascolterà le parole del Papa in un momento particolare che, collocandosi tra le due Assemblee del Sinodo dei Vescovi, è anche un’occasione per accompagnare il cammino sinodale della Chiesa italiana e della Chiesa universale. Attraverso questo Incontro nazionale, l’Ac dice il suo “sì” forte e convinto al cammino sinodale. 

Lì, in piazza San Pietro, insieme, avendo cura del “noi”, le diverse generazioni e le varie specificità territoriali dialogheranno in un clima di festa e di amicizia, facendo sentire ciascuno chiamato a partecipare in modo diretto.

Un momento di Chiesa sinodale

L’incontro con Francesco sarà davvero un momento di festa per tutti: ragazzi, giovani, adulti, senza vincoli di età o appartenenza ecclesiale. Per questo motivo sono invitati anche i parroci e i vescovi, tutte le comunità e gli amici e amiche delle diverse associazioni e movimenti per vivere un momento di Chiesa sinodale. 

A papa Francesco racconteremo del nostro impegno verso i temi cari al pontefice: la missionarietà, la pace, la sostenibilità. Fratelli tutti non è solo uno slogan da imparare a memoria, ma un modo di vivere l’impegno per oggi e costruire il mondo di domani.

L’incontro nazionale del 25 aprile, poi, aprirà idealmente la XVIII Assemblea nazionale dell’associazione, Testimoni di tutte le cose da Lui compiute, che proseguirà dal giovedì 25 pomeriggio fino a domenica 28 aprile a Sacrofano, sempre a Roma. 

«Al cuore della vita associativa – diceva Francesco durante il Discorso ai partecipanti al pellegrinaggio in ringraziamento della Beatificazione di Armida Barelli, 22 aprile 2023 – ci sia sempre una formazione integrale, e al cuore della formazione la spiritualità evangelica. L’essere radicati e dedicati alla vita delle vostre Chiese locali alimenti sempre in voi la spinta missionaria, per allargare ancora di più il vostro cuore e il vostro sguardo contemplativo sul mondo».

Vai all’evento

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Tra vulnerabilità e nuove povertà

Gio, 25/01/2024 - 12:00

«La Cattedra è un momento di riflessione inseparabile dal lavoro sul campo, vanno insieme. Mentre ascoltate e studiate, voi tenete presenti i volti, le storie, i problemi concreti e li condividete con i relatori e nei gruppi di confronto». Così Papa Francesco durante l’Udienza (9.03.2023) ai partecipanti al Convegno della “Cattedra dell’Accoglienza” promosso dalla Fraterna Domus di Sacrofano, che vede anche quest’anno l’adesione dell’Ac.

In questa seconda edizione della Cattedra dell’Accoglienza – Vulnerabilità e comunità. Tra accoglienza e inclusione, corso di formazione 27 febbraio-1 marzo 2024, Fraterna Domus, Sacrofano (Roma) – ci si pone nell’ottica della ricerca riguardo al tema della vulnerabilità e delle nuove povertà, che costituiscono una sfida urgente per le comunità. La vulnerabilità, generalmente considerata un fattore negativo e da tenere nascosto, oggetto da tempo di analisi e riflessioni di politica sociale ed economica, può in realtà essere fonte di prossimità e vicinanza se si riesce ad abbattere il muro dell’indifferenza. La comunità può diventare, allora, spazio di dialogo e spazio e tempo in cui risvegliare una dimensione di accoglienza, in cui far rinascere energia per rinsaldare legami e affetti sociali.  Tra vulnerabilità e nuove povertà L’iniziativa si avvale del contributo di docenti e accademici di diversa estrazione culturale. Si tenterà di coniugare la prospettiva teorica e di ricerca con l’esperienza dei partecipanti, a partire dalla pratica delle realtà che sostengono la Cattedra. L’1 marzo è prevista un’udienza privata di Papa Francesco con i partecipanti all’evento formativo. Perché partecipare?

La Cattedra, attraverso l’incontro dei partecipanti con formatori e docenti, ha come scopo quello di formare a una dimensione essenziale dell’essere umano: la condivisione. 

La Cattedra contempla tra i suoi insegnamenti una quota di spiritualità, per essere capaci di dare valore alla strada e al cammino individuale: un tentativo di ritorno al senso delle giuste proporzioni. Questo significa che la formazione dei giorni in presenza non è sempre utile nell’immediato, spesso lo diventa con il tempo. 

L’approccio utilizzato prevede una postura di riflessione e la congiunzione tra dimensione macro di contenuti teorici e una dimensione micro di contenuti dati dal fatto che gli enti organizzatori hanno esperienza pluriennale di accoglienza.

Metodi e strumenti sono quelli di cura di tempi, spazi, parole e anche dell’anima.

I temi di questa edizione

27 febbraio – Vulnerabilità e sfide: vulnerabilità condivisa: le sfide della vulnerabilità. Comunità di futuro aperte all’incontro.

28 febbraio – Vulnerabilità e comunità accoglienti: ragionare su nuovi legami solidali, sulla vicinanza e la reciprocità quotidiana, sul diritto di parola e di iniziativa, su una costante e capillare azione educativa. Sempre di più ci viene chiesto di accompagnare le pratiche quotidiane, di capire l’umano e, attraverso l’incarnazione, scoprire Dio. Viviamo questo tempo come crisi o come cambiamento?

29 febbraio – Vulnerabilità e accoglienza: l’accoglienza in un mondo di mobilità.

29 febbraio – Vulnerabilità e nuove povertà: stare in cammino, accompagnare, affiancare, condividere senza proporre e imporre il nostro modo di vedere le cose come norma, accogliere e accompagnare anche per ridare un senso a ciò che facciamo. Come ci collochiamo tra precarietà e sicurezza? C’è la precarietà di chi non ha un lavoro stabile e la precarietà del pensionato che non ha più un lavoro che lo definisce e lo valorizza. Quali bisogni inespressi e quali rimandi a quelli che sono per noi temi fondamentali: giustizia, riconciliazione, dolore, morte, pace e guerra…?

29 febbraio – Accoglienza: la cultura dell’accoglienza e le con-vocazioni che ci aspettano. Intuire e valorizzare piccoli segni di novità e di futuro possibili.

Per informazioni:  cattedraccoglienza@fraternadomus.it Fraterna Domus, via Sacrofanese, 25 (Roma); +39 06 68802727 +39 393 9114018

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Cei: educare alla pace è una priorità

Mer, 24/01/2024 - 18:37

Si è conclusa la sessione invernale di lavoro del Consiglio episcopale permanente della Cei iniziata lo scorso lunedì 22 gennaio, sotto la guida del cardinale presidente Matteo Zuppi, a Roma nella sede di Circonvallazione Aurelia 50. Diversi i temi toccati dai presuli membri dell’organismo direttivo della Cei: il tempo della Chiesa, in cui evangelizzazione significa soprattutto testimonianza; il Cammino sinodale; la complessa attualità sociale che percorre il nostro Paese; soprattutto, la necessità di educare alla pace.

Nel corso dei lavori, il Consiglio episcopale permanente ha provveduto ad alcune nomine. Tra queste quella di don Luigi Vitale, della diocesi di Nola, ad Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento di impegno educativo di Azione cattolica (Mieac). A don Luigi vanno i nostri auguri più sinceri e affettuosi e, attraverso la Presidenza nazionale Ac, quelli di tutta l’associazione, insieme alla gratitudine ai nostri vescovi che, con questa nomina, ancora una volta mostrano la loro paterna vicinanza all’Azione cattolica tutta.

Don Luigi Vitale, nuovo Assistente nazionale del Mieac

Di seguito, i capitoli tematici del Comunicato finale. La riflessione sulla capacità della Chiesa di incidere nella società, aprendo orizzonti di speranza ed educando alla pace, ha fatto da filo conduttore. I vescovi hanno ribadito l’urgenza che l’anelito di pace si declini in preghiera, amicizia, volontà di educare alla riconciliazione, perché mai come in questo tempo servono artigiani di pace. E questo a tutti i livelli: internazionale, nazionale, comunitario, ecclesiale, familiare, individuale. L’impegno per la pace diventa un’urgenza, ma anche una responsabilità, in prima istanza per la Chiesa.

Parole di speranza per il mondo di oggi

Ringraziando il presidente per quanto affermato, i vescovi hanno concordato sulla necessità di offrire parole di speranza rispetto alle grandi questioni che interrogano l’umanità e di indicare modalità concrete per la costruzione del bene comune. Il tutto nella
consapevolezza di essere nel mondo non per conquistare spazi, ma una presenza significativa che fa della debolezza la sua forza. Essere deboli – è stato precisato – non vuole dire essere irrilevanti, ma porsi, con mitezza, in modo antitetico rispetto alla cultura
dominante della potenza e della sopraffazione.
In quello che il cardinale presidente ha definito il “tempo della Chiesa”, l’evangelizzazione è soprattutto testimonianza, impegno sul piano culturale perché il Vangelo – che è la Buona Notizia – possa essere comunicato in modo efficace a tutti. Con una visione e una consapevolezza maturate negli ultimi 50 anni, scanditi da importanti Convegni ecclesiali e da pronunciamenti che hanno fatto la storia della Chiesa in Italia. Tale bagaglio aiuta a leggere con più chiarezza il contesto attuale, lacerato da contraddizioni e da problemi che attanagliano le famiglie, i più poveri, gli ultimi.
Nel dibattito, i vescovi hanno espresso preoccupazione per il diffondersi di una cultura del conflitto, che ha nel linguaggio violento e nella corsa al riarmo due elementi fondamentali. È invece quanto mai necessario educare alla pace, proponendo percorsi formativi e alternative valide, specialmente alle nuove generazioni, spesso destinatarie di un’attenzione marginale. In tema di formazione, il Consiglio permanente ha salutato con favore la firma, lo scorso 9 gennaio, dell’Intesa con il Ministero dell’Istruzione e del Merito in vista del concorso per gli insegnanti di religione, evidenziando come, da una parte, questo traguardo valorizzi quanti operano nella scuola e, dall’altra, apra una riflessione sulle modalità per coinvolgere quanti invece scelgono di non avvalersi di questo insegnamento. Alla luce di quanto espresso dal cardinale presidente nell’Introduzione ai lavori, il Consiglio permanente ha condiviso alcune riflessioni sulla Dichiarazione del Dicastero della Dottrina della fede, Fiducia supplicans. Il documento, ha spiegato il cardinale, «si pone nell’orizzonte della misericordia, dello sguardo amorevole della Chiesa su tutti i figli di Dio, senza tuttavia derogare dagli insegnamenti del magistero». Come peraltro già sottolineato dalla Dichiarazione stessa che conferma la dottrina tradizionale della Chiesa sul matrimonio e non ammette alcun «tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione».

La fase sapienziale del Cammino sinodale

I vscovi hanno scelto il tema principale della 79ª Assemblea Generale che si terrà dal 20 al 23 maggio 2024: la ricezione della fase sapienziale del Cammino sinodale. Sarà l’occasione per accogliere la restituzione proveniente dalle Chiese locali, attraverso il lavoro delle commissioni del Cammino sinodale, avviarsi verso l’ultima fase, quella profetica, ed elaborare il contributo specifico della Conferenza episcopale italiana al Sinodo dei vescovi. Nel corso dei lavori, è stata messa in evidenza la connessione tra il percorso nazionale e quello universale. La fase sapienziale, infatti, ben si integra con la domanda affidata dal Sinodo dei vescovi: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”, in quanto i cinque temi indicati come prioritari nelle Linee guida del 2023 (missione, comunicazione, formazione, corresponsabilità e strutture) sono il frutto del biennio della fase narrativa (2021-2022, 2022-2023), il cui primo anno si è svolto in maniera del tutto aderente al Documento preparatorio del Sinodo. Per questo, il Consiglio permanente ha stabilito di non aggiungere nuove tracce e nuove domande, ma di proseguire nel percorso di “discernimento” che le Chiese in Italia stanno portando avanti. In quest’ottica, è stato approvato il cronoprogramma che scandirà le tappe fino al 2025. Sono previste, tra l’altro, due Assemblee sinodali – dal 15 al 17 novembre 2024 e dal 31 marzo al 4 aprile 2025 – le cui modalità di lavoro saranno definite nei prossimi mesi. Le proposte e le indicazioni concrete, sia come esortazioni e orientamenti, sia come determinazioni e delibere, verranno trasmesse al Consiglio episcopale permanente e all’Assemblea generale del maggio 2025.
Un punto molto importante, è stato sottolineato, sarà la recezione perché dovrà avvenire in forma sinodale con il coinvolgimento di tutte le Chiese locali.

Rito di istituzione di catechisti

Il Consiglio permanente ha poi condiviso la proposta di una versione italiana del rito di istituzione di catechisti (il ministero è stato istituito da papa Francesco il 10 maggio 2021, con la Lettera apostolica in forma di Motu proprio “Antiquum Ministerium”), che sarà presentata all’Assemblea di maggio per l’approvazione definitiva. Il testo è frutto dell’interlocuzione con il Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti che il 9 febbraio 2023 aveva accolto la proposta di un adattamento ad experimentum dell’Editio typica del Rito di istituzione di catechisti. I vescovi hanno convenuto sull’opportunità di adeguati cammini di formazione, come previsto dalla Nota ad experimentum del 13 luglio 2022, oltre che di prassi comuni nelle Diocesi vicine. È stata dunque preparata la traduzione in lingua italiana del rito liturgico previsto dal Pontificale Romano: l’adattamento tiene in considerazione le indicazioni della Nota Cei e le scelte stilistiche per gli adattamenti italiani degli altri libri liturgici per le Chiese che sono in Italia.

Verso il Giubileo

È stato presentato ai vescovi il calendario degli appuntamenti del Giubileo predisposti dalla Santa Sede, con le indicazioni relative alle iscrizioni e alla partecipazione. In quest’ottica, è stata ribadita l’importanza del delegato diocesano che ha il compito di interfacciarsi con il Dicastero per l’evangelizzazione per tutto ciò che riguarda l’organizzazione e la promozione degli eventi in diocesi e del pellegrinaggio diocesano o regionale. In vista del Giubileo, potranno essere proposte iniziative di preghiera, che insieme al vescovo vedano protagonista il popolo di Dio, nell’arco del 2024, un anno che Papa Francesco ha deciso di dedicare proprio alla preghiera. «I prossimi mesi – ha spiegato il Pontefice all’Angelus di domenica 21 gennaio – ci condurranno all’apertura della Porta Santa, con cui daremo inizio al Giubileo. Vi chiedo di intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene questo evento di grazia e sperimentarvi la forza della speranza di Dio. Per questo iniziamo oggi l’Anno della preghiera, cioè un anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo».

Francesco alla Settimana Sociale di Trieste:

Il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi, ha dato notizia che sarà papa Francesco a chiudere la 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio 2024). «Il Santo Padre – ha detto monsignor Baturi – sarà con noi domenica 7 luglio per portare un messaggio ai partecipanti all’appuntamento di Trieste e per celebrare la Messa».

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Una piccola notizia che piccola non è

Mar, 23/01/2024 - 09:42

È una notizia che ci fa essere felici e grati all’istituzione che ne è l’artefice. Palazzo dei Marescialli, sede dal 1962 del Consiglio superiore della magistratura, cambia nome e il prossimo 12 febbraio sarà intitolato a Vittorio Bachelet, che fu presidente nazionale dell’Azione cattolica dal 1964 al 1973, artefice del nuovo Statuto associativo post-Concilio, e vicepresidente del Csm dal dicembre 1976 sino al 12 febbraio 1980. Giorno in cui fu assassinato da un commando delle Brigate rosse sulle scale della facoltà di Scienze politiche dell’Università “La Sapienza”, a Roma, a conclusione di una sua lezione di Diritto amministrativo. Erano con lui una giovanissima assistente, Rosy Bindi, e alcuni suoi studenti. Vittorio avrebbe di lì a poco compiuto 54 anni, era nato il 20 febbraio del 1926, aveva due figli, Maria Grazia e Giovanni, e una moglie dolcissima, Maria Teresa.

Palazzo dei Marescialli, futuro Palazzo Vittorio Bachelet Bachelet: il giusto peso storico a quanto accaduto

Dopo la morte di Vittorio Bachelet, fu Sandro Pertini, capo della Stato e dunque presidente del Csm, a dare subito il giusto peso storico a quanto accaduto. Disse subito che con quell’omicidio la lotta armata in Italia aveva toccato il suo punto più alto di aggressione allo Stato: «Questo di oggi è il più grave delitto che sia stato consumato in Italia perché il delitto Moro aveva un carattere politico, mentre quello di oggi è diretto contro le istituzioni; perché si è voluto colpire il vertice della Magistratura, il vertice del pilastro fondamentale della democrazia».

Non solo per com’è morto ma anche per com’è vissuto

Ma non è solo questa la ragione dell’intitolazione. Non è solo per com’è morto ma anche per com’è vissuto che ricordiamo Vittorio Bachelet. L’uomo scelto dall’amico Paolo VI con la precisa missione di rinnovare l’Azione cattolica secondo la prospettiva del Concilio Vaticano, l’amico fraterno di un altro martire della democrazia, Aldo Moro, conosciuto negli anni della Fuci, è stato uomo del dialogo. Lo spiega bene Sergio Mattarella, nel suo discorso al Csm in occasione della cerimonia in ricordo di Vittorio Bachelet, nel 40esimo anniversario della scomparsa: «L’azione che qui ha svolto è l’espressione del suo impegno per la teorizzazione del bene comune attraverso la ricerca delle possibilità d’incontro tra posizioni diverse, una ricerca fondata sull’ascolto e sulla reale apertura al confronto. Era convinto, infatti, che nell’impegno sociale, in quello politico, in quello istituzionale, proprio attraverso il dialogo fosse possibile ricomporre le divisioni, interpretando così il senso più alto della convivenza».

Il Presidente Sergio Mattarella al CSM in occasione della cerimonia per il 40° anniversario dell’uccisione di Vittorio Bachelet (12 febbraio 2020) Bachelet: per una società più giusta, più equa, più fraterna

Vittorio Bachelet ci ha testimoniato che è irrinunciabile impegnarsi per una società più giusta, più equa, più fraterna, senza mai trascendere nella sterile contrapposizione fine a sé stessa. Egli amava la sua famiglia, la sua comunità, la sua associazione, il suo paese. Amava i valori della nostra Costituzione. Ed è questo amore che ci ha lasciato in eredità. Lo stesso amore per la vita che ha ispirato le parole che Giovanni Bachelet pronunciò al funerale del padre: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella saluta Giovanni Bachelet, figlio di Vittorio Bachelet, in occasione della cerimonia del 40° anniversario della scomparsa. Custodire non vuol dire conservare ma vivere

Il 9 e 10 febbraio prossimo si terrà a Roma l’annuale “Convegno Bachelet” che l’Azione cattolica promuove insieme all’Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici dedicato a Vittorio. Giunto alla sua 44ª edizione, ha come tema “Per una (r)esistenza democratica. Come e dove si custodisce la democrazia”. Custodire è il verbo su cui tutti dovremmo soffermarci. Custodire non vuol dire conservare qualcosa in una teca, in un cassetto, ma viverla. Piuttosto, condividerla. Perché l’oblio non l’avvolga e perché si rigeneri continuamente, di generazione in generazione. Innaffiandola di speranza, come ci ha detto Vittorio.
«Io credo che dobbiamo guardare a questo futuro con fiducia, e anche con speranza – così Bachelet nel suo intervento all’Assemblea elettiva dell’Azione cattolica del 1973, lasciando la presidenza dell’associazione – anche se siamo abbastanza sicuri che le difficoltà che ci saranno non saranno forse granché minori di quelle che abbiamo avuto fino a ora. Ma dobbiamo guardare con fiducia, senza lasciarci prendere da un atteggiamento che qualche volta rischia di morderci il cuore. Per costruire ci vuole la speranza. In fondo penso che dovremmo riflettere molto sulle grandi parole che diceva papa Giovanni all’inizio del Concilio: “Ci sono quelli che vedono sempre che tutto va male, e invece noi pensiamo che ci siano tante cose valide, positive”. Noi dobbiamo tenerlo fermo come atteggiamento di speranza, che ci consente di vincere anche queste ombre, di vincere anche questi rischi, di vincere il male con il bene».

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Ingiustizie e conflitti sono sinonimi

Lun, 22/01/2024 - 07:00

Com’è possibile che nel mondo di oggi si muoia ancora di fame, si venga sfruttati, si sia condannati all’analfabetismo, si manchi di cure mediche di base e si rimanga senza un tetto? È la domanda al cuore del Messaggio inviato da papa Francesco al World Economic Forum 2024, svoltosi a Davos, in Svizzera, dal 15 al 19 gennaio. Una domanda non nuova, a rileggere i discorsi di papa Bergoglio. In un certo senso, l’interrogativo potrebbe titolare un intero capitolo del suo pontificato. In un mondo sempre più produttivo, sempre più ricco globalmente, perché solo la giustizia sociale non cresce? Perché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri?

Un mondo sempre più lacerato e cieco

Eppure questa volta l’interrogativo, sottoposto ai partecipanti del Forum economico mondiale, pesa terribilmente di più. Ed è lo stesso Francesco a spiegarlo, anche a coloro che non hanno “occhi per vedere e orecchie per sentire”. Viviamo in «un mondo sempre più lacerato, in cui milioni di persone – uomini, donne, padri, madri, bambini – i cui volti sono per lo più sconosciuti, continuano a soffrire, non da ultimo per gli effetti di conflitti prolungati e di guerre vere e proprie».
Queste sofferenze – sottolinea Francesco, ripetendo la stessa riflessione condivisa nel Discorso al Corpo diplomatico presso la Santa Sede, nell’udienza del 8 gennaio – sono aggravate dal fatto che «le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia ben definiti, né coinvolgono solo i soldati». In un contesto in cui sembra non essere più rispettata la distinzione tra obiettivi militari e civili, non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile, intesa come i tanti che non possono mettersi al sicuro, in qualche angolo di mondo in pace, i tanti che non possono lasciare il poco o niente che possiedono.

Francesco: alla base dei conflitti ingiustizie mai affrontate

La speranza di papa Francesco è che i più ricchi e potenti, quelli che hanno il potere di farlo, un giorno tengano conto della «urgente necessità di promuovere la coesione sociale, la fratellanza e la riconciliazione tra gruppi, comunità e Stati, per affrontare le sfide che abbiamo davanti». Prima tra queste sfide è la pace. Quella a cui i popoli anelano «non può che essere frutto della giustizia», afferma il pontefice. Di conseguenza, per raggiungerla non serve solo «mettere da parte gli strumenti di guerra», bensì «affrontare le ingiustizie» alla base dei conflitti. Anzitutto la fame, «che continua ad affliggere intere regioni del mondo, mentre altre sono segnate da un eccessivo spreco di cibo». E poi: lo sfruttamento delle risorse naturali che continua ad arricchire pochi, lasciando intere popolazioni, spesso i naturali beneficiari di queste risorse, in uno stato di indigenza e povertà.

Non si può ignorare l’interdipendenza dei popoli

Come ignorare poi – denuncia papa Bergoglio – «il diffuso sfruttamento di uomini, donne e bambini costretti a lavorare per bassi salari e privati di reali prospettive di sviluppo personale e di crescita professionale». Fenomeni che non riguardano solo alcuni Paesi ma il mondo intero perché, sottolinea il pontefice, il processo di globalizzazione ha ormai dimostrato chiaramente «l’interdipendenza delle nazioni e dei popoli del mondo». E questo ha «una dimensione fondamentalmente morale, che deve farsi sentire nelle discussioni economiche, culturali, politiche e religiose che mirano a plasmare il futuro della comunità internazionale».

Francesco: serve una globalizzazione eticamente valida e lungimirante

La proposta di papa Francesco. In un mondo sempre più minacciato dalla violenza, dall’aggressività e dalla frammentazione, è dunque essenziale che gli Stati e le imprese si uniscano nella promozione di modelli di globalizzazione lungimiranti ed eticamente validi, che per loro natura devono subordinare la ricerca del potere e del guadagno individuale, sia esso politico o economico, al bene comune della nostra famiglia umana, dando priorità ai poveri, ai bisognosi e a coloro che si trovano nelle situazioni più vulnerabili.

Il ruolo di imprese e finanza

Nel messaggio, il papa concentra infine lo sguardo sul mondo delle imprese e della finanza che oggi operano in contesti economici sempre più ampi, dove «gli Stati nazionali hanno una capacità limitata di governare i rapidi cambiamenti delle relazioni economiche e finanziarie internazionali». Proprio per questo motivo le imprese devono essere «sempre più guidate non solo dalla ricerca di un giusto profitto, ma anche da elevati standard etici», soprattutto nei confronti dei Paesi meno sviluppati che «non dovrebbero essere alla mercé di sistemi finanziari abusivi o usurari».

… e uno sviluppo autentico e globale

Ciò che serve, secondo papa Francesco, è uno sviluppo «autentico» e «globale», «condiviso da tutte le nazioni e in ogni parte del mondo»; pena «il regresso anche in aree finora segnate da un costante progresso». Allo stesso tempo, «è evidente la necessità di un’azione politica internazionale» che si concretizzi in «misure coordinate» proprio per perseguire efficacemente gli obiettivi di pace e sviluppo. Per Francesco è dunque importante che le strutture intergovernative, dall’Onu al Ocse, dal WTO ai vari G7, G8 e G20, siano in grado di esercitare efficacemente le loro funzioni di controllo e di indirizzo nel settore economico, poiché il raggiungimento del bene comune è un obiettivo che esula dalla portata dei singoli Stati, anche di quelli dominanti in termini di potenza, ricchezza e forza politica.

Francesco: giovani riprendere lotte e conquiste del passato

Queste stesse organizzazioni internazionali sono chiamate – secondo papa Francesco – a «garantire il raggiungimento di quell’uguaglianza che è alla base del diritto di tutti a partecipare al processo di pieno sviluppo, nel rispetto delle legittime differenze». Un impegno che vale anche per ciascuno di noi, specie per i più giovani. Con le nuove generazioni Francesco è chiarissimo: «riprendere le lotte e le conquiste delle generazioni passate, puntando sempre più in alto». Perché «la bontà, insieme all’amore, alla giustizia e alla solidarietà, non si raggiungono una volta per tutte, ma devono essere realizzate ogni giorno».

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