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Aggiornato: 4 min 19 sec fa

Ai Pellegrini delle Diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola, in occasione del bicentenario della morte del Papa Pio VII (20 aprile 2024)

5 ore 54 min fa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli. A Cesena sono stato.

Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11). Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio. Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa. Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc. Ad supremum, 6).

Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.

Primo: la comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci. I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile. E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene. Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione. Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua. Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.

E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza. Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9). È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia. Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.

Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo. Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia. A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.

Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono. Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia. Grande!

Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda. Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio. Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine. Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda. Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.

Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Ai membri del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (20 aprile 2024)

6 ore 54 min fa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno, e benvenuti!

Sono contento di darvi il benvenuto in occasione della vostra adunanza plenaria, nell’ambito della quale celebrate il 70° anniversario dell’istituzione del Pontificio Comitato.

Saluto il Presidente, Padre Marek Inglot, e saluto ciascuno di voi, grato per il vostro incontro e per il vostro servizio. Provenite da diversi Paesi e da tre continenti, ognuno con le proprie, apprezzate competenze specialistiche. Così garantite la dimensione internazionale e il carattere pluridisciplinare del Comitato, la cui attività di ricerca, convegnistica ed editoriale si inscrive in una dinamica multiculturale feconda e propositiva. La bella Collana «Atti e Documenti», diretta dal Segretario del Pontificio Comitato, festeggia quest’anno anch’essa un settantesimo: il 70° volume edito.

Ciò testimonia un impegno nella ricerca della verità storica su scala mondiale, in uno spirito di dialogo con differenti sensibilità storiografiche e con molteplici tradizioni di studi. È bene che collaboriate con altri, espandendo le vostre relazioni scientifiche e umane, ed evitando forme di chiusura mentale e istituzionale. Vi incoraggio a mantenere questo approccio arricchente, fatto di ascolto costante e attento, libero da ogni ideologia – le ideologie uccidono – e rispettoso della verità. Ribadisco quanto vi dissi in occasione del vostro 60° anniversario: «Nell’incontro e nella collaborazione con ricercatori di ogni cultura e religione, voi potete offrire un contributo specifico al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo» (Discorso, 12 aprile 2014).

Questo stile concorre a sviluppare quella che chiamerei “diplomazia della cultura”. È molto attuale, e oggi tanto più necessaria nel contesto del pericoloso conflitto globale a pezzi in atto, al quale non possiamo assistere inerti. Vi invito pertanto a proseguire nel lavoro di ricerca storica aprendo orizzonti di dialogo, dove portare la luce della speranza del Vangelo, quella speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

Mi piace pensare al rapporto tra la Chiesa e gli storici nei termini di prossimità. C’è infatti una relazione vitale tra la Chiesa e la storia. Su tale aspetto San Paolo VI ha sviluppato un’intensa riflessione, ravvisando il punto di incontro privilegiato tra la Chiesa e gli storici nella comune ricerca della verità e nel comune servizio alla verità. Ricerca e servizio. Ecco le parole che rivolse agli storici, nel 1967: «Può essere qui che si trovi il principale punto di incontro tra voi e noi […], tra la verità religiosa della quale la Chiesa è depositaria e la verità storica, della quale voi siete i buoni e devoti servitori: tutto l’edificio del cristianesimo, della sua dottrina, della sua morale e del suo culto, tutto riposa in definitiva sulla testimonianza. Gli Apostoli di Cristo hanno testimoniato ciò che hanno visto e ascoltato. […] Ciò lascia comprendere quanto un organismo di natura spirituale e religiosa come la Chiesa cattolica sia interessato alla ricerca e all’affermazione della verità storica […] Essa pure ha una storia, e il carattere storico delle sue origini ha in particolare per essa un’importanza decisiva» (Discorso ai partecipanti all’Assemblea generale del Comitato internazionale di scienze storiche, 3 giugno 1967).

La Chiesa cammina nella storia, accanto alle donne e agli uomini di ogni tempo, e non appartiene a nessuna cultura particolare, ma desidera vivificare con la testimonianza mite e coraggiosa del Vangelo il cuore di ogni cultura, così da costruire insieme la civiltà dell’incontro. Invece, le tentazioni dell’autoreferenzialità individualistica e dell’affermazione ideologica del proprio punto di vista alimentano l’inciviltà dello scontro. La civiltà dell’incontro e l’inciviltà dello scontro. È bello che voi, a settant’anni dalla nascita, testimoniate di saper resistere a tali tentazioni, vivendo con passione, attraverso gli studi, l’esperienza rigenerante del servizio all’unità, a quell’unità composita e armonica che lo Spirito Santo ci mostra a Pentecoste.

Sessant’anni fa, in quell’evento benedetto dallo Spirito che è stato il Concilio Vaticano II, San Paolo VI pronunciò parole che suonano come monito a ogni lusinga di compiaciuta autoreferenzialità ecclesiale, dalla quale occorre proteggere il vostro servizio: «Nessuno […] pensi che la Chiesa […] si soffermi su se stessa per compiacersene e dimentichi sia Cristo, dal quale tutto riceve, a cui tutto deve, sia il genere umano, per servire il quale è nata. La Chiesa sta nel mezzo tra Cristo e la comunità umana, non ripiegata su di sé, non come un velo opaco che impedisce la vista, non fine a se stessa, ma al contrario costantemente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo, per Cristo, di essere tutta degli uomini, tra gli uomini, per gli uomini, tramite veramente umile ed eccellente tra il Divin Salvatore e l’umanità» (Discorso per l’inaugurazione della III Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 14 settembre 1964, 17).

Per i vostri settant’anni, vi auguro di conformare il vostro operato a queste parole: gli studi storici vi rendano maestri in umanità e servitori dell’umanità. A voi e ai vostri cari imparto di cuore la mia benedizione, chiedendovi, per favore, di pregare per me. Grazie.

Agli Studenti della Rete Nazionale delle Scuole di Pace (19 aprile 2024)

Ven, 19/04/2024 - 10:15

Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, buongiorno a tutti!

Sono contento di incontrare ancora una volta la rete nazionale delle “Scuole per la Pace”. Saluto il Dottor Lotti e do il benvenuto a tutti voi.

Voglio prima di tutto ringraziarvi. Grazie per questo cammino ricco di idee, di iniziative, di percorsi formativi e di attività, che intendono promuovere una nuova visione del mondo. Grazie per essere pieni di entusiasmo nell’inseguire obiettivi di bellezza e di bontà, in mezzo a situazioni drammatiche, ingiustizie e violenze che sfigurano la dignità umana. Grazie perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande. Oggi più che mai, invece, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto. Grazie ragazzi e ragazze!

Nel prossimo mese di settembre si svolgerà a New York il Summit del Futuro, convocato dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”. Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento.

Voi portate nel cuore questo grande sogno: “Trasformiamo il futuro. Per la pace, con la cura”. E proprio su questo vorrei brevemente soffermarmi per dirvi una cosa in cui credo molto: che voi siete chiamati – ascoltate bene – voi siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro. Vi domando: a che cosa voi siete chiamati? Ad essere che? [rispondono i ragazzi] Non ho sentito bene!... [rispondono a gran voce i ragazzi] Coraggio! Avanti! La convocazione di questo Summit mondiale, infatti, ci ricorda che tutti siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto, che dobbiamo costruirlo insieme! Vi domando: il futuro si può costruire da soli? [I ragazzi rispondono “no”]. Non sento… [un “no” a gran voce]. Dobbiamo costruirlo? [“Sì!”] Bravi! Non possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a coloro che hanno particolari responsabilità sociali e politiche. È vero che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di noi partecipazione attiva e impegno personale. In un mondo globalizzato, come questo, dove siamo tutti interdipendenti, non è possibile procedere come singoli individui che si prendono cura soltanto del proprio “orto”, per coltivare i propri interessi: occorre invece mettersi in rete e fare rete. Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete. Cosa occorre? Mettersi in rete e fare rete. Tutti insieme! [i ragazzi rispondono] Ecco, sì bravi, e questo è importante, bisogna entrare in connessione, lavorare in sinergia e in armonia. Questo significa passare dall’io al noi: non “io lavoro per il mio bene”, ma “noi lavoriamo per il bene comune, per il bene di tutti”. Noi lavoriamo per il bene di tutti. Insieme! [i ragazzi ripetono] Bravi!

In effetti, le sfide odierne, e soprattutto i rischi che, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro, sono anch’essi diventati globali. Ci riguardano tutti, interrogano l’intera comunità umana, richiedono il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, le crisi economiche, le crisi politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando.

Cari ragazzi, care ragazze, cari insegnanti, si tratta di un sogno che richiede di essere svegli e non addormentati! Sì, perché lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza anche con la preghiera, cioè insieme con Dio, e non con le nostre sole forze.

Cari studenti, cari insegnanti, voi avete messo al cuore del vostro impegno due parole-chiave: la pace e la cura. Sono due realtà legate tra loro: la pace, infatti, non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione. Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso. Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo.

In questo tempo ancora segnato dalla guerra, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità.

Vorrei parlarvi due minuti sulla guerra. Pensate ai bambini che sono in guerra, pensate ai bambini ucraini che hanno dimenticato di sorridere. Pregate per questi bambini, metteteli nel cuore i bambini che sono in guerra. Pensate ai bambini di Gaza, mitragliati, che hanno fame. Pensate ai bambini. Adesso un piccolo silenzio, e ognuno di noi pensi ai bambini ucraini e ai bambini di Gaza.

Vi auguro di essere sempre appassionati del sogno della pace. Lo dico con il motto di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che al “non mi importa”, tipico dell’indifferenza menefreghista, opponeva l’“I care”, cioè il “mi sta a cuore”, “mi interessa”. Che tutto questo stia a cuore a voi. Che vi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera. E vi siano a cuore i bambini ucraini, che dimenticano di sorridere; i bambini di Gaza, che soffrono sotto le mitraglie. Vi benedico di cuore. Buona scuola e buon cammino! E, per favore, ricordatevi di pregare per me. Grazie tante!

A Superiore e Delegate delle Carmelitane Scalze (18 aprile 2024)

Gio, 18/04/2024 - 08:45

Buongiorno, benvenute!

Sono contento di incontrarvi mentre siete riunite per riflettere insieme e lavorare alla revisione delle vostre Costituzioni, quelle del ’90, o quelle precedenti, non so, lavorate tra voi. È un appuntamento importante, perché non risponde soltanto a una necessità umana, alle contingenze della vita comunitaria: si tratta invece di un “tempo dello Spirito”, che siete chiamate a vivere come occasione di preghiera e di discernimento. Restando interiormente aperte a ciò che lo Spirito Santo vuole suggerirvi, avete il compito di trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti per dare ancora maggiore slancio alla vita contemplativa che il Signore vi ha chiamato ad abbracciare, perché il carisma si conservi – il carisma è lo stesso – e che possa essere compreso e attirare tanti cuori, per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa. Quando un Carmelo funziona bene attira, attira, non è vero? È come la luce con le mosche, attira, attira.

Rivedere le Costituzioni significa proprio questo: raccogliere la memoria del passato – non bisogna rinnegarlo – per guardare al futuro. In effetti, voi mi insegnate che la vocazione contemplativa non porta a custodire delle ceneri, ma ad alimentare un fuoco che arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo. Perciò, la memoria della vostra storia e di quanto negli anni è maturato nelle Costituzioni è una ricchezza che deve restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo, alla perenne novità del Vangelo, ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane. Così si conserva un carisma. Non cambia, ascolta e si apre a ciò che il Signore vuole in ogni momento.

Questo vale in generale per tutti gli istituti di vita consacrata, ma voi claustrali lo sperimentate in modo particolare, perché vivete in pieno la tensione tra la separazione dal mondo e l’immersione in esso. Voi infatti non vi rifugiate in una consolazione spirituale intimistica o in una preghiera avulsa dalla realtà; al contrario, il vostro è un cammino in cui ci si lascia coinvolgere dall’amore di Cristo fino ad unirsi a Lui, perché questo amore pervada tutta l’esistenza e si esprima in ogni gesto e in ogni azione quotidiana. Il dinamismo della contemplazione è sempre un dinamismo d’amore, è sempre una scala che ci eleva a Dio non per staccarci dalla terra, ma per farcela abitare in profondità, come testimoni dell’amore ricevuto.

Con la sua sapienza e la sua fede ardente, la santa madre ve lo insegna. Ella è convinta che l’unione mistica e interiore con la quale Dio lega l’anima a sé, quasi “sigillandola” col suo amore, pervade e trasforma tutta la vita, senza staccare dalle occupazioni quotidiane o suggerire una fuga nelle cose dello spirito. Teresa afferma che è necessario un tempo consacrato al silenzio e all’orazione, ma bisogna intenderlo come la sorgente dell’apostolato e di tutte quelle mansioni quotidiane che il Signore ci chiede per servire la Chiesa. Ella infatti afferma: «Marta e Maria devono offrire insieme ospitalità al Signore, trattenerlo sempre presso di loro, e non fargli cattiva accoglienza non dandogli da mangiare. Come lo nutrirebbe Maria, sempre seduta ai suoi piedi, se la sorella non la aiutasse? Il suo nutrimento è lo sforzo che facciamo di avvicinare le anime a Lui in tutti i modi possibili, perché esse si salvino e non cessino di lodarlo» (S. Teresa d’Avila, Mansioni, VII, IV, 14). Fin qui la citazione, che conoscete meglio di me.

In questo modo, la vita contemplativa non rischia di ridursi a un’inerzia spirituale, che distoglie dalle incombenze della vita quotidiana. Un prete che non conosceva questo tipo di mistica le chiamava “le monache sonnolente”, che vivono dormendo. Ma la vita contemplativa continua a fornire la luce interiore per il discernimento. E di quale luce avete bisogno per rivedere le Costituzioni, affrontando i tanti problemi concreti dei monasteri e della vita comunitaria? La luce è questa: la speranza nel Vangelo.  Ma sempre radicato nei padri fondatori, nella madre fondatrice e in san Giovanni.

La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani. Significa abbandonarsi a Dio, imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro, saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà. Significa non affidarci soltanto alle strategie umane, alle strategie difensive quando si tratta di riflettere su un monastero da salvare o da lasciare, sulle forme della vita comunitaria, sulle vocazioni. Le strategie difensive sono frutto di un nostalgico ritorno al passato; questo non funziona, la nostalgia non funziona, la speranza evangelica va in un’altra direzione: ci dona la gioia della storia vissuta fino ad oggi ma ci rende capaci di guardare avanti, con quelle radici che abbiamo ricevuto. Questo si chiama conservare il carisma, la voglia di andare avanti, e questo sì che funziona.

Guardate avanti. Questo voglio augurarvi. Guardate avanti con la speranza evangelica e con i piedi scalzi, cioè con la libertà dell’abbandono in Dio. Guardate al futuro con le radici nel passato. E questo essere totalmente immerse nella presenza del Signore vi dia sempre anche la gioia della fraternità e dell’amore vicendevole. La Madonna vi accompagni. Di cuore benedico tutte voi, benedico il vostro lavoro di questi giorni, benedico le vostre comunità, benedico le monache del monastero. E vi chiedo di continuare a pregare per me. A favore, non contro! Grazie.

Udienza Generale del 17 aprile 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Mer, 17/04/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 15. La temperanza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi parlerò della quarta e ultima virtù cardinale: la temperanza. Con le altre tre, questa virtù condivide una storia che risale molto indietro nel tempo e che non appartiene ai soli cristiani. Per i greci la pratica delle virtù aveva come obbiettivo la felicità. Il filosofo Aristotele scrive il suo più importante trattato di etica indirizzandolo al figlio Nicomaco, per istruirlo nell’arte del vivere. Perché tutti cerchiamo la felicità eppure così pochi la raggiungono? Questa è la domanda. Per rispondere ad essa Aristotele affronta il tema delle virtù, tra le quali ha uno spazio di rilievo la enkráteia, cioè la temperanza. Il termine greco significa letteralmente “potere su sé stessi”. La temperanza è un potere su sé stessi. Questa virtù è dunque la capacità di autodominio, l’arte di non farsi travolgere da passioni ribelli, di mettere ordine in quello che il Manzoni chiama il “guazzabuglio del cuore umano”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che «la temperanza è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell’uso dei beni creati». «Essa – prosegue il Catechismo – assicura il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti dell’onestà. La persona temperante orienta al bene i propri appetiti sensibili, conserva una sana discrezione, e non segue il proprio istinto e la propria forza assecondando i desideri del proprio cuore» (n. 1809).

Dunque, la temperanza, come dice la parola italiana, è la virtù della giusta misura. In ogni situazione, si comporta con saggezza, perché le persone che agiscono mosse sempre dall’impeto o dall’esuberanza alla fine sono inaffidabili. Le persone senza temperanza sono sempre inaffidabili. In un mondo dove tanta gente si vanta di dire quello che pensa, la persona temperante preferisce invece pensare quello che dice. Capite la differenza? Non dire quello che mi viene in mente, così… No, pensare a quello che devo dire. Non fa promesse a vanvera, ma assume impegni nella misura in cui li può soddisfare.

Anche con i piaceri, la persona temperante agisce con giudizio. Il libero corso delle pulsioni e la totale licenza accordata ai piaceri, finiscono per ritorcersi contro noi stessi, facendoci precipitare in uno stato di noia. Quanta gente che ha voluto provare tutto con voracità si è ritrovata a perdere il gusto di ogni cosa! Meglio allora cercare la giusta misura: ad esempio, per apprezzare un buon vino, assaporarlo a piccoli sorsi è meglio che ingurgitarlo tutto d’un fiato. Tutti sappiamo questo.

La persona temperante sa pesare e dosare bene le parole. Pensa a quello che dice. Non permette che un momento di rabbia rovini relazioni e amicizie che poi solo con fatica potranno essere ricostruite. Specialmente nella vita famigliare, dove le inibizioni si abbassano, tutti corriamo il rischio di non tenere a freno tensioni, irritazioni, arrabbiature. C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere, ma entrambi richiedono la giusta misura. E questo vale per tante cose, ad esempio lo stare con gli altri e lo stare da soli.

Se la persona temperante sa controllare la propria irascibilità, non per questo la vedremo perennemente con il volto pacifico e sorridente. Infatti, qualche volta è necessario indignarsi, ma sempre nella giusta maniera. Queste sono le parole: la giusta misura, la giusta maniera. Una parola di rimprovero a volte è più salutare rispetto a un silenzio acido e rancoroso. Il temperante sa che nulla è più scomodo del correggere un altro, ma sa anche che è necessario: altrimenti si offrirebbe libero campo al male. In certi casi, il temperante riesce a tenere insieme gli estremi: afferma i principi assoluti, rivendica i valori non negoziabili, ma sa anche comprendere le persone e dimostra empatia per esse. Dimostra empatia.

Il dono del temperante è dunque l’equilibrio, qualità tanto preziosa quanto rara. Tutto, infatti, nel nostro mondo spinge all’eccesso. Invece la temperanza si sposa bene con atteggiamenti evangelici quali la piccolezza, la discrezione, il nascondimento, la mitezza. Chi è temperante apprezza la stima degli altri, ma non ne fa l’unico criterio di ogni azione e di ogni parola. È sensibile, sa piangere e non se ne vergogna, ma non si piange addosso. Sconfitto, si rialza; vincitore, è capace di tornare alla vita nascosta di sempre. Non cerca gli applausi, ma sa di avere bisogno degli altri.

Fratelli e sorelle, non è vero che la temperanza rende grigi e privi di gioie. Anzi, fa gustare meglio i beni della vita: lo stare insieme a tavola, la tenerezza di certe amicizie, la confidenza con le persone sagge, lo stupore per le bellezze del creato. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita. Preghiamo il Signore perché ci dia questo dono: il dono della maturità, della maturità dell’età, della maturità affettiva, della maturità sociale. Il dono della temperanza.

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Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, particulièrement les pèlerins provenant des paroisses et des établissements scolaires de France. Apprenons à cultiver la vertu de la tempérance pour savoir contrôler nos paroles et nos actes, afin d’éviter des situations de conflits inutiles, et promouvoir la paix dans notre société. Que Dieu vous bénisse !

[Rivolgo il mio cordiale saluto alle persone di lingua francese, in particolare ai pellegrini provenienti dalle parrocchie e dagli Istituti scolastici di Francia. Impariamo a coltivare la virtù della temperanza, in modo da poter controllare le nostre parole e le nostre azioni per evitare conflitti inutili e promuovere la pace nella nostra società. Dio vi benedica!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, Finland, Indonesia, Malaysia, the Philippines, Korea and the United States of America. In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father. May the Lord bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Finlandia, Indonesia, Malaysia, Filippine, Corea e Stati Uniti d’America. Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre. Il Signore vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, indem wir versuchen, die Tugenden zu leben, legen wir die Gewohnheiten des alten Menschen ab, um den neuen Menschen anzuziehen, der nach dem Bild Gottes geschaffen ist (vgl. Eph 4,22-24). Auf diese Weise dürfen wir schon jetzt von dem neuen Leben kosten, an dem der Auferstandene uns Anteil gibt.

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, cercando di vivere le virtù, abbandoniamo le abitudini dell’uomo vecchio per rivestirci dell’uomo nuovo, creato secondo Dio (cfr. Ef 4,22-24). In questo modo, possiamo già pregustare la nuova vita di cui il Risorto ci rende partecipi.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos a Cristo resucitado que nos enseñe a vivir con sobriedad y en acción de gracias por tantos dones que recibimos de su generosidad. Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

Dirijo uma cordial saudação aos peregrinos de língua portuguesa, especialmente a quantos vieram do Brasil, convidando todos a permanecer fiéis a Cristo Jesus. Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser sinal de confiança e esperança no meio dos outros. Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua portoghese, in particolare a quanti sono venuti dal Brasile, invitando tutti a rimanere fedeli a Cristo Gesù. Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere segno di fiducia e di speranza in mezzo agli altri. Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة. السَّعادَةُ معَ القناعَةِ هي فَرَحٌ يُزهِرُ في قلبِ الَّذين يَعرِفونَ ويُقَدِّرونَ ما هو الأهَمُّ في الحياة، حتَّى يَستَمتِعُوا بها بشكلٍ أفضل. باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. La felicità con la temperanza è letizia che fiorisce nel cuore di chi riconosce e dà valore a ciò che più conta nella vita, affinché possa gustarla meglio. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich. Bóg obdarował Wasz naród bogatą historią i kulturą, wielkimi Świętymi oraz piękną ziemią ojczystą. Dziękując za te dary, pielęgnujcie wewnętrzną wolność ducha, która potrafi z umiarkowaniem korzystać z dóbr duchowych i materialnych, z kultury i sztuki, oraz rezygnować z tego, co niszczy życie i godność osoby ludzkiej. Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Dio ha regalato alla vostra nazione una ricca storia e cultura, grandi Santi e una bellissima terra natia. Ringraziando per questi doni, coltivate una libertà interiore di spirito che sappia usare con temperanza i beni spirituali e materiali, la cultura e l’arte, e rinunciando a tutto ciò che distrugge la vita e la dignità della persona umana. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Religiosi Giuseppini del Murialdo e i Sacerdoti delle Diocesi di Milano e di Andria che celebrano significativi anniversari di Ordinazione sacerdotale, incoraggiandoli nella loro adesione a Cristo e nel servizio ai fratelli.

Accolgo con affetto i fedeli di Trevinano, Agerola, Triggiano e le Confraternite di Taranto, come pure il gruppo ANSPI di Avellino e l’Associazione Paesaggi rurali di interesse storico di Arezzo. Tutti esorto ad essere generosi protagonisti di bontà e di accoglienza evangelica.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente ai tanti studenti che ci rallegrano con la loro presenza. A ciascuno il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

E anche il nostro pensiero, di tutti noi, in questo momento va alle popolazioni in guerra. Pensiamo alla Terra Santa, alla Palestina, a Israele. Pensiamo all’Ucraina, la martoriata Ucraina. Pensiamo ai prigionieri di guerra: che il Signore muova la volontà per liberarli tutti. E parlando dei prigionieri, mi vengono in mente coloro che sono torturati. La tortura dei prigionieri è una cosa bruttissima, non è umana. Pensiamo a tante torture che feriscono la dignità della persona, e a tanti torturati. Il Signore aiuti tutti e benedica tutti.

E a tutti voi la mia benedizione!

Regina Caeli, 14 aprile 2024

Dom, 14/04/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno, buona domenica!

Oggi il Vangelo ci riporta alla sera di Pasqua. Gli apostoli sono riuniti nel cenacolo, quando da Emmaus tornano i due discepoli e raccontano il loro incontro con Gesù. E mentre esprimono la gioia della loro esperienza, il Risorto appare a tutta la comunità. Gesù arriva proprio mentre stanno condividendo il racconto dell’incontro con Lui. Questo mi fa pensare che è bello condividere, è importante condividere la fede. Questo racconto ci fa pensare all’importanza di condividere la fede in Gesù risorto.

Ogni giorno siamo bombardati da mille messaggi. Parecchi sono superficiali e inutili, altri rivelano una curiosità indiscreta o, peggio ancora, nascono da pettegolezzi e malignità. Sono notizie che non servono a nulla, anzi fanno male. Ma ci sono anche notizie belle, positive e costruttive, e tutti sappiamo quanto fa bene sentirsi dire cose buone, e come stiamo meglio quando ciò accade. Ed è bello pure condividere le realtà che, nel bene e nel male, hanno toccato la nostra vita, così da aiutare gli altri.

Eppure c’è una cosa di cui spesso facciamo fatica a parlare. Facciamo fatica a parlare di che? Della più bella che abbiamo da raccontare: il nostro incontro con Gesù. Ognuno di noi ha incontrato il Signore e facciamo fatica a parlarne. Ciascuno di noi potrebbe dire tanto in proposito: vedere come il Signore ci ha toccato, e questo condividerlo, non facendo da maestro agli altri, ma condividendo i momenti unici in cui ha percepito il Signore vivo, vicino, che accendeva nel cuore la gioia o asciugava le lacrime, che trasmetteva fiducia e consolazione, forza ed entusiasmo, oppure perdono, tenerezza. Questi incontri, che ognuno di noi ha avuto con Gesù, condividerli e trasmetterli. È importante fare questo in famiglia, nella comunità, con gli amici. Così come fa bene parlare delle ispirazioni buone che ci hanno orientato nella vita, dei pensieri e dei sentimenti buoni che ci aiutano tanto ad andare avanti, anche degli sforzi e delle fatiche che facciamo per capire e per progredire nella vita di fede, magari pure per pentirci e tornare sui nostri passi. Se lo facciamo, Gesù, proprio come è successo ai discepoli di Emmaus la sera di Pasqua, ci sorprenderà e renderà ancora più belli i nostri incontri e i nostri ambienti.

Proviamo allora a ricordare, adesso, un momento forte della nostra vita, un incontro decisivo con Gesù. Ognuno lo ha avuto, ognuno di noi ha avuto un incontro con il Signore. Facciamo un piccolo silenzio e pensiamo: quando io ho trovato il Signore? Quando il Signore si è fatto vicino a me? Pensiamo in silenzio. E questo incontro con il Signore, l’ho condiviso per dare gloria proprio al Signore? E anche, ho ascoltato gli altri, quando mi dicono di questo incontro con Gesù?

La Madonna ci aiuti a condividere la fede per rendere le nostre comunità sempre di più luoghi di incontro con il Signore.

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Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Seguo nella preghiera e con preoccupazione, anche dolore, le notizie giunte nelle ultime ore sull’aggravamento della situazione in Israele a causa dell’intervento da parte dell’Iran. Faccio un accorato appello affinché si fermi ogni azione che possa alimentare una spirale di violenza col rischio di trascinare il Medio oriente in un conflitto bellico ancora più grande.

Nessuno deve minacciare l’esistenza altrui. Tutte le nazioni si schierino invece da parte della pace, e aiutino gli israeliani e i palestinesi a vivere in due Stati, fianco a fianco, in sicurezza. È un loro profondo e lecito desiderio, ed è un loro diritto! Due Stati vicini.

Si giunga presto ad un cessate il fuoco a Gaza e si percorrano le vie del negoziato, con determinazione. Si aiuti quella popolazione, precipitata in una catastrofe umanitaria, si liberino subito gli ostaggi rapiti mesi fa! Quanta sofferenza! Preghiamo per la pace. Basta con la guerra, basta con gli attacchi, basta con la violenza! Sì al dialogo e sì alla pace!

Oggi in Italia si celebra la centesima Giornata nazionale per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sul tema «Domanda di futuro. I giovani tra disincanto e desiderio». Incoraggio questo grande Ateneo a proseguire il suo importante servizio formativo, nella fedeltà alla sua missione e attento alle odierne istanze giovanili e sociali.

Di cuore rivolgo il mio benvenuto a tutti voi, romani e pellegrini venuti dall’Italia e da tanti Paesi. Saluto in particolare i fedeli di Los Angeles, Houston, Nutley e Riverside negli Stati Uniti d’America; come pure i polacchi, specialmente - quante bandiere polacche! - quelli di Bodzanów e i giovani volontari dell’Equipe di Aiuto alla Chiesa dell’Est. Accolgo e incoraggio i responsabili delle Comunità di Sant’Egidio di alcuni Paesi latinoamericani.

Saluto i volontari delle ACLI impegnati nei patronati in tutta Italia; i gruppi di Trani, Arzachena, Montelibretti; i ragazzi della professione di fede della parrocchia Santi Silvestro e Martino in Milano; i cresimandi di Pannarano; e il gruppo giovani “Arte e Fede” delle Suore Dorotee.

Saluto con affetto i bambini di varie parti del mondo, venuti a ricordare che il 25-26 maggio la Chiesa vivrà la prima Giornata Mondiale dei Bambini. Grazie! Invito tutti ad accompagnare con la preghiera il cammino verso questo evento – la Prima Giornata dei Bambini – e ringrazio quanti stanno lavorando per prepararlo. E a voi, bambine e bambini, dico: vi aspetto! Tutti voi! Abbiamo bisogno della vostra gioia e del vostro desiderio di un mondo migliore, un mondo in pace. Preghiamo, fratelli e sorelle, per i bambini che soffrono per le guerre – sono tanti! – in Ucraina, in Palestina, in Israele, in altre parti del mondo, nel Myanmar. Preghiamo per loro e per la pace.

Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Saluto i ragazzi dell’Immacolata. Buon pranzo e arrivederci!

Ai membri del Consiglio Nazionale del Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani (MASCI) (13 aprile 2024)

Sab, 13/04/2024 - 10:00

Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Sono molto contento di incontrarvi nel vostro settantesimo anniversario di fondazione. Il 20 giugno 1954, infatti, grazie all’opera di Mario Mazza e Padre Ruggi d’Aragona, nasceva ufficialmente a Roma il Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani. Già da circa un decennio esisteva l’associazione dei Cavalieri di San Giorgio, che si era data per scopo di testimoniare nella vita i contenuti della Legge e della Promessa scout. Essa però ora si definiva più precisamente, focalizzandosi su valori di cui ancora oggi voi siete eredi, custodi e promotori: la comunità, l’educazione, il servizio e la cura della casa comune.

Mi piace il titolo che avete scelto: “Più vita alla vita”, perché la vita ci porta pienezza, dobbiamo lavorare per la pienezza. Lo avete voluto incarnare in alcuni progetti-simbolo da realizzare: donare una culla termica al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa; costruire una falegnameria nautica in Zambia; e piantare un bosco ad Argenta, in Romagna. Queste iniziative toccano valori importanti e per questo vorrei fermarmi un momento con voi a riflettervi.

Primo: la culla, che ci ricorda l’amore per la vita che nasce. Viviamo in un tempo di drammatica denatalità. L’età media degli italiani è 46 anni, l’età media degli albanesi è 23: questo ci fa capire. Una drammatica denatalità in cui l’uomo sembra aver smarrito il gusto del generare e del prendersi cura dell’altro, e forse anche il gusto di vivere. Una culla simboleggia invece la gioia per un bimbo che viene alla luce, l’impegno perché possa crescere bene, l’attesa e la speranza per ciò che potrà diventare. La culla ci parla della famiglia, nido accogliente e sicuro per i piccoli, comunità fondata sulla gratuità dell’amore; ma anche, di riflesso, ci parla di attenzione per la vita in ogni sua fase, specialmente quando il passare degli anni o le asperità del cammino rendono la persona più vulnerabile e bisognosa. Ed è significativo, in questo senso, il fatto che il vostro dono sia destinato al Centro di Primo Soccorso e Accoglienza di Lampedusa: ciò sottolinea ulteriormente che l’amore per la vita è sempre aperto e universale, desideroso del bene di tutti, al di là della provenienza o di qualsiasi altra condizione.

Seconda iniziativa: la falegnameria. La falegnameria è un simbolo caro a noi cristiani, perché il Figlio di Dio l’ha scelta come luogo in cui prepararsi alla sua missione di salvezza nel suo villaggio, a Nazaret, lavorando umilmente «con mani d’uomo» (Gaudium et spes, 22). In un mondo in cui si parla tanto, forse troppo, di fabbricare armi per fare la guerra – mi diceva un economista che in questo momento l’investimento che dà più reddito è quello della produzione di armi. Investire per distruggere, guadagnare con la distruzione – essa ci rimanda alla vocazione fondamentale dell’uomo di trasformare i doni di Dio non in mezzi di morte, ma in strumenti di bene, nell’impegno comune di costruire una società giusta e pacifica, dove a tutti sia data la possibilità di una vita dignitosa. La dignità della vita: lavorare per la dignità della vita.

Infine, terzo progetto: il bosco. Esso ci ricorda la nostra responsabilità per la casa comune, che il Creatore ha affidato alle nostre mani. Il rispetto, l’amore e il contatto diretto con la natura sono caratteristiche peculiari dello scoutismo, fin dalle sue origini. E sono valori di cui abbiamo tanto bisogno oggi, mentre ci scopriamo sempre più impotenti di fronte alle conseguenze di uno sfruttamento irresponsabile e miope del pianeta, prigionieri di stili di vita e comportamenti tanto egoisticamente sordi ad ogni appello di buon senso, quanto tragicamente autodistruttivi; insensibili al grido di una terra ferita, come pure alla voce di tanti fratelli e sorelle ingiustamente emarginati ed esclusi da un’equa distribuzione dei beni. A fronte di questo, lo stile sobrio, rispettoso e frugale degli scout è di grande esempio per tutti!

Avete deciso di piantare i vostri alberi ad Argenta, in memoria di Don Giovanni Minzoni. Egli è stato un parroco coraggioso che, in un contesto di violenta e prepotente ostilità, si è battuto, anche attraverso lo scoutismo, per formare i suoi giovani «a una solida vita cristiana e a un conseguente impegno per la trasformazione della società» (S. Giovanni Paolo II, Lettera a Mons. E. Tonini, Arcivescovo di Ravenna, 30 settembre 1983, nel 60° anniversario della morte di Don Minzoni). Anche questo è un richiamo importante a quell’ecologia integrale che, partendo dal farsi carico delle emergenze climatiche e ambientali, amplia la propria riflessione considerando, a monte, il «posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (Lett. enc. Laudato si’, 15).

Cari amici e care amiche, grazie per quello che siete e che fate! Vi incoraggio a perseverare nel vostro cammino, semel scout semper scout, come dice il vostro motto. È bello che continuiate ad essere comunità aperta, attenta, pronta ad accogliere, ascoltare e accompagnare chi il Signore mette sulla vostra strada; comunità profetica nell’annunciare con coraggio il Vangelo e desiderosa di uscire dalla propria cerchia per incontrare gli altri, specialmente chi abita le periferie esistenziali del nostro tempo.

Vi accompagno con la benedizione e la preghiera. E chiedo anche a voi di pregare per me, per favore. Grazie!

Ai Sindaci delle città Patrimonio dell'umanità in Spagna (13 aprile 2024)

Sab, 13/04/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di potervi ricevere in questa “Città” del Vaticano, che, proprio come quelle che voi rappresentate, conserva una ricca eredità della quale siamo i custodi. È una grande responsabilità, ma anche una bella vocazione.

In tal senso, penso che il nostro interesse per il patrimonio non possa limitarsi all’ambito artistico-culturale, ma debba avere una prospettiva più ampia, accogliendo l’integrità della persona che riceve questa eredità e dei popoli che ce l’hanno trasmessa. Le situazioni storiche — con le loro luci e le loro ombre — ci parlano di uomini e donne reali, di sentimenti autentici, che devono essere per noi lezioni di vita, prima che pezzi da museo.

Sono le sofferenze e gli aneliti delle persone che nel corso del tempo hanno costruito le proprie città, il meticciato di culture e di civiltà che si sono succedute in esse, e naturalmente la loro fede in Dio, ciò che fa battere il loro cuore con passione.

Chiedo al Signore che, insieme alla bellezza delle vostre città, vi conceda la grazia di trasmettere la fede, la speranza e la carità della vostra gente. Che la contemplazione dei diversi monumenti permetta — sia a quanti vi abitano sia a quanti le visitano — di riflettere sulla prudenza e la forza che hanno reso possibile la loro realizzazione. Che possano sentirsi interpellati dalla lezione di giustizia e di temperanza che ogni situazione storica racchiude. Parleremo così di popoli, di persone, di una storia che non si contempla, ma che si realizza, con un occhio al passato e l’altro al futuro, per avere sempre le mani nel presente che c’interroga ogni giorno. Che Dio vi benedica. Grazie.

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 85, sabato 13 aprile 2024, p. 11.

Messaggio del Santo Padre per il Network Alarabiya (12 aprile 2024)

Ven, 12/04/2024 - 18:30

Cari amici,

vi ringrazio per l’opportunità di rivolgervi una parola proprio al termine del Ramadan. Una felice coincidenza ricorre quest’anno, con il mese sacro islamico che si conclude pochi giorni dopo la celebrazione della Pasqua, la festa più importante per i cristiani.

Ma questa lieta ricorrenza, che porta ad alzare gli occhi al cielo e ad adorare il Signore «misericordioso e onnipotente» (Nostra aetate, 3), stride fortemente con la tristezza per il sangue che scorre nelle terre benedette del Medio Oriente.

Fratelli e sorelle, il nostro padre Abramo alzò gli occhi al cielo per guardare le stelle: la luce della vita, che ci avvolge e ci abbraccia dall’alto, ci chiede di superare la notte dell’odio perché, secondo la volontà del Creatore, siano gli astri a illuminare la terra, e non la terra a bruciare, devastata dalle fiamme di armi che infuocano il cielo!

Dio è pace e vuole la pace. Chi crede in Lui non può che ripudiare la guerra, la quale non risolve, ma aumenta i conflitti. La guerra, non mi stanco di ripetere, è sempre e solo una sconfitta: è una via senza meta; non apre prospettive, ma estingue la speranza.

Sono angosciato per il conflitto in Palestina e Israele: cessi subito il fuoco nella striscia di Gaza, dove è in corso una catastrofe umanitaria; possano arrivare gli aiuti alla popolazione palestinese che soffre tantissimo; si rilascino gli ostaggi rapiti a ottobre! E penso alla martoriata Siria, al Libano, a tutto il Medio Oriente: non lasciamo che divampino le fiamme del rancore, sospinte dai venti funesti della corsa agli armamenti! Non lasciamo che la guerra si allarghi! Arrestiamo l’inerzia del male!

Ho nella mente le famiglie, i giovani, i lavoratori, gli anziani, i bambini: sono certo che nel loro cuore, nel cuore della gente comune, c’è un grande desiderio di pace. E che, di fronte al dilagare della violenza, mentre le lacrime scendono dagli occhi, una parola esce dalla loro bocca: “basta”. Basta! – ripeto anch’io – a chi ha la grave responsabilità di governare le nazioni: basta, fermatevi! Per favore, fate cessare il rumore delle armi e pensate ai bambini, a tutti i bambini, come ai vostri stessi figli. Guardiamo tutti al futuro con gli occhi dei bambini. Loro non si chiedono chi è il nemico da distruggere, ma chi sono gli amici con cui giocare; loro hanno bisogno di case, parchi e scuole, non di tombe e fosse!

Amici, io credo che i deserti possano fiorire: come in natura, così pure nei cuori delle persone e nelle vite dei popoli. Ma dai deserti dell’odio spunteranno germogli di speranza solo se sapremo crescere insieme, l’uno a fianco dell’altro; se sapremo rispettare il credo degli altri; se sapremo riconoscere il diritto di esistere di ogni popolo e il diritto di ogni popolo ad avere uno Stato; se sapremo vivere in pace senza demonizzare nessuno. Io credo e spero in questo e con me i cristiani che, tra non poche difficoltà, vivono in Medio Oriente: li abbraccio e li incoraggio, chiedendo che abbiano sempre e ovunque il diritto e la possibilità di professare liberamente la loro fede, che parla di pace e fraternità.

Vi ringrazio per avermi ascoltato. Vi saluto con affetto, assicurandovi che porto il Medio Oriente nel cuore. A ciascuno di voi auguro ogni bene e benedizione dall’Altissimo. Shukran! [grazie!]

Dal Vaticano, 12 aprile 2024

 

FRANCESCO

Ai membri della Papal Foundation (12 aprile 2024)

Ven, 12/04/2024 - 09:00

Eminenze, Eccellenze,
cari fratelli e sorelle, buongiorno a tutti!

Sono lieto di salutare tutti voi, Membri, Amministratori e Delegati della Papal Foundation, in occasione del vostro pellegrinaggio annuale a Roma. Durante questo tempo pasquale celebriamo la risurrezione del Signore e il suo trionfo sul peccato e sulla morte. Infatti, la pietra posta davanti al sepolcro è stata rotolata via e noi siamo invitati ad alzare lo sguardo a Gesù e ad accoglierlo nella nostra vita, a dirgli ancora una volta “sì” (cfr Omelia nella Veglia Pasquale, 30 marzo 2024). In questo modo, la perenne presenza di Cristo risorto sarà sempre per noi fonte di una gioia che nessuno potrà toglierci (cfr Gv 16,22).

Fin dalla sua nascita, la Papal Foundation è stata veicolo di questa gioia pasquale portando la vicinanza, la compassione e la tenerezza dell’amore di Gesù a tanti fratelli e sorelle in tutto il mondo. Il vostro sostegno a vari progetti educativi, caritativi e apostolici favorisce lo sviluppo integrale di molti, tra cui poveri, rifugiati, migranti e, attualmente, un numero crescente di persone colpite dalla guerra e dalla violenza. Nello stesso tempo, le borse di studio destinate a laici, consacrati, seminaristi e sacerdoti di Paesi in via di sviluppo consentono loro di proseguire gli studi presso le Università Pontificie di Roma e forniscono a quanti le ricevono gli strumenti per testimoniare più efficacemente il Vangelo sia nei loro Paesi d’origine sia altrove.

Mediante queste diverse e lodevoli iniziative, voi continuate ad aiutare i Successori di Pietro a far crescere numerose Chiese locali e a prendersi cura di tante persone svantaggiate, in risposta alle consegne affidate dal Signore all’Apostolo (cfr Lc 22,32; Gv 21,17). Per tutta la vostra generosità, esprimo la mia sentita gratitudine: grazie, grazie tante.

Come ben sapete, il vostro lavoro trova la sua sorgente e la sua ispirazione nella nostra fede cattolica, che chiede di essere continuamente alimentata dalla partecipazione alla vita della Chiesa, dai Sacramenti e dal tempo trascorso in silenzio alla presenza del Signore nella preghiera e nell’adorazione. Non dimenticate di adorare. La preghiera dell’adorazione noi l’abbiamo trascurata, dobbiamo riprenderla: adorare, in silenzio. A questo proposito, la vostra visita avviene durante l’Anno della Preghiera, mentre la Chiesa si prepara a celebrare il Giubileo del 2025. Attraverso la perseveranza nella preghiera, noi diventiamo a poco a poco «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32) sia con Gesù che con gli altri, e ciò si traduce in solidarietà e condivisione del nostro pane quotidiano (cfr Lettera all’Arcivescovo Rino Fisichella per il Giubileo 2025, 11 febbraio 2022). Questo frutto della vita spirituale è importante per il vostro nobile impegno, perché, anche se forse non le incontrerete mai direttamente, i programmi della Papal Fondation promuovono un legame spirituale e fraterno con persone di molte culture, lingue e regioni diverse che ricevono assistenza. Il vostro servizio è tanto più necessario nel nostro tempo, segnato dall’individualismo e dall’indifferenza.

Vi porgo di cuore i migliori auguri per la vostra attività e per il vostro pellegrinaggio a Roma. Affido tutti voi e le vostre famiglie all’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, e vi do la mia benedizione come pegno di gioia e di forza nel Signore Risorto. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (11 aprile 2024)

Gio, 11/04/2024 - 08:30

Signori e Signore!

Con piacere do il benvenuto a tutti voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che venne istituita trent’anni or sono. Un pensiero alla Presidente, che è andata a casa perché la mamma è in fin di vita, e facciamo una preghiera per lei e per la mamma. Saluto il Cancelliere e il Vice Cancelliere e i collaboratori e li ringrazio per il loro servizio.

Ho apprezzato la scelta di mettere a tema di questa Assemblea plenaria l’esperienza umana della disabilità, i fattori sociali che la determinano e l’impegno per una cultura della cura e dell’inclusione. Infatti, l’Accademia delle Scienze Sociali è chiamata ad affrontare, secondo un modello transdisciplinare, alcune delle sfide attuali più urgenti. Penso alla tecnologia e alle sue implicazioni nella ricerca e in ambiti quali la medicina e la transizione ecologica; penso alla comunicazione e allo sviluppo dell’intelligenza artificiale – una versa sfida! –; come pure alla necessità di trovare nuovi modelli economici.

In tempi recenti la comunità internazionale ha compiuto notevoli passi in avanti nel campo dei diritti delle persone con disabilità. Molti Paesi si stanno muovendo in questa direzione. In altri, invece, tale riconoscimento è ancora parziale e precario. Tuttavia, là dove questo percorso è stato intrapreso, tra luci e ombre vediamo fiorire le persone e i germogli di una società più giusta e più solidale.

Ascoltando la voce degli uomini e delle donne con disabilità, siamo diventati più consapevoli del fatto che la loro vita è condizionata, oltre che dalle limitazioni funzionali, anche da fattori culturali, giuridici, economici e sociali, i quali possono ostacolarne le attività e la partecipazione sociale.

A fondamento della trattazione di questo tema sta naturalmente la dignità delle persone con disabilità, con le sue implicazioni antropologiche, filosofiche e teologiche. Senza appoggiarsi saldamente su tale base, può accadere che, mentre si afferma il principio della dignità umana, allo stesso tempo si agisca contro di essa. La dottrina sociale della Chiesa è molto chiara in proposito: le persone con disabilità «sono soggetti pienamente umani, titolari di diritti e doveri» (Compendio della Dottrina Sociale, n. 148). Ciascun essere umano ha il diritto a una vita dignitosa e a svilupparsi integralmente, «anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità» (Lett. enc. Fratelli tutti, 107).

La vulnerabilità e la fragilità appartengono alla condizione umana e non sono proprie solo delle persone con disabilità. Ce lo hanno ricordato alcune di loro nella recente Assemblea sinodale: «La nostra presenza – hanno scritto – può contribuire a trasformare le realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti. Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità» (La Chiesa è la nostra casa, 2).

La sollecitudine della Chiesa per quanti portano una o più disabilità attualizza i tanti incontri di Gesù con queste persone, narrati nei Vangeli. Da tali racconti si possono trarre spunti di riflessione sempre attuali.

In primo luogo, Gesù entra in contatto diretto con quanti vivono la disabilità, perché essa, come ogni forma di infermità, non è da ignorare o da negare. Ma Gesù non solo si pone in relazione con essi: Egli cambia anche il senso della loro esperienza; infatti introduce un nuovo sguardo sulla condizione delle persone con disabilità, sia nella società sia davanti a Dio. Per Lui infatti ogni condizione umana, anche quella segnata da forti limitazioni, è un invito a tessere un rapporto singolare con Dio che fa rifiorire le persone: pensiamo ad esempio, nel Vangelo, al cieco Bartimeo (cfr Mc 10,46-52).

Purtroppo, in molte parti del mondo, sono ancora le persone e le famiglie isolate e spinte ai margini della vita sociale a causa della disabilità. E questo non solo nei Paesi più poveri, dove vive la maggior parte di esse e dove tale condizione le condanna spesso alla miseria, ma anche in contesti di maggior benessere: qui a volte l’handicap è considerato una “tragedia personale” e i disabili sono «“esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società» (Lett. enc. Fratelli tutti, 98).

La cultura dello scarto, in effetti, non ha confini. Vi è chi presume di poter stabilire, in base a criteri utilitaristici e funzionali, quando una vita ha valore ed è degna di essere vissuta. Questo tipo di mentalità può portare a gravi violazioni dei diritti delle persone più deboli, a forti ingiustizie e disuguaglianze là dove ci si lascia guidare prevalentemente dalla logica del profitto, dell’efficienza o del successo. Ma c’è anche, nell’odierna cultura dello scarto, un aspetto meno visibile e molto insidioso che erode il valore della persona con disabilità agli occhi della società e ai suoi stessi occhi: è la tendenza che porta a considerare la propria esistenza un peso per sé e per i propri cari. Il diffondersi di questa mentalità trasforma la cultura dello scarto in cultura di morte. In fondo, «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (ivi, 18). Questo è molto importante, i due estremi della vita: i nascituri con disabilità si abortiscono, e agli anziani in fase finale si fa la “dolce morte”, l’eutanasia, un’eutanasia travestita, sempre, ma è eutanasia alla fine.

Combattere la cultura dello scarto significa promuovere la cultura dell’inclusione – vanno uniti –, creando e rafforzando i legami di appartenenza alla società. Gli attori protagonisti di questa azione solidaristica sono coloro che, sentendosi corresponsabili del bene di ciascuno, si adoperano per una maggiore giustizia sociale e per rimuovere le barriere di vario genere che impediscono a tanti di godere dei diritti e delle libertà fondamentali. I risultati ottenuti con tali azioni sono maggiormente visibili nei Paesi economicamente più sviluppati. In questi Paesi, generalmente, le persone con disabilità hanno diritto a prestazioni sanitarie e sociali, e, sebbene non manchino le difficoltà, sono incluse in molteplici ambiti della vita sociale: da quello educativo a quello culturale, da quello lavorativo a quello sportivo. Nei Paesi più poveri tutto ciò dev’essere ancora in gran parte realizzato. Pertanto, i governi che si impegnano in tal senso vanno incoraggiati e sostenuti dalla comunità internazionale. Allo stesso modo, è doveroso sostenere anche le organizzazioni della società civile, poiché senza la loro capillare azione solidaristica in molto luoghi le persone sarebbero abbandonate a sé stesse.

Si tratta dunque di costruire una cultura dell’inclusione integrale. Il legame di appartenenza diventa ancora più saldo quando le persone con disabilità non sono destinatarie passive, ma partecipano alla vita sociale come protagoniste del cambiamento. Sussidiarietà e partecipazione sono i due pilastri di un’effettiva inclusione. E in questa luce si comprende bene l’importanza delle associazioni e dei movimenti delle persone con disabilità che promuovono la partecipazione sociale.

Cari amici, «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. Qualunque impegno in tale direzione diventa un esercizio alto della carità. Infatti, un individuo può aiutare una persona bisognosa ma, quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel “campo della più vasta carità, della carità politica”» (ivi, 180).

Vi ringrazio, fratelli e sorelle, perché dentro questo impegno c’è anche il vostro contributo: di studio e di confronto nell’ambito della comunità scientifica e di sensibilizzazione in diversi ambienti sociali ed ecclesiali. Grazie, in particolare, per l’attenzione concreta alle sorelle e ai fratelli con disabilità. Di cuore benedico voi e il vostro lavoro. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

Ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione Biblica (11 aprile 2024)

Gio, 11/04/2024 - 08:15

Sono contento di accogliervi al termine della vostra annuale Assemblea plenaria, nella quale vi siete proposti di approfondire un tema esistenziale, fortemente esistenziale: la malattia e la sofferenza nella Bibbia. È una ricerca che riguarda ogni essere umano, in quanto soggetto all’infermità, alla fragilità, alla morte. La nostra natura ferita, infatti, porta inscritta in sé anche le realtà del limite e della finitudine, e patisce le contraddizioni del male e del dolore.

Il tema mi sta molto a cuore: la sofferenza e la malattia sono avversarie da affrontare, ma è importante farlo in modo degno dell’uomo, in modo umano, diciamo così: rimuoverle, riducendole a tabù di cui è meglio non parlare, magari perché danneggiano quell’immagine di efficienza a tutti i costi, utile a vendere e a guadagnare, non è certamente una soluzione. Tutti vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e occorre aiutarci ad attraversarle vivendole in relazione, senza ripiegarsi su sé stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione.

Sappiamo, anche per la testimonianza di tanti fratelli e sorelle, che il dolore e l’infermità, nella luce della fede, possono diventare fattori decisivi in un percorso di maturazione: il “setaccio della sofferenza” permette infatti di discernere ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Ma è soprattutto l’esempio di Gesù a indicare la via. Egli ci esorta a prenderci cura di chi vive in situazioni di infermità, con la determinazione di sconfiggere la malattia; al tempo stesso, invita delicatamente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta salvifica, come seme che porta frutto. Concretamente, la nostra visione di fede mi ha suggerito di proporvi qualche spunto di riflessione attorno a due parole decisive: compassione e inclusione.

La prima, la compassione,indica l’atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra. Vedendo i volti di tanta gente, pecore senza pastore che faticano a orientarsi nella vita (cfr Mc 6,34), Gesù si commuove. Ha compassione della folla affamata e sfinita (cfr Mc 8,2) e accoglie senza stancarsi gli ammalati (cfr Mc 1,32), di cui ascolta le richieste: pensiamo ai ciechi che lo supplicano (cfr Mt 20,34) e ai tanti infermi che chiedono guarigione (cfr Lc 17,11-19); è preso da «grande compassione» - dice il Vangelo - per la vedova che accompagna al sepolcro l’unico figlio (cfr Lc 7,13). Grande compassione. Questa sua compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con i sofferenti: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Compassione che porta alla vicinanza.

Tutto ciò rivela un aspetto importante: Gesù non spiega la sofferenza, ma si piega verso i sofferenti. Non si accosta al dolore con incoraggiamenti generici e consolazioni sterili, ma ne accoglie il dramma, lasciandosene toccare. La Sacra Scrittura è illuminante in questo senso: non ci lascia un prontuario di parole buone o un ricettario di sentimenti, ma ci mostra volti, incontri, storie concrete. Pensiamo a Giobbe, con la tentazione dei suoi amici di articolare teorie religiose che collegano la sofferenza con la punizione divina, ma si infrangono contro la realtà del dolore, testimoniata dalla vita di Giobbe stesso. Così la risposta di Gesù è vitale, è fatta di compassione che assume e che, assumendo, salva l’uomo e ne trasfigura il dolore. Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: abitandolo, soffrendolo e offrendolo come dono d’amore. Non ha dato risposte facili ai nostri “perché”, ma sulla croce ha fatto suo il nostro grande “perché” (cfr Mc 15,34). Così, chi assimila la Sacra Scrittura purifica l’immaginario religioso da atteggiamenti sbagliati, imparando a seguire il tragitto indicato da Gesù: toccare con mano la sofferenza umana, con umiltà, mitezz, serenità, per portare, in nome del Dio incarnato, la vicinanza di un sostegno salvifico e concreto. Toccare con mano, non teoricamente, con mano.

E questo ci porta alla seconda parola: inclusione. Anche se non è un vocabolo biblico, questa parola esprime bene un tratto saliente dello stile di Gesù: il suo andare in cerca del peccatore, dello smarrito, dell’emarginato, dello stigmatizzato, perché siano accolti nella casa del Padre (cfr Lc 15). Pensiamo ai lebbrosi: per Gesù nessuno dev’essere escluso dalla salvezza di Dio (cfr Mc 1,40-42). Ma l’inclusione abbraccia anche un altro aspetto: il Signore desidera che si risani la persona tutta intera, spirito, anima e corpo (cfr 1 Ts 5,23). A poco infatti gioverebbe una guarigione fisica dal male senza un risanamento del cuore dal peccato (cfr Mc 2,17; Mt 10,28-29). C’è una risanazione totale: corpo, anima e spirito.

Questa prospettiva di inclusione ci porta ad atteggiamenti di condivisione: Cristo, che è passato in mezzo alla gente facendo del bene e curando gli infermi, ha comandato ai suoi discepoli di aver cura dei malati e di benedirli nel suo nome (cfr Mt 10,8; Lc 10,9), condividendo con loro la sua missione di consolazione (cfr Lc 4,18-19). Dunque, attraverso l’esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, opportunità di dialogo e di speranza. La parabola del buon Samaritano «ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Lett. enc. Fratelli tutti, n. 67).

Cari fratelli e sorelle, nel lasciarvi questi spunti vi ringrazio per il vostro servizio e vi incoraggio ad approfondire, con rigore critico e spirito fraterno, i temi che state studiando, per irradiare la luce della Scrittura su aspetti delicati che riguardano tutti. La Parola di Dio è un antidoto potente nei riguardi di ogni chiusura, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l’uomo, innesca la carità e ravviva lo zelo apostolico. Perciò la Chiesa ha la costante necessità di abbeverarsi alle sorgenti della Parola. Benedico voi e la vostra missione di dissetare il santo Popolo di Dio con le fresche acque dello Spirito. E vi chiedo, per favore, di pregare per me. Grazie.

Udienza Generale del 10 aprile 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 14. La fortezza

Mer, 10/04/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 14. La fortezza

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La catechesi di oggi è dedicata alla terza delle virtù cardinali, vale a dire la fortezza. Partiamo dalla descrizione che ne dà il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni» (n. 1808). Così dice il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla virtù della fortezza.

Ecco, dunque, la più “combattiva” delle virtù. Se la prima delle virtù cardinali, vale a dire la prudenza, era soprattutto associata alla ragione dell’uomo; e mentre la giustizia trovava la sua dimora nella volontà; questa terza virtù, la fortezza, è spesso legata dagli autori scolastici a ciò che gli antichi chiamavano “appetito irascibile”. Il pensiero antico non ha immaginato un uomo senza passioni: sarebbe un sasso. E non è detto che le passioni siano necessariamente il residuo di un peccato; però esse vanno educate, vanno indirizzate, vanno purificate con l’acqua del Battesimo, o meglio con il fuoco dello Spirito Santo. Un cristiano senza coraggio, che non piega al bene la propria forza, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile. Pensiamo a questo! Gesù non è un Dio diafano e asettico, che non conosce le emozioni umane. Al contrario. Davanti alla morte dell’amico Lazzaro scoppia in pianto; e in certe sue espressioni traspare il suo animo appassionato, come quando dice: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49); e davanti al commercio nel tempio ha reagito con forza (cfr Mt 21,12-13). Gesù aveva passione.

Ma cerchiamo ora una descrizione esistenziale di questa virtù così importante che ci aiuta a portare frutto nella vita. Gli antichi – sia i filosofi greci, che i teologi cristiani – riconoscevano nella virtù della fortezza un duplice andamento, uno passivo e un altro attivo.

Il primo è rivolto dentro noi stessi. Ci sono nemici interni che dobbiamo sconfiggere, che vanno sotto il nome di ansia, di angoscia, di paura, di colpa: tutte forze che si agitano nel nostro intimo e che in qualche situazione ci paralizzano. Quanti lottatori soccombono prima ancora di iniziare la sfida! Perché non si rendono conto di questi nemici interni. La fortezza è una vittoria anzitutto contro noi stessi. La maggior parte delle paure che nascono in noi sono irrealistiche, e non si avverano per nulla. Meglio allora invocare lo Spirito Santo e affrontare tutto con paziente fortezza: un problema alla volta, come siamo capaci, ma non da soli! Il Signore è con noi, se confidiamo in Lui e cerchiamo sinceramente il bene. Allora in ogni situazione possiamo contare sulla Provvidenza di Dio che ci fa da scudo e corazza.

E poi il secondo movimento della virtù della fortezza, questa volta di natura più attiva. Oltre alle prove interne, ci sono nemici esterni, che sono le prove della vita, le persecuzioni, le difficoltà che non ci aspettavamo e che ci sorprendono. Infatti, noi possiamo tentare di prevedere quello che ci capiterà, ma in larga parte la realtà è fatta di avvenimenti imponderabili, e in questo mare qualche volta la nostra barca viene sballottata dalle onde. La fortezza allora ci fa essere marinai resistenti, che non si spaventano e non si scoraggiano.

La fortezza è una virtù fondamentale perché prende sul serio la sfida del male nel mondo. Qualcuno finge che esso non esista, che tutto vada bene, che la volontà umana non sia talvolta cieca, che nella storia non si dibattano forze oscure portatrici di morte. Ma basta sfogliare un libro di storia, o purtroppo anche i giornali, per scoprire le nefandezze di cui siamo un po’ vittime e un po’ protagonisti: guerre, violenze, schiavitù, oppressione dei poveri, ferite mai sanate che ancora sanguinano. La virtù della fortezza ci fa reagire e gridare un “no”, un “no” secco a tutto questo. Nel nostro confortevole Occidente, che ha un po’ annacquato tutto, che ha trasformato il cammino di perfezione in un semplice sviluppo organico, che non ha bisogno di lotte perché tutto gli appare uguale, avvertiamo talvolta una sana nostalgia dei profeti. Ma sono molto rare le persone scomode e visionarie. C’è bisogno di qualcuno che ci scalzi dal posto soffice in cui ci siamo adagiati e ci faccia ripetere in maniera risoluta il nostro “no” al male e a tutto ciò che conduce all’indifferenza. “No” al male e “no” all’indifferenza; “sì” al cammino, al cammino che ci fa progredire, e per questo bisogna lottare.

Riscopriamo allora nel Vangelo la fortezza di Gesù, e impariamola dalla testimonianza dei santi e delle sante. Grazie!

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins francophones présents à cette audience, en particulier les groupes des Paroisses et des Écoles venus de Belgique, de la Principauté de Monaco et de France. Je vous invite à vous entraîner à la vertu de force pour combattre vos peurs et trouver le courage de manifester votre foi avec enthousiasme. Que Dieu vous bénisse tous !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese presenti a questa udienza, in particolare i gruppi delle parrocchie e delle scuole giunti dal Belgio, dal Principato di Monaco e dalla Francia. Vi invito ad allenarvi nella virtù della fortezza per combattere le vostre paure e trovare il coraggio di manifestare la vostra fede con entusiasmo. Dio vi benedica tutti!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Denmark, the Netherlands and the United States of America. I also want to convey to the people of Kazakhstan my spiritual closeness at this time, when massive flooding has affected many regions of the country and caused thousands of people to be evacuated from their homes. I invite everyone to pray for all who are suffering the effects of this natural disaster. Even in times of difficulty, we recall the joy of the risen Christ, and I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father. May the Lord bless you all!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Danimarca, Paesi Bassi e Stati Uniti d’America. Desidero inoltre trasmettere al popolo del Kazakistan la mia vicinanza spirituale in questo momento, in cui una massiccia alluvione ha colpito molte regioni del Paese e ha causato l'evacuazione di migliaia di persone dalle loro case. Invito tutti a pregare per tutti coloro che stanno subendo gli effetti di questo disastro naturale. Anche nei momenti di difficoltà, ricordiamo la gioia di Cristo risorto e invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre. Il Signore vi benedica!]

Liebe Pilger deutscher Sprache, der Glaube an den auferstandenen Herrn befreit uns aus den Ketten der Angst und des Todes und führt uns zum Leben in Fülle. Darum beten wir voller Zuversicht: Jesus, ich vertraue auf dich! Jesus, ich vertraue auf dich!

[Cari pellegrini di lingua tedesca, la fede nel Signore Risorto ci libera dalle catene della paura e della morte e ci conduce alla pienezza della vita. Per questo preghiamo con fiducia: Gesù, confido in te! Gesù, confido in te!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Que este tiempo pascual aumente en nosotros los dones de la gracia, para que comprendamos mejor la excelencia del bautismo y que la misericordia eterna del Señor, que hemos celebrado el domingo pasado, nos haga crecer más en la virtud de la fortaleza y en las obras de bien. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los acompañe. Muchas gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa presentes na audiência de hoje, especialmente os que vieram de Portugal e do Brasil. Encorajo-vos a anunciar Jesus ressuscitado, porque Ele, que é a nossa Paz, não nos deu um espírito de timidez, mas de fortaleza. Em seu nome vos abençoo, a vós e aos vossos entes queridos!

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese presenti all’odierna udienza, in particolare quelli provenienti dal Portogallo e dal Brasile. Vi incoraggio ad annunciare Gesù Risorto, perché Lui, che è la nostra Pace, non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza. Nel suo Nome, benedico voi e i vostri cari!]

أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة. بِقيامَةِ يسوعَ مِن بينِ الأموات، لمْ يَعُدْ للشَّرِّ سُلطان، ولا يستطيعُ الفشلُ أنْ يَمنَعَنا مِن أنْ نَبدأَ مِن جديد، والموتُ أصبحَ مَعبَرًا لبدايةِ حياةٍ جديدة. باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Con la risurrezione di Gesù, il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare e la morte diventa passaggio per l’inizio di una vita nuova. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam Polaków, w szczególności pielgrzymów z diecezji bydgoskiej, przybyłych z okazji 20-lecia jej istnienia. W codziennym praktykowaniu cnoty męstwa niech będzie dla nas wszystkich wzorem patron waszej diecezji, błogosławiony bp Michał Kozal, męczennik z Dachau. Twierdził on, że: „Od przegranej orężnej bardziej przeraża upadek ducha u ludzi a wątpiący staje się mimo woli sojusznikiem wroga”. Z serca wam błogosławię i zawierzam was macierzyńskiej opiece Matki Bożej Pięknej Miłości.

[Saluto cordialmente i polacchi, in particolare i pellegrini della diocesi di Bydgoszcz, giunti per celebrare il 20° anniversario della sua istituzione. Nell’esercizio quotidiano della virtù della fortezza vi sia d’esempio il patrono della vostra diocesi, il beato vescovo Michał Kozal, martire di Dachau. Egli affermava che: “Di una sconfitta da arma fa inorridire di più l’abbattimento dello spirito degli uomini e il dubbioso diventa involontariamente alleato del nemico”. Vi benedico di cuore e vi affido alla materna protezione della Beata Vergine Maria.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti, i seminaristi e i fedeli della Sardegna, qui convenuti per la Visita ad limina dei loro Vescovi. Saluto i Religiosi Pallottini e le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, che affido all’intercessione dei rispettivi fondatori, San Vincenzo Pallotti e la Beata Clelia Merloni. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, tra i quali i fedeli di Montoro, che ricordano un significativo anniversario del patrono San Nicola da Tolentino, la cui effige restaurata benedico volentieri.

Saluto altresì le Confraternite di Gissi e di Carunchio, l’Associazione Interparlamentare “Cultori dell’Etica” e i Paracadutisti “Folgore” di Livorno, incoraggiando ciascuno a vivere con impegno la propria missione nella Chiesa e nella società. Un affettuoso saluto dirigo poi alle Scuole delle Missionarie della Dottrina Cristiana di Roma, Sulmona e L’Aquila, auspicando che l’azione educativa sia sempre sostenuta ed animata dagli ideali cristiani.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Vi auguro di far crescere nel cuore la luce consolante dell’annuncio pasquale, che invita a rafforzare la fede e la speranza in Gesù, crocifisso e risorto.

E il mio pensiero va alla martoriata Ucraina e alla Palestina e Israele. Che il Signore ci dia la pace! La guerra è dappertutto –  non dimentichiamo il Myanmar – ma chiediamo al Signore la pace e non dimentichiamo questi nostri fratelli e sorelle che soffrono tanto in questi posti di guerra. Preghiamo insieme e sempre per la pace. Grazie.

Regina Caeli, 7 aprile 2024

Dom, 07/04/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Oggi, seconda domenica di Pasqua, intitolata da San Giovanni Paolo II alla Divina Misericordia, il Vangelo (cfr Gv 20,19-31) ci dice che credendo in Gesù, Figlio di Dio, possiamo avere la vita eterna nel suo nome (v. 31). “Avere la vita”: che cosa significa?

Tutti vogliamo avere vita, ma ci sono vari modi per farlo. Per esempio, c’è chi riduce l’esistenza a una corsa frenetica per godere e possedere tante cose: mangiare e bere, divertirsi, accumulare soldi e roba, provare emozioni forti e nuove, e così via. È una strada che a prima vista sembra piacevole, ma che non sazia il cuore. Non è così che si “ha la vita”, perché seguendo le strade del piacere e del potere non si trova la felicità. Restano infatti senza risposta tanti aspetti dell’esistenza come, ad esempio, l’amore, le esperienze inevitabili del dolore, del limite e della morte. E poi rimane inappagato il sogno che ci accomuna tutti: la speranza di vivere per sempre, di essere amati senza fine. Oggi il Vangelo dice che questa pienezza di vita, a cui ciascuno di noi è chiamato, si realizza in Gesù: è Lui a darci la pienezza di vita. Ma come accedervi, come farne esperienza?

Guardiamo cosa è accaduto ai discepoli nel Vangelo. Stanno attraversando il momento di vita più tragico: dopo i giorni della passione sono chiusi nel Cenacolo, spaventati e scoraggiati. Il Risorto si fa loro incontro e per prima cosa mostra le sue piaghe (cfr v. 20): erano i segni della sofferenza e del dolore, potevano suscitare sensi di colpa, eppure con Gesù diventano i canali della misericordia e del perdono. Così i discepoli vedono e toccano con mano che con Gesù la vita vince, sempre, la morte e il peccato sono sconfitti. E ricevono il dono del suo Spirito, che dà loro una vita nuova, da figli amati, impastata di gioia, amore e speranza. Vi domando una cosa: voi avete speranza? Ognuno si domandi: come va la mia speranza?

Ecco come fare ogni giorno ad “avere la vita”: basta fissare lo sguardo su Gesù crocifisso e risorto, incontrarlo nei Sacramenti e nella preghiera, riconoscerlo presente, credere in Lui, lasciarsi toccare dalla sua grazia e guidare dal suo esempio, sperimentare la gioia di amare come Lui. Ogni incontro con Gesù, un incontro vivo con Lui, ci permette di avere più vita. Cercare Gesù, lasciarci incontrare – perché Lui ci cerca! –, aprire il cuore all’incontro con Gesù.

Chiediamoci però: io credo nella potenza della risurrezione di Gesù, credo che Gesù è risorto? Credo nella sua vittoria sul peccato, sulla paura e sulla morte? Mi lascio coinvolgere nella relazione con il Signore, con Gesù? E mi lascio spingere da Lui ad amare i fratelli e le sorelle e a sperare ogni giorno? Ognuno pensi a questo.

Maria ci aiuti ad avere una fede sempre più grande in Gesù risorto per “avere la vita” e diffondere la gioia della Pasqua.

Dopo il Regina Caeli

Cari fratelli e sorelle!

Desidero ricordare le persone che sono morte nell’incidente del pullman uscito di strada in Sudafrica alcuni giorni fa. Preghiamo per loro e per i familiari.

Ieri ricorreva la Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace. Tutti sappiamo quanto praticare uno sport possa educare a una socialità aperta, solidale, senza pregiudizi. Ma per questo ci vogliono dirigenti e formatori che non puntano solo alla vittoria o al guadagno. Promuoviamo uno sport che favorisca l’amicizia sociale e la fraternità!

Non venga meno la nostra preghiera per la pace, una pace giusta e duratura, in particolare per la martoriata Ucraina e per la Palestina e Israele. Lo Spirito del Signore risorto illumini e sostenga quanti lavorano per diminuire la tensione e favorire gesti che rendano possibili i negoziati. Che il Signore dia ai dirigenti la capacità di fermarsi un po’ per trattare, per negoziare.

Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini dell’Italia e di tanti Paesi. In particolare saluto gli alunni della Scuola cattolica Mar Qardakh di Erbil, capitale del Kurdistan Iracheno; e i ragazzi di Castellón, Spagna. Accolgo con affetto i gruppi di preghiera che coltivano la spiritualità della Divina Misericordia, convenuti oggi al Santuario di Santo Spirito in Sassia.

Saluto la bocciofila “La Perosina”; il gruppo ACLI di Chieti; i partecipanti alla Conferenza Internazionale per l’abolizione della maternità surrogata; i fedeli di Modugno e di Alcamo; gli alunni della Scuola “San Giuseppe” di Bassano del Grappa e i cresimandi di Sant’Arcangelo di Romagna. Saluto i tanti polacchi: vedo le bandiere!

Auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Ai Volontari della Croce Rossa Italiana (6 aprile 2024)

Sab, 06/04/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono contento di incontrarvi in occasione del 160° anniversario della fondazione della Croce Rossa Italiana. Era infatti il 15 giugno 1864 quando a Milano veniva istituito il Comitato dell’Associazione Italiana per il soccorso ai feriti e ai malati in guerra. Di fronte alle devastazioni e alle sofferenze causate dalla guerra - anche oggi non dimentichiamo questo! - ci fu un sussulto di umanità che si tradusse in gesti e opere concrete di assistenza e di cura, senza distinzioni di nazionalità, ceto sociale, religione od opinioni politiche. Questa corrente di amore non si è mai fermata: oggi, come ieri, la vostra è una presenza efficace e preziosa, specialmente in tutti quei contesti in cui il fragore delle armi soffoca il grido dei popoli, il loro anelito di pace e il loro desiderio di futuro.

Quella di oggi è un’occasione speciale per esprimervi tanta gratitudine per il servizio che rendete nei contesti bellici e per l’aiuto che ogni giorno prestate a chi è nel bisogno in molteplici situazioni di emergenza. Grazie, grazie tante per questo!

Il vostro impegno, ispirato ai principi di umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontariato, unità e universalità, è anche segno visibile che la fraternità è possibile. Se si mette al centro la persona, si può dialogare, lavorare insieme per il bene comune, andando oltre le divisioni, abbattendo i muri dell’inimicizia, superando le logiche dell’interesse e del potere che accecano e rendono l’altro un nemico. Per il credente ogni persona è sacra. Ogni creatura umana è amata da Dio e, per questo, portatrice di diritti inalienabili. Animate da questa convinzione, tante persone di buona volontà si incontrano, riconoscendo il valore supremo della vita e, quindi, la necessità di difendere soprattutto i più vulnerabili. Su questa realtà dei più vulnerabili vorrei dirvi una cosa: sono i bambini. Qui in Italia sono arrivati tanti bambini a causa della guerra in Ucraina. Sapete una cosa? Che questi bambini non sorridono, hanno dimenticato la capacità di sorridere. È brutto questo per un bambino. Pensiamoci.

Nel ringraziarvi per il vostro servizio insostituibile nelle aree di conflitto e nelle zone colpite da disastri ambientali, nell’ambito della formazione e della salute, così come per quello che fate a favore dei migranti, degli ultimi e dei più vulnerabili, voglio incoraggiarvi a proseguire in questa grande opera di carità che abbraccia l’Italia e il mondo. Possa la Croce Rossa restare sempre simbolo eloquente di un amore per i fratelli che non ha confini, né geografici, né culturali, sociali, economici o religiosi. Non a caso, lo slogan che avete scelto per celebrare il 160° anniversario è “Ovunque per chiunque”. È una cosa universale. Si tratta di un’espressione che, mentre racconta un impegno, descrive anche uno stile, un modo di essere e di esserci.

Ovunque, perché nessun contesto può dirsi libero dalla sofferenza, libero dalle ferite del corpo e dell’anima, sia nelle piccole comunità sia negli angoli più dimenticati della Terra. Bisogna globalizzare la solidarietà, operando a livello nazionale e internazionale, perché «riconoscere ogni essere umano come un fratello o una sorella e ricercare un’amicizia sociale che includa tutti non sono mere utopie – sono realtà! –. Esigono la decisione e la capacità di trovare i percorsi efficaci che ne assicurino la reale possibilità. […] Si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (Lett. enc. Fratelli tutti, 180). Per questo, servono norme che garantiscano i diritti umani in ogni luogo, prassi che alimentino la cultura dell’incontro e persone capaci di guardare al mondo con una prospettiva ampia. Guardando l’orizzonte.

Ovunque e per chiunque, perché la nostra è la società dell’io più che del noi, del piccolo gruppo più che di tutti. È una società in questo senso egoista. La parola “chiunque” ci ricorda che ogni persona ha la sua dignità e merita la nostra attenzione: non possiamo voltarci dall’altra parte o scartarla per le sue condizioni, la sua disabilità, la sua provenienza o il suo status sociale. Per questo vi esorto a continuare a stare accanto ai fratelli e alle sorelle che hanno bisogno, con competenza, generosità e dedizione, soprattutto in un tempo in cui crescono, come zizzania, il razzismo e il disprezzo. Infatti, «solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti» (ivi, 94).

Questo slogan – “Ovunque per chiunque” – ricorda la frase che leggiamo nella Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi: «Mi sono fatto tutto per tutti» (9,22). L’Apostolo sintetizzava così la sua missione: raggiungere tutti per portare tutti alla gioia del Vangelo. Questo è lo stile che anche voi realizzate ogni volta che, con spirito fraterno, intervenite almeno ad alleviare una sofferenza.

In questo tempo di Pasqua, chiediamo la grazia di essere strumenti di fraternità e di pace, protagonisti nella carità e costruttori di un mondo fraterno e solidale. Il Signore benedica voi, volontari e operatori, e benedica le vostre famiglie. Io prego per voi; e anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Ai Membri della Fondazione Sant'Angela Merici, di Siracusa (6 aprile 2024)

Sab, 06/04/2024 - 09:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono felice di incontrarvi e vi ringrazio di essere qui, in occasione dei 50 anni della Fondazione Sant’Angela Merici di Siracusa che, continuando l’ispirazione e l’impegno di Mons. Gozzo, si pone quotidianamente a servizio delle persone più fragili.

La vostra storia, e tutto ciò che nei diversi Centri operativi portate avanti con tanta generosità, si radica in quell’evento che ha segnato la città di Siracusa quando, nel 1953, un quadretto raffigurante la Madonna iniziò a lacrimare nella casa dei coniugi Iannuso. Sono le lacrime di Maria, la nostra Madre celeste, per le sofferenze e le pene dei suoi figli. Maria piange per i suoi figli che soffrono. Sono lacrime che ci parlano della compassione di Dio per tutti noi. Dobbiamo pensare a questo: la compassione di Dio. Egli, infatti, ha donato a tutti noi la sua Madre, che piange le nostre stesse lacrime per non farci sentire soli nei momenti difficili. Allo stesso tempo, attraverso le lacrime della Vergine Santa, il Signore vuole sciogliere i nostri cuori che a volte si sono inariditi nell’indifferenza e induriti nell’egoismo; vuole rendere sensibile la nostra coscienza, perché ci lasciamo toccare dal dolore dei fratelli e ci muoviamo a compassione per loro, impegnandoci a sollevarli, rialzarli, accompagnarli.

Questa è la ricchezza della vostra storia, queste sono le radici che non dovete smarrire e, soprattutto, questo è il significato della vostra opera. La Fondazione, infatti, portando avanti un lavoro quotidiano dove si mescolano professionalità e spirito di sacrificio, esiste per esprimere in gesti concreti le lacrime versate dalla Vergine Maria e nello stesso tempo il suo desiderio materno di asciugare il pianto dei suoi figli. E voi, fratelli e sorelle, cercate di fare proprio questo: asciugare le lacrime di chi soffre, accompagnare chi è nel dolore, affiancare i più deboli della società, prendersi cura dei più vulnerabili, accogliere e ospitare chi vive particolari situazioni di fragilità.

Fratelli e sorelle, il servizio che rendete è prezioso, e vorrei dirvi questo: la fonte della vostra opera è il Vangelo, rimanete attaccati a questa fonte!

Il Vangelo è la fonte perché Gesù per primo – non dimentichiamolo – si è lasciato toccare fin dentro le viscere dinanzi alle sofferenze di coloro che incontrava e, come ci ricorda l’evangelista Giovanni, per la morte del suo amico Lazzaro «si commosse profondamente» (Gv 11,33). Allo stesso tempo, voi siete testimonianza viva di questo Vangelo, della compassione di Gesù, quando vi adoperate per accompagnare chi è nel dolore, proprio come il Signore ha comandato ai suoi discepoli di fare dinanzi alle folle affamate, sfinite e oppresse. Gesù infatti ci chiede di non separare mai l’amore per Dio da quello per il prossimo, in particolare per i più poveri. Egli ci ricorda che alla fine saremo giudicati non sulle pratiche esteriori ma sull’amore che, come olio di consolazione, avremo saputo versare sulle ferite dei fratelli. Egli dice: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Carissimi, vi incoraggio a proseguire in questo vostro cammino. E chiedo per voi una grazia, che è la più importante di tutte: la grazia di sapersi commuovere, la capacità di piangere con chi piange. L’indifferenza, l’individualismo che ci chiude alle sorti di chi ci sta accanto, e quella anestesia del cuore che non ci fa più commuovere davanti ai drammi della vita quotidiana, queste tre cose sono i mali peggiori della nostra società. Per favore, non vergognatevi di piangere, di provare commozione per chi soffre; non risparmiatevi nell’esercitare compassione con chi è fragile, perché in queste persone è presente Gesù.

Andate avanti! E non scoraggiatevi, anzi, ringraziate se il vostro lavoro rimane nascosto ed esige un sacrificio silenzioso e quotidiano: il bene fatto a chi non può ricambiare si espande in modo sorprendente e inatteso, come un piccolo seme nascosto nel terreno che prima o poi fa germogliare una vita nuova.

La Madonna delle Lacrime vi protegga, vi custodisca e interceda per voi. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Ai Frati Minori della Toscana e de La Verna (5 aprile 2024)

Ven, 05/04/2024 - 09:15

Cari fratelli, benvenuti!

Saluto il Vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, che vi accompagna, e tutti voi. Sono felice di incontrarvi, nell’anno in cui si ricorda l’ottavo centenario del dono delle stimmate, che San Francesco ricevette alla Verna il 14 settembre 1224, due anni prima della morte. Grazie per aver portato qui la reliquia del suo sangue che sta percorrendo un lungo pellegrinaggio in varie comunità, per ricordare l’importanza della conformazione a «Cristo povero e Crocifisso» (Tommaso da Celano, Vita Seconda, n. 105).

E proprio di questa conformazione le stimmate sono uno dei segni più eloquenti che il Signore abbia concesso, lungo il corso dei secoli, a fratelli e sorelle nella fede di varia condizione, stato e provenienza. A tutti, nel Popolo santo di Dio, ricordano il dolore sofferto per nostro amore e per la nostra salvezza da Gesù nella sua carne; ma sono anche un segno della vittoria pasquale: è proprio attraverso le piaghe che la misericordia del Crocifisso Risorto, come attraverso dei canali, scorre verso di noi. Fermiamoci a riflettere sul significato delle stimmate, dapprima nella vita del cristiano e poi nella vita del francescano.

Le stimmate nella vita del cristiano. Il discepolo di Gesù trova in San Francesco stimmatizzato uno specchio della sua identità. Il credente, infatti, non appartiene a un gruppo di pensiero o di azione tenuto insieme dalle sole forze umane, ma ad un Corpo vivente, il Corpo di Cristo che è la Chiesa. E questa appartenenza non è nominale, ma reale: è stata impressa nel cristiano dal Battesimo, che ci ha segnati con la Pasqua del Signore. Così, nella comunione d’amore della Chiesa, ciascuno di noi riscopre chi è: un figlio amato, benedetto, e riconciliato, inviato per testimoniare i prodigi della grazia ed essere artigiano di fraternità. Perciò il cristiano è chiamato a rivolgersi in modo speciale agli “stimmatizzati” che incontra: ai “segnati” dalla vita, che portano le cicatrici di sofferenze e ingiustizie subite o di errori commessi. E in questa missione il Santo della Verna è un compagno di cammino, che sostiene e aiuta a non lasciarsi schiacciare da difficoltà, paure e contraddizioni, proprie e altrui. È ciò che Francesco ha fatto ogni giorno, dall’incontro con il lebbroso in poi, dimenticando sé stesso nel dono e nel servizio, arrivando perfino, negli ultimi anni, a “disappropriarsi” – questa parola è chiave – disappropriarsi in un certo senso di ciò a cui aveva dato inizio, aprendosi con coraggio e umiltà a vie nuove, docile al Signore e ai fratelli. Nella sua povertà di spirito – sottolineiamo questo: Francesco, la povertà di spirito – e nel suo affidamento al Padre ha lasciato a tutti una testimonianza sempre attuale del Vangelo. Se vuoi conoscere bene il Cristo addolorato, cerca un francescano. E voi, pensate se siete testimoni di questo.

E veniamo al secondo punto: le stimmate nella vita del francescano. Il vostro Santo fondatore vi offre un potente richiamo a fare unità in voi stessi e nella vostra storia. Infatti, il Crocifisso che gli appare alla Verna, segnando il suo corpo, è lo stesso che gli si era impresso nel cuore all’inizio della sua “conversione” e che gli aveva indicato la missione di “riparare la sua casa”.

In questo punto del “riparare”, vorrei inserire la capacità di perdono. Voi siete bravi confessori: il francescano ha fama di questo. Perdonate tutto, perdonate sempre! Dio non si stanca di perdonare: siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Perdonate sempre. Manica larga, sì, ma perdonate sempre.

In Francesco, uomo pacificato nel segno della croce, con il quale benediceva i fratelli, le stimmate rappresentano il sigillo dell’essenziale. Ciò richiama anche voi a tornare all’essenziale nei vari aspetti del vostro vissuto: nei percorsi formativi, nelle attività apostoliche e nella presenza in mezzo alla gente; ad essere perdonati portatori di perdono, guariti portatori di guarigione, lieti e semplici nella fraternità; con la forza dell’amore che sgorga dal costato di Cristo e che si alimenta nel vostro personale incontro con Lui, da rinnovare ogni giorno con un serafico ardore che bruci il cuore.

È bello che ripartiate da qui, cari fratelli francescani, in quest’anno giubilare. Ripartite da qui, in particolare voi, custodi della Verna. Sentitevi chiamati a portare nelle vostre comunità e fraternità, nella Chiesa e nel mondo, un po’ di quell’amore immenso che spinse Gesù a morire in croce per noi. L’intimità con Lui, come avvenne per Francesco, vi renda sempre più umili, più uniti, più gioiosi ed essenziali, amanti della croce e attenti ai poveri, testimoni di pace e profeti di speranza in questo nostro tempo che tanto fatica a riconoscere la presenza del Signore. Possiate essere sempre più segno e testimonianza, con la vostra vita consacrata, del Regno di Dio che vive e cresce in mezzo agli uomini.

E c’è una cosa che vorrei dirvi. Penso alla mia patria: ci sono dei mangiapreti che quando arriva un prete toccano ferro, perché porta iella, ma mai, mai si fa questo con l’abito francescano! È curioso. Mai è insultato un francescano. Perché, non si sa. Ma il vostro abito fa pensare a San Francesco e alle grazie ricevute. Andate avanti così, e non importa se sotto l’abito c’è il blue jeans, non c’è problema, ma andate avanti!

E proprio per chiedere questa grazia di continua e benefica conversione, vorrei concludere invocando il vostro Serafico Padre con questa preghiera che vi affido, chiedendovi anche di ricordarvi di me davanti al Signore:

San Francesco,
uomo piagato dall’amore Crocifisso nel corpo e nello spirito,
guardiamo a te, decorato delle sacre stimmate,
per imparare ad amare il Signore Gesù,
i fratelli e le sorelle con il tuo amore, con la tua passione.
Con te è più facile contemplare e seguire
Cristo povero e Crocifisso.
Donaci, Francesco,
la freschezza della tua fede,
la certezza della tua speranza,
la dolcezza della tua carità.
Intercedi per noi,
perché ci sia dolce portare i pesi della vita
e nelle prove possiamo sperimentare
la tenerezza del Padre e il balsamo dello Spirito.
Le nostre ferite siano sanate dal Cuore di Cristo,
per diventare, come te, testimoni della sua misericordia,
che continua a guarire e a rinnovare la vita
di quanti lo cercano con cuore sincero.
O Francesco, reso somigliante al Crocifisso,
fa’ che le tue stimmate siano per noi e per il mondo
segni splendenti di vita e di risurrezione,
che indichino vie nuove di pace e di riconciliazione. Amen.

E adesso vorrei darvi la benedizione con la reliquia di San Francesco.

Alla Comunità dei Collegi: Pio Latino Americano; Pio Brasiliano; Messicano (4 aprile 2024)

Gio, 04/04/2024 - 09:00

Cari fratelli sacerdoti,

Come ogni anno ho il piacere di riunirmi con voi, questa volta con i tre Collegi insieme — Pio Brasiliano, Pio Latinoamericano e Messicano —. Vorrei trasmettervi la mia riflessione su un tema centrale nella vita dei sacerdoti, l’Amore.

L’Amore, il primo amore, è quello che ci ha riuniti tutti qui, e mantenerlo vivo è il nostro obbligo principale. Qualsiasi vocazione nasce da un amore di predilezione. Come per ogni uomo, Dio ci ha chiamati a essere suoi figli e, tra di essi, ci ha affidato un compito particolare, che ci avvicina di più a Lui: donarci per gli altri. Sono loro la nostra ragion d’essere, l’obiettivo del nostro amore, poiché in essi realizziamo questo servizio che il Signore ci chiede.

Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino si presenta ai miei occhi come membro di quel corpo mistico il cui capo è Cristo. Agire in persona Christi è essere vera icona di Gesù, è farmi “Veronica” di ogni volto, di ogni lacrima. Come? Asciugandole con le mie vesti sacerdotali. In primo luogo, con la preghiera, presentando ogni situazione concreta alla presenza di Dio: “Signore, colui che tu ami sta soffrendo” ( cfr. Gv 11, 3).

In secondo luogo, con l’offerta oblativa, eucaristica, di tutto il nostro essere. Quando Gesù ci dice: “Potete bere il calice che io sto per bere?” (Mt 20, 22), non cerca una mera disponibilità teorica al martirio, ma una radicale accettazione del fatto che siamo qui per fare la sua volontà e rinunciare alla nostra. I nostri studi, il nostro lavoro e il nostro riposo, ogni decisione, sia vitale sia quotidiana, tutto è in funzione di questo servizio.

In terzo luogo, con l’umiltà, sapendo che sono in cammino, bisognoso di quella preghiera, più ancora di coloro che sono stato chiamato a servire. Lo stesso Signore, nel frangente della croce, venne confortato da un angelo (cfr. Lc 22, 43). Non sottovalutate il potere dell’intercessione di coloro che Dio ha posto sul vostro cammino: dei formatori, dei vostri compagni sacerdoti, del vostro ambiente più prossimo. In poche parole, confidate nella preghiera di tutti i membri del Popolo fedele di Dio e non dimenticatevi di pregare per i suoi Pastori, e per me. Che Gesù vi benedica e Santa Maria di Guadalupe, Imperatrice dell’America, vi custodisca. Grazie. 

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 77, giovedì 4 aprile 2024, p. 8.

Ai Partecipanti al Colloquio promosso dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso (4 aprile 2024)

Gio, 04/04/2024 - 08:30

Signor Presidente del Senato,
Eminenza, Eccellenze,
Autorità del Kazakhstan,
fratelli e sorelle,

Vi do il benvenuto in occasione del vostro Colloquio, che vede impegnati il Dicastero per il Dialogo Interreligioso e, da parte kazaka, il Congresso dei Leader delle Religioni Tradizionali e Mondiali, il Senato della Repubblica e il Centro Nursultan Nazarbayev per il Dialogo Interreligioso e tra le Civiltà. È per me motivo di gioia vedere in questo evento un primo significativo frutto del Protocollo d’Intesa stipulato tra il Nazarbayev Center e il suddetto Dicastero.

Questo incontro mi dà l’occasione di fare memoria del VII Congresso dei Leader delle Religioni Tradizionali e Mondiali, al quale ho partecipato nel 2022, recandomi ad Astana. Il Congresso è una piattaforma unica e ben sperimentata per il dialogo non solo tra responsabili religiosi, ma anche con il mondo della politica, della cultura, dei mezzi di comunicazione. È un’iniziativa meritoria, che ben corrisponde alla vocazione del Kazakhstan a essere Paese dell’incontro.

Oltre che nel viaggio apostolico, ho avuto modo di manifestare la mia vicinanza al popolo kazako in occasione della visita in Vaticano, lo scorso gennaio, del Signor Presidente della Repubblica, che tanto cortesemente mi aveva accolto nel Paese, e nell’incontro con S.E. il Sig. Ashimbayev, Presidente del Senato e Capo del Segretariato del Congresso, che partecipa al vostro colloquio come capo della Delegazione kazaka.

È necessario sostenerci nel coltivare l’armonia tra le religioni, le etnie e le culture, armonia della quale il vostro grande Paese può essere fiero. In particolare, sono tre gli aspetti della vostra realtà che vorrei sottolineare: il rispetto delle diversità, l’impegno per la “casa comune” e la promozione della pace.

Per quanto riguarda il rispetto delle diversità, elemento imprescindibile nella democrazia – che va costantemente promossa –, contribuisce molto a creare armonia il fatto che lo Stato sia “secolare”. Parliamo ovviamente di una sana laicità, che non mescola religione e politica, ma le distingue per il bene di entrambe, e che riconosce allo stesso tempo alle religioni il loro ruolo essenziale nella società, a servizio del bene comune. Inoltre, pace e armonia sociale sono favorite, nel vostro modello, da un trattamento equo e paritario delle diverse componenti etniche, religiose e culturali per quanto riguarda il lavoro, l’accesso agli uffici pubblici e la partecipazione alla vita politica e sociale del Paese, affinché nessuno si senta discriminato o favorito a motivo della sua specifica identità.

Circa il secondo punto – l’impegno per la salvaguardia del creato – sottolineo il tema che avete scelto: La nostra casa comune: un dono divino da amare e di cui prendersi cura. Tra i documenti di lavoro, oltre alla Laudato si’ e alla Laudate Deum, avete preso in considerazione il testo “2023-2033 Development Concept”, voluto dal Signor Presidente della Repubblica, che offre una visione panoramica del Congresso e delle sue attività nella decade a venire, con speciale attenzione alle questioni ambientali. È importante: il rispetto per il creato, infatti, è conseguenza irrinunciabile dell’amore per il Creatore, per i fratelli e le sorelle con cui condividiamo la vita sul pianeta, e in modo particolare per le generazioni future, nei riguardi delle quali siamo chiamati a tramandare un’eredità da custodire, non un debito ecologico da scontare. Auspico che la vostra iniziativa costituisca un importante contributo in questo senso.

Il vostro incontro ha infine una terza dimensione: la promozione della pace. Oggi tanti, troppi parlano di guerra: la retorica bellicista è purtroppo tornata di moda. È brutto questo! Ma mentre si spargono parole d’odio, le persone muoiono nella brutalità dei conflitti. Abbiamo bisogno invece di parlare di pace, di sognare la pace, di dare creatività e concretezza alle attese di pace, che sono le vere aspettative dei popoli e della gente. Si faccia ogni sforzo in tal senso, dialogando con tutti. Il vostro incontrarvi nel rispetto delle diversità e con l’intento di arricchirvi vicendevolmente sia di esempio a non vedere nell’altro una minaccia, ma un dono e un interlocutore prezioso per la crescita reciproca.

Cari amici, vi auguro di trascorrere giornate di fraternità, feconde di amicizia e di progetti di bene, e di condividere fruttuosamente i risultati del vostro lavoro. Su di voi invoco la benedizione dell’Onnipotente, amante della pace. Grazie!

Udienza Generale del 3 aprile 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 13. <i>La giustizia</i>

Mer, 03/04/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.


Catechesi. I vizi e le virtù. 13. La giustizia

Cari fratelli e sorelle, buona Pasqua, buongiorno!

Eccoci alla seconda delle virtù cardinali: oggi parleremo della giustizia. È la virtù sociale per eccellenza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica la definisce così: «La virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto» (n. 1807). Questa è la giustizia. Spesso, quando si nomina la giustizia, si cita anche il motto che la rappresenta: “unicuique suum” cioè “a ciascuno il suo”. È la virtù del diritto, che cerca di regolare con equità i rapporti tra le persone.

È rappresentata allegoricamente dalla bilancia, perché si propone di “pareggiare i conti” tra gli uomini, soprattutto quando rischiano di essere falsati da qualche squilibrio. Il suo fine è che in una società ognuno sia trattato secondo la sua dignità. Ma già gli antichi maestri insegnavano che per questo sono necessari anche altri atteggiamenti virtuosi, come la benevolenza, il rispetto, la gratitudine, l’affabilità, l’onestà: virtù che concorrono alla buona convivenza delle persone. La giustizia è una virtù per una buona convivenza delle persone.

Tutti comprendiamo come la giustizia sia fondamentale per la convivenza pacifica nella società: un mondo senza leggi che rispettano i diritti sarebbe un mondo in cui è impossibile vivere, assomiglierebbe a una giungla. Senza giustizia, non c’è pace. Senza giustizia non c’è pace. Infatti, se la giustizia non viene rispettata, si generano conflitti. Senza giustizia, si sancisce la legge della prevaricazione del forte sui deboli, e questo non è giusto.

Ma giustizia è una virtù che agisce tanto nel grande, quanto nel piccolo: non riguarda solo le aule dei tribunali, ma anche l’etica che contraddistingue la nostra vita quotidiana. Stabilisce con gli altri rapporti sinceri: realizza il precetto del Vangelo, secondo cui il parlare cristiano dev’essere: «“Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (Mt 5,37). Le mezze verità, i discorsi sottili che vogliono raggirare il prossimo, le reticenze che occultano i reali propositi, non sono atteggiamenti consoni alla giustizia. L’uomo giusto è retto, semplice e schietto, non indossa maschere, si presenta per quello che è, ha un parlare vero. Sulle sue labbra si trova spesso la parola “grazie”: sa che, per quanto ci sforziamo di essere generosi, restiamo sempre debitori nei confronti del prossimo. Se amiamo, è anche perché siamo stati prima amati.

Nella tradizione si possono trovare innumerevoli descrizioni dell’uomo giusto. Vediamone alcune. L’uomo giusto ha venerazione per le leggi e le rispetta, sapendo che esse costituiscono una barriera che protegge gli inermi dalla tracotanza dei potenti. L’uomo giusto non bada solo al proprio benessere individuale, ma vuole il bene dell’intera società. Dunque non cede alla tentazione di pensare solo a sé stesso e di curare i propri affari, per quanto legittimi, come se fossero l’unica cosa che esiste al mondo. La virtù della giustizia rende evidente – e mette nel cuore l’esigenza – che non ci può essere un vero bene per me se non c’è anche il bene di tutti.

Perciò l’uomo giusto vigila sul proprio comportamento, perché non sia lesivo nei riguardi degli altri: se sbaglia, si scusa. L’uomo giusto si scusa sempre. In qualche situazione arriva a sacrificare un bene personale per metterlo a disposizione della comunità. Desidera una società ordinata, dove siano le persone a dare lustro alle cariche, e non le cariche a dare lustro alle persone. Aborrisce le raccomandazioni e non commercia favori. Ama la responsabilità ed è esemplare nel vivere e promuovere la legalità. Essa, infatti, è la via della giustizia, l’antidoto alla corruzione: quanto è importante educare le persone, in particolare i giovani, alla cultura della legalità! È la via per prevenire il cancro della corruzione e per debellare la criminalità, togliendole il terreno sotto i piedi.

Ancora, il giusto rifugge comportamenti nocivi come la calunnia, la falsa testimonianza, la frode, l’usura, il dileggio, la disonestà. Il giusto mantiene la parola data, restituisce quanto ha preso in prestito, riconosce il corretto salario a tutti gli operai – un uomo che non riconosce il giusto salario agli operai, non è giusto, è ingiusto – si guarda bene dal pronunciare giudizi temerari nei confronti del prossimo, difende la fama e il buon nome altrui.

Nessuno di noi sa se nel nostro mondo gli uomini giusti siano numerosi oppure rari come perle preziose. Ma sono uomini che attirano grazia e benedizioni sia su di sé, sia sul mondo in cui vivono. Non sono dei perdenti rispetto a quanti sono “furbi e scaltri”, perché, come dice la Scrittura, «chi ricerca la giustizia e l’amore troverà vita e gloria» (Pr 21,21). I giusti non sono moralisti che vestono i panni del censore, ma persone rette che «hanno fame e sete della giustizia» (Mt 5,6), sognatori che custodiscono in cuore il desiderio di una fratellanza universale. E di questo sogno, specialmente oggi, abbiamo tutti un grande bisogno. Abbiamo bisogno di essere uomini e donne giusti, e questo ci farà felici.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier: les paroisses et les jeunes venus de France. En cette semaine de Pâques, que la lumière du Seigneur Ressuscité nous éclaire dans la rechercher la justice, pour bâtir un monde fraternel. Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare le parrocchie e i giovani francesi. In questa settimana di Pasqua, la luce del Signore risorto ci illumini nella ricerca della giustizia, per costruire un mondo fraterno. Dio vi benedica.]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Sweden, Malta, Korea and the United States of America. In the joy of the Risen Christ, I invoke upon you and your families the loving mercy of God our Father. May the Lord bless you all!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Svezia, Malta, Corea, Canada e Stati Uniti d’America. Nella gioia del Cristo Risorto, invoco su di voi e sulle vostre famiglie l’amore misericordioso di Dio nostro Padre. Il Signore vi benedica!]

Herzlich grüße ich die Pilger deutscher Sprache. Jedes Jahr gewährt uns Christus die Freude, seine Auferstehung zu feiern. Sein Ostersieg schenke der ganzen Welt Hoffnung und führe uns zum ewigen Leben. Euch allen ein gesegnetes Osterfest!

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua tedesca. Ogni anno Cristo ci concede la gioia di celebrare la Sua Risurrezione. La Sua vittoria pasquale doni speranza al mondo intero e ci conduca alla vita eterna. Buona Pasqua a tutti voi!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Que la luz de Cristo resucitado nos guíe por caminos de justicia y de paz, y la fuerza vivificante de su amor nos haga audaces constructores de un mundo más fraterno y solidario. Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, invocando para todos as consolações e luzes do Espírito de Deus, a fim de que, vencidos pessimismos e desilusões da vida, possam cruzar, juntamente com os seus entes queridos, o limiar da esperança que temos em Cristo ressuscitado. Conto com as vossas orações. Obrigado!

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, invocando per tutti le consolazioni e le luci dello Spirito di Dio affinché, vinti i pessimismi e le delusioni della vita, possano attraversare, insieme ai loro cari, la soglia della speranza che abbiamo nel Cristo risorto. Conto sulle vostre preghiere. Grazie!]

أُحَيِّي المُؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللغَةِ العربِيَّة. رجاؤُنا يُدعَى يسوع. هو دَخَلَ في قبرِ خَطايانا، ومِن أحلَكِ أعماقِ مَوتِنا، أَيقَظَنا ومَنَحَنا حياةً جديدةً. أتمنَّى لكُم جميعًا فِصحًا مجيدًا.

[Saluto i fedeli di lingua araba. La nostra speranza si chiama Gesù. Egli è entrato dentro il sepolcro del nostro peccato e dagli abissi più oscuri della nostra morte, ci ha risvegliati e ci ha dato una nuova vita. A tutti voi, Buona Pasqua!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Przypadająca w najbliższych dniach Niedziela Bożego Miłosierdzia przypomina nam o przesłaniu przekazanym za pośrednictwem św. Faustyny Kowalskiej. Nigdy nie powątpiewajmy o Bożej miłości, lecz wytrwale i z ufnością zawierzajmy Panu nasze życie i świat, prosząc Go w szczególności o sprawiedliwy pokój dla udręczonych przez wojnę narodów. Z serca wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. La Domenica della Divina Misericordia, che cade nei prossimi giorni, ci ricorda il messaggio trasmesso da Santa Faustina Kowalska. Non dubitiamo mai dell'amore di Dio, ma affidiamo con costanza e fiducia la nostra vita e il mondo al Signore, chiedendogli in particolare una pace giusta per le nazioni martoriate dalla guerra. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Purtroppo continuano a giungere tristi notizie dal Medio Oriente. Torno a rinnovare la mia ferma richiesta di un immediato cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza. Esprimo il mio profondo rammarico per i volontari uccisi mentre erano impegnati nella distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Prego per loro e le loro famiglie. Rinnovo l’appello a che sia permesso a quella popolazione civile, stremata e sofferente, l’accesso agli aiuti umanitari e siano subito rilasciati gli ostaggi. Si eviti ogni irresponsabile tentativo di allargare il conflitto nella regione e ci si adoperi affinché al più presto possano cessare questa e altre guerre che continuano a portare morte e sofferenza in tante parti del mondo. Preghiamo e operiamo senza stancarci perché tacciano le armi e torni a regnare la pace.

E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, tanti morti! Ho nelle mani un rosario e un libro del Nuovo Testamento lasciato da un soldato morto nella guerra. Questo ragazzo si chiamava Oleksandr, Alessandro, 23 anni. Alessandro leggeva il Nuovo Testamento e i Salmi e aveva sottolineato, nel Libro dei Salmi, il salmo 129: “Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce”. Questo ragazzo di 23 anni è morto ad Avdiïvka, nella guerra. Ha lasciato davanti una vita. E questo è il suo rosario e il suo Nuovo Testamento, che lui leggeva e pregava. Io vorrei fare in questo momento un po’ di silenzio, tutti, pensando a questo ragazzo e a tanti altri come lui, morti in questa pazzia della guerra. La guerra distrugge sempre! Pensiamo a loro e preghiamo.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Preadolescenti dell’Arcidiocesi di Milano, venuti a Roma per coronare il loro cammino di formazione catechetica mediante la professione di fede presso le tombe degli Apostoli. Cari ragazzi – a voi mi rivolgo! –, sappiate testimoniare con l’entusiasmo e la generosità proprie della vostra giovane età la fedeltà al Vangelo seguendo sempre Cristo, luce del mondo. Farete questo voi? [Sì!] Non rispondete… più forte! [rispondono: Sì!]

Accolgo con affetto i Cresimandi delle Diocesi di Treviso, Cremona e Cuneo-Fossano. Con la forza dello Spirito Santo, che nella Cresima vi conferma come battezzati, figli di Dio e membri della Chiesa, possiate essere “pietre vive” per costruire la comunità cristiana. Saluto altresì il Gruppo della Via Crucis, di Barile esprimendo apprezzamento per l’impegno nella rappresentazione sacra dei misteri della passione di Cristo.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. A ciascuno auguro di accogliere nel cuore la gioia e la pace, doni di Gesù Risorto.

A tutti la mia Benedizione!

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