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Aggiornato: 2 min 40 sec fa

Udienza Generale del 28 febbraio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 9. <i>L’invidia e la vanagloria</i>

Mer, 28/02/2024 - 21:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

 

Catechesi. I vizi e le virtù. 9. L’invidia e la vanagloria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi prendiamo in esame due vizi capitali che troviamo nei grandi elenchi che la tradizione spirituale ci ha lasciato: l’invidia e la vanagloria.

Partiamo dall’invidia. Se leggiamo la Sacra Scrittura (cfr Gen 4), essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia. Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello.

L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura. Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!

Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra. Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Ecco il rimedio all’invidia!

E veniamo al secondo vizio che oggi esaminiamo: la vanagloria. Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un “io” ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza. Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere.

Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier une délégation du Conseil National de Monaco, ainsi que les paroisses et les jeunes venus de France. En ce temps de Carême efforçons nous de ne pas nous mettre toujours au centre, mais cherchons plutôt à nous effacer pour laisser la place aux autres, les promouvoir et nous réjouir de leurs qualités et de leurs succès. Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare la delegazione del Consiglio Nazionale di Monaco, così come le parrocchie e i giovani provenienti dalla Francia. In questo tempo di Quaresima, sforziamoci di non mettere noi stessi al centro, piuttosto cerchiamo di farci da parte per fare spazio agli altri, promuoverli e gioire delle loro qualità e dei loro successi. Che Dio vi benedica tutti.]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, the Netherland, Norway, Malaysia, Vietnam, and the United States of America.  I offer a special greeting to the students and professors from Saint Mary’s University, di Twickenham, England.  Upon all of you and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Malaysia, Vietnam e Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare agli studenti e professori della Saint Mary’s University, Twickenham, Inghilterra.  Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, die Fastenzeit ruft uns traditionell zum Almosengeben auf, also unsere Güter mit den bedürftigen Brüdern und Schwestern zu teilen. Der Herr stehe euch in jedem guten Werk der Liebe bei!  

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, la Quaresima tradizionalmente ci invita a fare l’elemosina, cioè a condividere i nostri beni con i fratelli bisognosi. Il Signore vi sostenga in ogni vostra opera buona di carità!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Nos vendría bien en esta Cuaresma meditar con frecuencia las “Letanías de la humildad” del cardenal Merry del Val, para combatir los vicios que nos alejan de la vida en Cristo. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

Saúdo o Instituto «Vidas Raras» e todos os peregrinos de língua portuguesa. Confio à Virgem Maria os vossos corações e os vossos passos. Encorajo-vos a apostar na beleza do serviço, que engrandece o coração e torna fecundos os vossos talentos. De bom grado vos abençoo a vós e aos vossos entes queridos!

[Saluto l’Istituto “Vidas Raras” e tutti i pellegrini di lingua portoghese. Affido alla Vergine Maria i vostri propositi e i vostri passi. Vi incoraggio a scommettere sulla bellezza del servizio, che allarga il cuore e rende fecondi i vostri talenti. Volentieri benedico voi e i vostri cari!]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة. في مسيرةِ الزَّمنِ الأربعينيّ، وهي مسيرةُ صلاةٍ وصومٍ ومحبَّة، لِنَشعُرْ بأنَّنَا مَدعُوّونَ إلى أنْ نَختَبِرَ حبَّ اللهِ الَّذي يُجَدِّدُ حَيَاتَنَا. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Nel percorso quaresimale, che è cammino di preghiera, digiuno e carità, sentiamoci chiamati a sperimentare l’amore di Dio che rinnova la nostra vita. Il Signore vi benedica e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Zachęcam Was do cierpliwego kontynuowania duchowej pracy i zmagania z tym, co oddala Was od Boga i od siebie nawzajem – w życiu rodzinnym, w życiu społecznym we wspólnotach, w miejscach pracy i spotkań z bliźnimi. Zawierzam Was wstawiennictwu Dziewicy Maryi, pokornej Służebnicy Pańskiej, dla której miłość Boga była naczelną regułą życia. Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. Vi incoraggio a continuare con pazienza nel vostro impegno spirituale lottando contro tutto ciò che vi allontana da Dio e dagli altri – nella vita in famiglia, nella comunità e nei luoghi di lavoro e di incontro. Vi affido all’intercessione della Vergine Maria, l’umile Ancella del Signore, per la quale la principale regola di vita è amare Dio. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli provenienti dalle Diocesi dell’Emilia Romagna e di San Marino-Montefeltro, accompagnati dai loro Vescovi.

Saluto inoltre i gruppi parrocchiali di Gricignano di Aversa e di Isola di Capo Rizzuto, auspicando che la sosta presso le tombe degli Apostoli susciti un rinnovato fervore spirituale.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio. Il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in sé stessi e rinnovarsi nello spirito.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate.

A tutti, la mia benedizione!

Ai Membri del Sinodo della Chiesa Armeno Cattolica (28 febbraio 2024)

Mer, 28/02/2024 - 08:00

Beatitudine,
cari Fratelli Vescovi,

benvenuti! È una gioia accogliervi a Roma, presso la tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, proprio a seguito della festosa ricorrenza di San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa.

Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore. Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo.

Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani. Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno “il fiuto degli affari” o a quelli che “hanno sempre la valigia in mano”, lasciando il popolo orfano. Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più “prestigiosa” dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia – permettetemi l’espressione – di commettere un “adulterio pastorale”. Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge.

In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi. So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dov’è difficile che siano visitati. Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale. E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica.

Carissimi, in questo tempo santo della Quaresima siamo chiamati a guardare la Croce e a costruire su Cristo, che guarisce le ferite con il perdono e con l’amore. Siamo tenuti a intercedere per tutti, con grandezza d’animo e di spirito. Come San Gregorio di Narek, che così pregava: Signore, «ricordati […] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia». E ancora, con un’attualità profetica impressionante, scriveva: «Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, LXXXIII).

Voi, Fratelli, insieme con i sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, e tutti i fedeli della vostra Chiesa, avete una grande responsabilità. San Gregorio l’Illuminatore portò la luce di Cristo al popolo armeno ed esso è stato il primo, in quanto tale, ad accoglierla nella storia. Dunque voi siete testimoni e, per così dire, “primogeniti” di questa luce, siete un’alba chiamata a irradiare la profezia cristiana in un mondo che spesso preferisce le tenebre dell’odio, della divisione, della violenza, della vendetta. Certo – potreste dirmi – la nostra Chiesa non è grande numericamente. Ma ricordiamo che Dio ama compiere meraviglie con chi è piccolo. E in questo senso, per favore, non si trascuri la cura nei riguardi dei piccoli e dei poveri, mostrando loro l’esempio di una vita evangelica, lontana dai fasti delle ricchezze e dall’arroganza del potere; accogliendo i rifugiati, sostenendo quanti sono nella diaspora come fratelli e sorelle, figli e figlie.

Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore. Come ricorda l’antico detto latino: “Conserva l’ordine e l’ordine ti conserverà”. I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico. Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte.

Ancora un pensiero vorrei confidarvi e affidarvi, a proposito della pastorale vocazionale. In un mondo secolarizzato, i seminaristi e quanti si formano nella vita religiosa hanno bisogno, oggi più che mai, di essere ben radicati in una vita cristiana autentica, lontana da ogni “psicologia principesca”. Così pure ai sacerdoti, specialmente giovani, occorre la vicinanza dei Pastori, che favoriscano la comunione fraterna tra di loro, perché non si scoraggino davanti alle fatiche e giorno dopo giorno siano sempre più docili alla creatività dello Spirito Santo, per servire il Popolo di Dio con la gioia della carità, non con la rigidità e la ripetitività sterile dei burocrati. In tutto, speranza: anche se la messe è molta e gli operai sempre pochi, contiamo sul Signore, che compie prodigi in quanti si fidano di Lui.

Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze. La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, “primizia” delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: “Basta!”. Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia; e voi, per favore, ricordatevi di me!

Io vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro servizio. Prima di darvi la benedizione, vorrei recitare una preghiera, alla quale vi invito ad unirvi, di San Nerses il Grazioso, in attesa di poterlo celebrare, quando Dio vorrà, con i fratelli della Chiesa armena apostolica: «Signore misericordioso: abbi misericordia di tutti coloro che credono in te, dei miei e degli estranei, dei noti e degli ignoti, dei vivi e dei morti: concedi anche ai miei nemici ed avversari il perdono per i torti che mi hanno fatto, e convertili dall’ingiustizia che mostrano verso di me, affinché siano anch’essi degni della tua misericordia. Ed abbi misericordia delle tue creature, e di me grandissimo peccatore» (In Fede confesso, le 24 orazioni, XXIII). Grazie.

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti all'incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina (26 febbraio 2024)

Lun, 26/02/2024 - 15:00

Caro Cardinale Robert Prevost,
Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (CAL),
cari responsabili di istituzioni e organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina:

Sono lieto di rivolgermi a voi in questo incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto che promuove questa Pontificia Commissione. Vorrei esporre la mia riflessione sul tema della gratuità, che vedo riflesso tra le linee nel programma che Sua Eminenza ha avuto la gentilezza di farmi pervenire.

Quando compiamo uno sforzo, come nel caso degli aiuti che si destinano alla Chiesa in America Latina, è naturale che pretendiamo un risultato. Non ottenerlo potrebbe considerarsi un fallimento o quantomeno ci lascia la sensazione di aver lavorato invano. Ma una simile percezione sembrerebbe essere contraria alla gratuità, che evangelicamente si definisce come dare senza aspettarsi nulla in cambio (cfr. Lc 6,35). Come conciliare le due dinamiche?

Per approfondire la questione, forse potrebbe essere utile fare un passo indietro, focalizzandoci su ciò che ci chiede Gesù e ci dice il Vangelo, cercando di domandarci, come farebbe un giornalista: Chi dà? Che cosa dà? Dove dà? Come dà? Quando dà? Perché dà? A che fine dà?

In risposta alla prima domanda — chi dà? — la Scrittura ci spiega che ciò che diamo non è altro che ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente (cfr. Mt 10,8). Dio è Colui che dà e noi siamo solo amministratori di beni ricevuti, perciò non dobbiamo gloriarci (cfr. 1 Cor 7,4), né esigere un compenso maggiore di quello del proprio salario (cfr. 1 Tm 5,18), assumendoci con umiltà la responsabilità che questo dono ci richiede (cfr. Mt 25,14-30).

Per la seconda domanda — Che cosa ci dà il Signore? — la risposta è semplice: ci ha dato tutto. Ci ha dato la vita, il creato, l’intelligenza e la volontà per essere padroni del nostro destino, la capacità di relazionarci con Lui e con i fratelli. Inoltre si è dato a noi infinite volte: facendoci a sua immagine, capaci di amare, dandoci prove del suo amore nel corso della Storia della Salvezza, nel dono di Cristo sulla croce, nella sua presenza nel sacramento dell’Eucaristia, nel dono dello Spirito Santo. Pertanto tutto ciò che abbiamo o è di Dio o è prova e pegno del suo amore. Se perdiamo questa consapevolezza nel dare e anche nel ricevere, snaturiamo la sua essenza e la nostra. Da amministratori solleciti di Dio (cfr. Lc 12,42), diventiamo schiavi del denaro (cfr. Mt 6,24) e, soggiogati dalla paura di non avere (v. 25), diamo il cuore al tesoro della falsa sicurezza economica, dell’efficienza amministrativa, del controllo, di una vita senza sussulti (v. 20).

Un punto di svolta nella nostra riflessione è vedere dove si dona il Signore, perché ci apre la porta a un cammino concreto. Fin dalla creazione, il Signore si è sempre dato a noi, prendendo il nostro fango nelle sue mani, il nostro peccato, la nostra incostanza, mantenendosi fedele nonostante le reiterate infedeltà di Israele, dei discepoli, degli apostoli, con la sua incarnazione, la sua croce, i suoi sacramenti. Dio si dà, in una parola, in mezzo al suo Popolo. Il nostro dare non può non tener conto di questa verità ineluttabile, che sappiamo essere certa anche nella nostra storia personale e comunitaria. Non evitiamo quindi chi è cieco, chi resta a terra sul ciglio della strada, che è coperto di lebbra o di miseria, piuttosto chiediamo al Signore di essere capaci di vedere ciò che impedisce loro di affrontare le proprie difficoltà (cfr. Lc 7,5).

Arriviamo quindi alle domande: come e quando si dà il Signore al suo Popolo? È molto semplice: sempre e totalmente. Dio non pone limiti, mille volte pecchiamo, mille volte ci perdona. Attende nella solitudine silenziosa del Tabernacolo che torniamo a Lui, mendicante del nostro amore. Nella santa Comunione non riceviamo un pezzetto di Gesù, ma tutto Gesù, in corpo e sangue, anima e divinità. Questo fa Dio, fino a farsi povero per noi, per arricchirci attraverso la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9).

Pertanto, possiamo concludere che la gratuità è imitare il modo in cui Gesù si dona per noi, suo Popolo, sempre e totalmente, nonostante la nostra povertà. E perché? Per amore. Perché, come direbbe Pascal, l’amore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, «è paziente, è benigno...; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti - zia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cfr. 1 Cor 13,4-7). L’amore non ha agenda, non colonizza, ma s’incarna, diventa uno di noi, meticcio, per fare nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5).

Perciò lo sforzo non è inutile, perché c’è un fine. Dandoci così, imitiamo Gesù che si è donato per salvare tutti noi. Abbracciare la croce non è segno di insuccesso, non è un lavoro vano, è unirci alla missione di Gesù di portare «ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). È toccare concretamente la ferita di quel fratello, di quella comunità, che ha un nome, che ha un valore infinito per Dio, per dargli luce, rafforzare le sue gambe, mondare la sua miseria, offrendogli l’opportunità di rispondere al progetto di amore che il Signore ha per lui, chiedendo in ginocchio che, giungendo lì, Gesù trovi fede in quella terra (cfr. Lc 18,8).

Cari fratelli e sorelle, affido i vostri lavori alla Santissima Vergine, che Lei vi guidi come fece con i servi nelle nozze di Cana, affinché a tutti giunga il vino nuovo che il Signore ci promette. Che Gesù vi benedica. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 26 febbraio 2024

FRANCESCO

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 54, martedì 5 marzo 2024, p. 8.

Angelus, 25 febbraio 2024

Dom, 25/02/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della Trasfigurazione di Gesù (cfr Mc 9,2-10).

Dopo aver annunciato ai discepoli la sua Passione, Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, sale su un monte alto e lì si manifesta fisicamente in tutta la sua luce. Così svela loro il senso di ciò che avevano vissuto insieme fino a quel momento. La predicazione del Regno, il perdono dei peccati, le guarigioni e i segni compiuti erano infatti scintille di una luce più grande: la luce di Gesù, la luce che è Gesù. E da questa luce i discepoli non dovranno mai più staccare gli occhi, specialmente nei momenti di prova, come quelli ormai vicini della Passione.

Ecco il messaggio: non staccare mai gli occhi dalla luce di Gesù. Un po’ come facevano in passato i contadini che, arando i campi, focalizzavano lo sguardo su un punto preciso davanti a sé e, tenendo gli occhi fissi sulla meta, tracciavano solchi diritti. Questo siamo chiamati a fare noi cristiani nel cammino della vita: tenere sempre davanti agli occhi il volto luminoso di Gesù, non staccare mai gli occhi da Gesù.

Fratelli e sorelle, apriamoci alla luce di Gesù! Lui è amore, Lui è vita senza fine. Lungo i sentieri dell’esistenza, a volte tortuosi, cerchiamo il suo volto, pieno di misericordia, di fedeltà, di speranza. Ci aiutano a farlo la preghiera, l’ascolto della Parola, i Sacramenti: la preghiera, l’ascolto della Parola e i Sacramenti ci aiutano a tenere gli occhi fissi su Gesù. E questo è un buon proposito per la Quaresima: coltivare sguardi aperti, diventare “cercatori di luce”, cercatori della luce di Gesù nella preghiera e nelle persone.

E allora chiediamoci: nel mio cammino, tengo gli occhi fissi su Cristo che mi accompagna? E per farlo, do spazio al silenzio, alla preghiera, all’adorazione? Infine, vado in cerca di ogni piccolo raggio della luce di Gesù, che si riflette in me e in ogni fratello e sorella che incontro? E io mi ricordo di ringraziare il Signore per questo?

Maria, splendente della luce di Dio, ci aiuti a tenere fisso lo sguardo su Gesù e a guardarci a vicenda con fiducia e amore.

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Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, 24 febbraio, abbiamo ricordato con dolore il secondo anniversario dell’inizio della guerra su vasta scala in Ucraina. Quante vittime, feriti, distruzioni, angustie, lacrime in un periodo che sta diventando terribilmente lungo e di cui non si intravvede ancora la fine! È una guerra che non solo sta devastando quella regione d’Europa, ma che scatena un’ondata globale di paura e odio. Mentre rinnovo il mio vivissimo affetto al martoriato popolo ucraino e prego per tutti, in particolare per le numerosissime vittime innocenti, supplico che si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura. E, fratelli e sorelle, non dimentichiamoci di pregare per la Palestina, per Israele e per i tanti popoli dilaniati dalla guerra, e di aiutare concretamente chi soffre! Pensiamo a tanta sofferenza, pensiamo ai bambini feriti, innocenti.

Seguo con preoccupazione l’aumento delle violenze nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Mi unisco all’invito dei Vescovi a pregare per la pace, auspicando la cessazione degli scontri e la ricerca di un dialogo sincero e costruttivo.

Destano apprensione i sempre più frequenti rapimenti che si verificano in Nigeria. Esprimo al popolo nigeriano la mia vicinanza nella preghiera, auspicando che ci si impegni affinché il dilagare di questi episodi sia arginato il più possibile.

Sono vicino pure alla popolazione della Mongolia, colpita da un’ondata di freddo intenso, che sta provocando gravi conseguenze umanitarie. Anche questo fenomeno estremo è un segno del cambiamento climatico e dei suoi effetti. La crisi climatica è un problema sociale globale, che incide in profondità sulla vita di molti fratelli e sorelle, soprattutto sui più vulnerabili: preghiamo per poter intraprendere scelte sagge e coraggiose per contribuire alla cura del creato.

Saluto voi, fedeli di Roma e di varie parti del mondo, in modo speciale i pellegrini di Jaén (Spagna), i giovani greco-cattolici rumeni di Parigi, le Comunità Neocatecumenali provenienti dalla Polonia, dalla Romania e dall’Italia.

Saluto il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Segretariato del Forum Internazionale di Azione Cattolica, gli Scout di Paliano e i cresimati di Lastra Signa, Torre Maina e Gorzano.

Saluto pure la Federazione Italiana Malattie Rare, il Circolo Culturale “Reggio Ricama”, i membri del Movimento Nonviolento e i volontari dell’Associazione N.O.E.T.A.A. E saluto i ragazzi dell’Immacolata.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Ai Diaconi della Diocesi di Roma (24 febbraio 2024)

Sab, 24/02/2024 - 09:15

Discorso del Santo Padre consegnato

Cari fratelli,

grazie di essere qui. Saluto Mons. Di Tolve e do il benvenuto a ciascuno di voi, contento di incontrarvi in questo tempo che precede la vostra ordinazione presbiterale.

Immagino che, pensando a quel giorno, starete già “studiando” il rito dell’ordinazione! Ebbene, la prima domanda che vi verrà posta circa gli impegni che professerete di assumere, recita: «Volete esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbiteri, come fedeli cooperatori dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?». In queste parole mi sembra di vedere tre elementi essenziali nel ministero: anzitutto essere fedeli cooperatori, poi porvi al servizio del popolo di Dio; infine stare sotto la guida dello Spirito Santo. Mi soffermo brevemente su questi tre punti.

Fedeli cooperatori. Uno può avere l’idea che, una volta diventato prete, pastore nel popolo di Dio, sia essenzialmente giunta l’ora di prendere in mano la situazione, attuando in prima persona ciò che aveva desiderato per anni, impostando finalmente le situazioni con il proprio stile e secondo le proprie idee, quelle che ha più care in base alla sua storia personale e al suo cammino. Eppure la Santa Madre Chiesa per prima cosa non chiede di essere leader, ma cooperatori, cioè, stando al senso delle parole, coloro che “operano con”. Questo “con” è essenziale, perché la Chiesa, come ci ricorda il Concilio, è anzitutto un mistero di comunione. E il presbitero è testimone di questa comunione, che implica fraternità, fedeltà e docilità. Coristi, insomma, non solisti; fratelli nel presbiterato e preti per tutti, non per il proprio gruppo; ministri sempre in perenne formazione, senza pensare mai di essere autonomi e autosufficienti. Quanto è importante oggi continuare la formazione, e non da soli, ma sempre in contatto con chi, chiamato ad accompagnarvi, ha percorso più strada nel ministero; e farlo con apertura di cuore, per non cedere alla tentazione di gestire la vita per conto proprio, diventando così facili prede delle tentazioni più varie.

Secondo aspetto: al servizio del popolo di Dio. Mi piace incontrarvi ora, mentre siete diaconi, perché non si diventa pastori se prima non si è diaconi. Il diaconato non svanisce con il presbiterato; al contrario, è la base su cui si fonda. Sarete preti per servire, conformati a Gesù che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (cf Mc 10,45). Direi allora che c’è da custodire un fondamento interiore del sacerdozio, che potremmo chiamare “coscienza diaconale”: come la coscienza sta alla base delle decisioni, così lo spirito di servizio è alla base dell’essere sacerdoti. Così che ogni mattina è bene pregare chiedendo di saper servire: “Signore, oggi aiutami a servire”; e ogni sera, ringraziando e facendo l’esame di coscienza, dire: “Signore, perdonami quando ho pensato più a me che a mettermi al servizio degli altri”. Ma servire, cari amici, è un verbo che rifiuta ogni astrattezza: servire vuol dire essere disponibili, rinunciare a vivere secondo la propria agenda, essere pronti alle sorprese di Dio che si manifestano attraverso le persone, gli imprevisti, i cambi di programma, le situazioni che non rientrano nei nostri schemi e nella “giustezza” di quello che si è studiato. La vita pastorale non è un manuale, ma un’offerta quotidiana; non è un lavoro preparato a tavolino, ma “un’avventura eucaristica”. È ripetere con la vita, in prima persona: «Questo è il mio corpo, donato per voi». È un atteggiamento costante, fatto di accoglienza, compassione, tenerezza, uno stile che parla coi fatti più che con le parole, esprimendo il linguaggio della vicinanza. È non voler bene alle persone per secondi fini, fossero anche i migliori, ma riconoscendo in loro i doni unici e meravigliosi che il Signore ci ha dato per servirli, con gioia, con umiltà. È la gioia di accompagnare i passi prendendo per mano, con pazienza e con discernimento. Ed è in questa luce che, con la grazia di Dio, si supera il pericolo di covare dentro di sé un po’ di amarezza e di insoddisfazione per le cose che non vanno come vorremmo, quando la gente non risponde alle nostre attese e non si adegua alle nostre aspettative.

E ora veniamo all’ultimo aspetto: sotto la guida dello Spirito Santo. Allo Spirito, che discenderà su di voi, è importante dare sempre il primato. Se ciò avviene, la vostra vita, come fu per gli Apostoli, sarà orientata al Signore e dal Signore, e voi sarete davvero “uomini di Dio”. Altrimenti, quando si conta sulle proprie forze, si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano. La vita sotto la guida dello Spirito: vuol dire passare dall’unzione dell’ordinazione a un’“unzione quotidiana”. E Gesù effonde su di noi l’unzione dello Spirito quando stiamo alla sua presenza, quando lo adoriamo, quando siamo intimi alla sua Parola. Stare con Lui, rimanere con Lui (cfr Gv 15), poi, ci permette anche di intercedere davanti a Lui per il Santo Popolo di Dio, per l’umanità, per le persone che si incontrano ogni giorno. Così, un cuore che attinge la propria gioia dal Signore e feconda di preghiera le relazioni, non perde di vista la bellezza intramontabile della vita sacerdotale.

Questo vi auguro, cari fratelli, ringraziandovi per il vostro “sì” a Dio e chiedendovi, per favore, di pregare ogni giorno per me.

Lettera del Santo Padre all’Em.mo Card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo (22 febbraio 2024)

Gio, 22/02/2024 - 08:00

A Sua Em.za Rev.ma Cardinale MARIO GRECH
Segretario Generale
della Segreteria Generale del Sinodo

Caro Fratello,
Cardinale Mario Grech,

La Relazione di Sintesi della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, approvata il 28 ottobre 2023, enumera molteplici e importanti questioni teologiche, tutte in varia misura connesse al rinnovamento sinodale della Chiesa e non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali.

Tali questioni, per loro natura, esigono di essere affrontate con uno studio approfondito. Non essendo possibile svolgere questo studio nel tempo della Seconda Sessione (2-27 ottobre 2024), dispongo che esse vengano assegnate a specifici Gruppi di Studio, affinché si proceda a un loro adeguato esame. Sarà questo uno dei frutti del processo sinodale avviato il 9 ottobre 2021.

Nello spirito del Chirografo da me firmato il 16 febbraio u.s., è compito della Segreteria Generale del Sinodo, di comune accordo con i Dicasteri della Curia Romana competenti, costituire tali Gruppi, chiamando a farne parte Pastori ed Esperti di tutti i Continenti e prendendo in considerazione non solo gli studi già esistenti, ma anche le esperienze più rilevanti in atto nel Popolo di Dio radunato nelle Chiese locali. È importante che i suddetti Gruppi di Studio lavorino secondo un metodo autenticamente sinodale, di cui ti chiedo farti garante.

Quanto così disposto permetterà all’Assemblea, nella sua Seconda Sessione, di concentrare più agevolmente l’attenzione sul tema generale che a suo tempo le ho assegnato, e che è possibile ora riassumere nell’interrogativo: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”.

I Gruppi di Studio offriranno un primo resoconto della loro attività in occasione della Seconda Sessione e, possibilmente, concluderanno il loro mandato entro il mese di giugno 2025.

Dopo aver ponderato ogni cosa, dispongo che i Gruppi in parola si occupino dei temi qui di seguito elencati in forma sintetica, alla luce dei contenuti della Relazione di Sintesi (RdS):

1. Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina (RdS 6).

2. L’ascolto del grido dei poveri (RdS 4 e 16).

3. La missione nell’ambiente digitale (RdS 17).

4. La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria (RdS 11).

5. Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali (RdS 8 e 9).

6. La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Vita consacrata, Aggregazioni ecclesiali (RdS 10).

7. Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria (RdS 12 e 13).

8. Il ruolo dei Rappresentanti Pontifici in prospettiva sinodale missionaria (RdS 13).

9. Criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse (RdS 15).

10. La recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali (RdS 7).

Sarà compito della Segreteria Generale del Sinodo predisporre la traccia di lavoro che precisi il mandato dei gruppi alla luce delle mie indicazioni.

RingraziandoTi del lavoro finora compiuto, benedico e accompagno con la preghiera Te e tutti coloro che collaborano con generosità al cammino in corso.
 

Francesco

Dal Vaticano, 22 febbraio 2024

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Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 14 marzo 2024

Angelus, 18 febbraio 2024

Dom, 18/02/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, prima Domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta Gesù tentato nel deserto (cfr Mc 1,12-15). Il testo dice: «Nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana». Anche noi in Quaresima siamo invitati a “entrare nel deserto”, cioè nel silenzio, nel mondo interiore, in ascolto del cuore, in contatto con la verità. Nel deserto – aggiunge il Vangelo odierno – Cristo «stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (v. 13). Bestie selvatiche e angeli erano la sua compagnia. Ma, in un senso simbolico, sono anche la nostra compagnia: quando entriamo nel deserto interiore, infatti, possiamo incontrarvi bestie selvatiche e angeli.

Bestie selvatiche. In che senso? Nella vita spirituale possiamo pensarle come le passioni disordinate che dividono il cuore, tentando di possederlo. Ci suggestionano, sembrano seducenti ma, se non stiamo attenti, rischiano di sbranarci. Possiamo dare dei nomi a queste “bestie” dell’anima: i vari vizi, la bramosia della ricchezza, che imprigiona nel calcolo e nell’insoddisfazione, la vanità del piacere, che condanna all’inquietudine e alla solitudine, e ancora l’avidità della fama, che genera insicurezza e un continuo bisogno di conferme e di protagonismo. – non dimentichiamo queste cose che possiamo incontrare dentro: bramosia, vanità e avidità. Sono come bestie “selvatiche” e come tali vanno ammansite e combattute: altrimenti ci divorano la libertà. E la Quaresima ci aiuta a entrare nel deserto interiore per correggere queste cose.           

E poi, nel deserto c’erano gli angeli. Essi sono i messaggeri di Dio, che ci aiutano, ci fanno del bene; infatti la loro caratteristica secondo il Vangelo è il servizio (cfr v. 13): esattamente il contrario del possesso, tipico delle passioni. Servizio contro possesso. Gli spiriti angelici richiamano i pensieri e i sentimenti buoni suggeriti dallo Spirito Santo. Mentre le tentazioni ci dilaniano, le buone ispirazioni divine ci unificano e ci fanno entrare nell’armonia: acquietano il cuore, infondono il gusto di Cristo, “il sapore del Cielo”. E per cogliere l’ispirazione di Dio, bisogna entrare nel silenzio e nella preghiera. E la Quaresima è il tempo per fare questo.

Possiamo domandarci: primo, quali sono le passioni disordinate, le “bestie selvatiche” che si agitano nel mio cuore? Secondo: per permettere alla voce di Dio di parlarmi al cuore e custodirlo nel bene, sto pensando di ritirarmi un po’ nel “deserto”, cerco di dedicare nella giornata qualche spazio per questo?

La Vergine santa, che ha custodito la Parola e non si è lasciata sfiorare dalle tentazioni del maligno, ci aiuti nel cammino della Quaresima.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sono passati ormai dieci mesi dallo scoppio del conflitto armato in Sudan, che ha provocato una gravissima situazione umanitaria. Chiedo di nuovo alle parti belligeranti di fermare questa guerra, che fa tanto male alla gente e al futuro del Paese. Preghiamo perché si trovino presto vie di pace per costruire l’avvenire del caro Sudan.

La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze. Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata. E non dimentichiamo tanti altri conflitti che insanguinano il Continente africano e molte parti del mondo: anche l’Europa, la Palestina, l’Ucraina…

Non dimentichiamo: la guerra è una sconfitta, sempre. Ovunque si combatte le popolazioni sono sfinite, sono stanche della guerra, che come sempre è inutile e inconcludente, e porterà solo morte, solo distruzione, e non porterà mai la soluzione dei problemi. Preghiamo invece senza stancarci, perché la preghiera è efficace, e chiediamo al Signore il dono di menti e di cuori che si dedichino concretamente alla pace.

Saluto i fedeli di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare i pellegrini provenienti dagli Stati Uniti d’America, le Comunità neocatecumenali di varie parrocchie della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Spagna, gli alunni dell’Istituto “Carolina Coronado” di Almendralejo e l’Associazione di volontariato “Sulle orme dei Servi-verso il mondo”. E saluto i coltivatori e gli allevatori presenti in piazza!

Questo pomeriggio, insieme con i collaboratori della Curia, inizieremo gli Esercizi spirituali. Invito le comunità e i fedeli a dedicare in questo tempo di Quaresima e lungo quest’anno di preparazione al Giubileo, che è “Anno della preghiera”, momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore.

E a tutti auguro buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Ai Membri della “Junta Constructora” della Basilica della “Sagrada Família” di Barcelona (Spagna) (17 febbraio 2024)

Sab, 17/02/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

Membri della “Junta Costructora” della Basilica della Sagrada Família di Barcellona, sono lieto di ricevervi insieme alle vostre famiglie, in questo anno che, come ho ripetuto in diverse occasioni, desidero dedicare alla preghiera, preparandoci al Giubileo del 2025. Un anno intero in preghiera per questo. È importante che il clima di preghiera non si perda nei templi, deve essere una delle priorità per quanti, come voi, hanno ricevuto la responsabilità della cura dei templi.

Sicuramente avete notato che la Basilica della Sagrada Família è strutturata in modo che ogni portico abbia un tema, illustrato da passi della Scrittura e incorniciato da una preghiera. Così la prima porta, quella della fede, dietro l’immagine di Gesù che predica ai dottori, ci mostra santo Trisagio. La fede predicata deve farsi preghiera. Sempre.

La porta centrale della carità, la cui figura principale è proprio quella della Santa Famiglia, ci invita ad alzare lo sguardo verso il mistero dell’Incarnazione a da lì a sgranare le perle del rosario che discende lungo le vetrate, incorniciando la stella di Betlemme, quasi a dire: “qui è la nostra luce”. Ed è proprio nell’adorazione, nella preghiera contemplativa dei misteri, che ci apriamo a quella luce, come la grande vetrata del vostro tempio.

Vi invito pertanto ad accogliere nella Basilica i pellegrini che si avvicinano, per introdurli con un atteggiamento orante a contemplare il progetto iconografico del servo di Dio Antoni Gaudí nella sua interezza, di modo che, come i pinnacoli e i campanili, i loro sguardi si levino e le loro voci proclamino con gli angeli: “Santo nostro Dio Immortale”. Grazie per tutto quello che fate, grazie. Che Dio vi benedica.

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 40, sabato 17 febbraio 2024, p. 12.

Chirografo del Santo Padre sulla collaborazione tra i Dicasteri della Curia Romana e la Segreteria Generale del Sinodo (16 febbraio 2024)

Ven, 16/02/2024 - 12:00

Nel cammino di rinnovamento che sta compiendo secondo la «missione d’amore propria di Cristo» (Praedicate evangelium [PE], 2), la Chiesa esprime il suo essere, «in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium [LG], 1). Essa si manifesta con maggiore chiarezza e credibilità al mondo nelle diverse culture come mistero di comunione missionaria (cfr. LG, 7), unico Corpo, partecipe del Suo Spirito che la rinnova e guida nell’annuncio del Vangelo a tutte le genti (cfr. LG, 17).

In questa luce, nella Costituzione Apostolica sulla Curia Romana Praedicate evangelium ho sottolineato che la «vita di comunione dona alla Chiesa il volto della sinodalità» (PE, 4). In particolare, il reciproco ascolto e la dinamica di reciprocità nel porsi a servizio della missione del Popolo di Dio qualificano l’opera di ausilio della Curia Romana al ministero del Vescovo di Roma, dei singoli Vescovi e del Collegio episcopale. Le competenze pastorali da essa espletate trovano il loro fine e la loro efficacia nel servizio alla collegialità episcopale e alla comunione ecclesiale in unione e sotto la guida del Vescovo di Roma (cfr. PE, 8-9).

Si colloca in tale contesto il compito della Segreteria Generale del Sinodo (cfr. Episcopalis communio [EC], 9). Direttamente sottoposta al Vescovo di Roma in quanto Pastore della Chiesa universale e al tempo stesso distinta dalla Curia Romana in quanto «istituzione permanente al servizio del Sinodo dei Vescovi» (EC, art. 22 § 1), essa sostiene e accompagna il processo sinodale di volta in volta stabilito (cfr. EC, art. 23 § 1). In questo modo presta un ausilio specifico alla promozione in spirito sinodale delle mutue relazioni dei Vescovi e delle Chiese particolari cui essi presiedono, tra loro e in comunione con il Vescovo di Roma nella Chiesa una e cattolica (cfr. LG, 23).

Dispongo pertanto che, secondo quanto stabilito dall’art. 33 di Praedicate evangelium, i Dicasteri della Curia Romana collaborino, «secondo le rispettive specifiche competenze, all’attività della Segreteria Generale del Sinodo», costituendo dei gruppi di studio che avviino, con metodo sinodale, l’approfondimento di alcuni tra i temi emersi nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questi gruppi di studio siano costituiti di comune accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti e la Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento.

Dal Vaticano, 16 febbraio 2024

FRANCESCO

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Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 17 febbraio 2024

Alla Comunità del Seminario Arcivescovile di Napoli (16 febbraio 2024)

Ven, 16/02/2024 - 10:30

Discorso del Santo Padre consegnato

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi ringrazio per essere venuti qui stamani e per aver desiderato questo incontro nel 90° anniversario dell’inaugurazione del vostro Seminario “Alessio Ascalesi”. Saluto l’Arcivescovo, Mons. Domenico Battaglia, e i fratelli Vescovi, il Rettore, gli Educatori e i Padri Spirituali, tutti ringraziando per il prezioso servizio. Con gioia saluto quanti, in forme diverse, contribuiscono alla vostra formazione: il Preside e il Decano della Facoltà, le Suore e anche le coppie di sposi, la cui presenza è un segno importante, che ci ricorda la complementarietà tra Ordine sacro e Sacramento del matrimonio: nella formazione sacerdotale abbiamo bisogno del contributo di coloro che hanno scelto la via del matrimonio. Grazie per quello che fate! E grazie anche ai consulenti psicologici, al personale amministrativo e di servizio.

Mi rivolgo con affetto a voi seminaristi. Sento di dovervi esprimere gratitudine per aver risposto alla chiamata del Signore e per la disponibilità a servire la sua Chiesa; e di dovervi incoraggiare a coltivare ogni giorno la bellezza della fedeltà, con entusiasmo e impegno, consegnando la vostra vita all’incessante opera dello Spirito Santo, che vi aiuta ad assumere la forma di Cristo. Ricordiamoci questo: che la formazione non finisce mai, dura tutta la vita, e che se si interrompe non si rimane dove si era, ma si torna indietro. Proprio pensando a questo continuo lavoro interiore che è la formazione sacerdotale e alla ricorrenza del vostro Seminario, mi viene in mente l’immagine del cantiere.

La Chiesa è anzitutto un cantiere sempre aperto. Essa, cioè, rimane costantemente in cammino, aperta alla novità dello Spirito, vincendo la tentazione di preservare sé stessa e i propri interessi. Il lavoro principale del “cantiere Chiesa” è camminare in compagnia del Crocifisso Risorto portando agli uomini la bellezza del suo Vangelo. Questo è l’essenziale. È quanto ci sta insegnando il cammino sinodale, è quanto ci chiede, senza compromessi, l’ascolto dello Spirito e degli uomini del nostro tempo; ma è anche ciò che viene richiesto a voi: essere servitori – questo significa ministri – che sanno adottare uno stile di discernimento pastorale in ogni situazione, sapendo che tutti, preti e laici, siamo in cammino verso la pienezza e siamo operai di un cantiere in costruzione. Non possiamo offrire alla realtà complessa di oggi risposte monolitiche e preconfezionate, ma dobbiamo investire le nostre energie annunciando l’essenziale, che è la misericordia di Dio, e manifestandola attraverso la vicinanza, la paternità, la mitezza, affinando l’arte del discernimento.

Per questo motivo, anche il cammino di formazione al presbiterato è un cantiere. Non bisogna mai commettere l’errore di sentirsi arrivati, di ritenersi già pronti davanti alle sfide. La formazione sacerdotale è un cantiere nel quale ognuno di voi è chiamato a mettersi in gioco nella verità, per lasciare che sia Dio ad edificare nel corso degli anni la sua opera. Non abbiate dunque paura di lasciar agire il Signore nella vostra vita; come in un cantiere, lo Spirito verrà dapprima a demolire quegli aspetti, quelle convinzioni, quello stile e perfino quelle idee incoerenti sulla fede e sul ministero che vi impediscono di crescere secondo il Vangelo; poi lo stesso Spirito, dopo aver ripulito le falsità interiori, vi darà un cuore nuovo, edificherà la vostra vita secondo lo stile di Gesù, vi farà diventare nuove creature e discepoli missionari. Farà maturare il vostro entusiasmo attraverso la croce, come fu per gli Apostoli. Ma non abbiate paura di questo: può essere certamente un lavoro faticoso, però se rimanete docili e veri, disponibili all’azione dello Spirito senza irrigidirvi e difendervi, scoprirete la tenerezza del Signore dentro le vostre fragilità e nella gioia pura del servizio. In questo cantiere che è la vostra formazione, scavate dunque a fondo, “facendo la verità” in voi con sincerità, coltivando la vita interiore, meditando la Parola, approfondendo nello studio le domande del nostro tempo e le questioni teologiche e pastorali. E permettetemi di raccomandarvi una cosa: lavorare sulla maturità affettiva e umana. Senza non si va da nessuna parte!

Infine, la stessa struttura del Seminario è come un grande cantiere. E non mi riferisco ovviamente all’ambito edilizio. Sulla formazione sacerdotale è in atto un processo che comprende nuove domande e nuove acquisizioni: gli itinerari di formazione stanno subendo molte trasformazioni, in ascolto delle sfide che attendono il ministero sacerdotale e richiedono da parte di tutti impegno, passione e sana creatività. Si sperimentano nuove esperienze pastorali e missionarie, con l’intento di favorire il graduale inserimento nella futura vita ministeriale; si ipotizzano tempi di interruzione nel percorso per favorire la maturazione individuale. È bello accogliere e vagliare queste novità, vivendole come opportunità di grazia e di servizio, cogliendovi la presenza di Dio.

Abbiamo appena iniziato il cammino quaresimale che, come ho avuto modo di dire, è «tempo di piccole e grandi scelte controcorrente […] in cui ripensare gli stili di vita» (Messaggio per la Quaresima 2024). Possa anche la vostra comunità percorrere questa strada di conversione e rinnovamento. Come? Lasciandosi conquistare con rinnovato stupore dall’amore di Dio, fondamento della vocazione che si accoglie e si riscopre in particolare nell’adorazione e a contatto con la Parola; riscoprendo con gioia il gusto della sobrietà ed evitando gli sprechi; apprendendo uno stile di vita che vi servirà per essere sacerdoti capaci di donarsi agli altri e di essere attenti ai più poveri; non lasciandovi ingannare dal culto dell’immagine e dell’apparire, ma curando la vita interiore; prendendovi cura della giustizia e del creato, temi attuali e scottanti nella vostra terra, che attende in questo senso dalla Chiesa parole coraggiose e segni profetici; vivendo nella pace e nella concordia, superando le divisioni e imparando a vivere nella fraternità con umiltà. E la fraternità è, specialmente oggi, una delle più grandi testimonianze che possiamo offrire al mondo.

I “lavori in corso” del vostro cantiere siano accompagnati dall’intercessione dei santi: dal vostro Patrono Gennaro, la cui presenza e il cui sangue continuano ad irrorare le terre che abitate, da San Vincenzo Romano, parroco che si è formato nel vostro Seminario, modello di zelo apostolico e di spirito missionario, e dal Beato Mariano Arciero, che ne è stato padre spirituale, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Vi auguro ogni bene nel cammino e vi accompagno con la preghiera. Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

Alla Delegazione del Movimento "La Diaconie de la Beauté" (15 febbraio 2024)

Gio, 15/02/2024 - 10:15

Cari amici,

vi incontro nuovamente in occasione del vostro Simposio a Roma, e mi rallegro con voi per il decimo anniversario di questi “Festival” che organizzate ogni anno. Ringrazio Monsignor Le Gall per la sua dedizione a questa associazione.

Vorrei riflettere brevemente sulle tre dimensioni che la caratterizzano: spirituale, evenemenziale e residenziale.

La prima dimensione è quella spirituale. La vostra vocazione è quella di aiutare gli artisti a creare un ponte tra cielo e terra. Volete risvegliare in loro la ricerca della verità, siano essi musicisti, poeti o cantanti, pittori, architetti o registi, scultori, attori o ballerini o altro ancora. Perché la bellezza ci invita a un modo diverso di stare al mondo. Si tratta di contemplazione. Infatti, «la bellezza ci fa sentire che la vita è orientata alla pienezza. Nella vera bellezza si comincia così a provare la nostalgia di Dio» (Discorso agli artisti, 23 giugno 2023). Credere in Dio non può che incoraggiare la creatura a superare sé stessa, a proiettarsi nella vita divina attraverso l’ispirazione artistica.

La seconda dimensione – con un francesismo nella parola – la chiamiamo evenemenziale. L’associazione Diaconia della bellezza aiuta gli artisti a riannodare un dialogo fruttuoso con la Chiesa, attraverso incontri, spettacoli, concerti, rappresentazioni. È un modo per voi di rendere visibile la prossimità della Chiesa agli artisti entrando in dialogo con la loro cultura e la loro vita, che siano credenti o no.

E la terza dimensione è quella residenziale. Grazie al vostro fecondo apostolato, la vostra opera si moltiplica con la realizzazione di case di artisti nel mondo. La vita di un artista è spesso segnata dalla solitudine, a volte da depressione e grande sofferenza interiore. La vostra sfida è di far emergere la bellezza che è nascosta in lui o in lei, perché a sua volta diventi apostolo di questa bellezza che genera speranza e sete di felicità. Una missione che contribuisce a valorizzare la dignità dell’artista che non si sente rifiutato, incompreso, emarginato ed escluso. Andate avanti con questo!

Fratelli e sorelle, vi esorto ad essere cantori dell’armonia tra i popoli, cantori di armonia tra le culture e le religioni. La nostra umanità è scossa da violenze di ogni sorta, dalle guerre, dalle crisi sociali. In questo contesto, abbiamo bisogno di uomini e donne capaci di farci sognare un mondo diverso, un mondo bello. Fate sognare le persone, perché aspirino a una vita in pienezza!

Inoltre, oggi è urgente per noi ricreare l’armonia tra l’uomo e l’ambiente. Le grandi crisi climatiche ci impongono di rivedere le nostre abitudini e i nostri comportamenti. E l’arte è un mezzo molto potente per trasmettere il messaggio della bellezza della natura. Infatti, «prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune» (Enc. Fratelli tutti, 17). Chiediamoci: qual è il nostro apporto alla costruzione di un mondo in armonia? È una domanda che dobbiamo farci, ognuno di noi. La cultura della bellezza ci rimette sempre in movimento. Incontrare la bellezza di Dio ci permette di ripartire, di ricominciare, nel cammino verso società più umane e più fraterne.

Cari amici, vi ringrazio e auguro ogni bene per la vostra “diaconia”. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me.

Santa Messa, benedizione e imposizione delle Ceneri (14 febbraio 2024)

Mer, 14/02/2024 - 17:00

Quando fai l’elemosina, quando preghi, quando digiuni, abbi cura che ciò sia fatto nel segreto: il Padre tuo, infatti, vede nel segreto (cfr Mt 6,4). Entra nel segreto: questo è l’invito che Gesù rivolge ad ognuno di noi all’inizio del cammino della Quaresima.

Entrare nel segreto significa ritornare al cuore, come ammonisce il profeta Gioele (cfr Gl 2,12). Si tratta di un viaggio dall’esterno all’interno, perché tutto ciò che viviamo, anche la nostra relazione con Dio, non si riduca ad esteriorità, a una cornice senza quadro, a un rivestimento dell’anima, ma nasca da dentro e corrisponda ai movimenti del cuore, cioè ai nostri desideri, ai nostri pensieri, al nostro sentire, al nucleo sorgivo della nostra persona.

La Quaresima ci immerge allora in un bagno di purificazione e di spoliazione: vuole aiutarci a togliere ogni “trucco”, tutto ciò di cui ci rivestiamo per apparire adeguati, migliori di come siamo. Ritornare al cuore significa ritornare al nostro vero io e presentarlo così com’è, nudo e spoglio, davanti a Dio. Significa guardarci dentro e prendere coscienza di chi siamo davvero, togliendoci le maschere che spesso indossiamo, rallentando la corsa delle nostre frenesie, abbracciando la vita e la verità di noi stessi. La vita non è una recita, e la Quaresima ci invita a scendere dal palcoscenico della finzione, per tornare al cuore, alla verità di ciò che siamo. Tornare al cuore, tornare alla verità.

Per questo, stasera, con spirito di preghiera e di umiltà, riceviamo sul capo la cenere. È un gesto che vuole riportarci alla realtà essenziale di noi stessi: noi siamo polvere, la nostra vita è come un soffio (cfr Sal 39,6; 144,4), ma il Signore – Lui e soltanto Lui, non altri – non permette che essa svanisca; Egli raccoglie e plasma la polvere che siamo, perché non venga dispersa dai venti impetuosi della vita e non si dissolva nell’abisso della morte.

Le ceneri poste sul nostro capo ci invitano a riscoprire il segreto della vita. Ci dicono: fino a quando continuerai a indossare un’armatura che copre il cuore, fino a quando a camuffarti con la maschera delle apparenze, a esibire una luce artificiale per mostrarti invincibile, resterai vuoto e arido. Quando invece avrai il coraggio di chinare il capo per guardarti dentro, allora potrai scoprire la presenza di un Dio che ti ama e ti ama da sempre; finalmente si frantumeranno le corazze che tu ti sei costruito e potrai sentirti amato di un amore eterno.

Sorella, fratello, io, tu, ognuno di noi, siamo amati di amore eterno. Siamo cenere su cui Dio ha soffiato il suo alito di vita, siamo terra che Egli ha plasmato con le sue mani (cfr Gen 2,7; Sal 119,73), siamo polvere da cui risorgeremo per una vita senza fine preparata da sempre per noi (cfr Is 26,19). E se, nella cenere che siamo, arde il fuoco dell’amore di Dio, allora scopriamo che di questo amore siamo impastati e che all’amore siamo chiamati: amare i fratelli che abbiamo accanto, essere attenti agli altri, vivere la compassione, esercitare la misericordia, condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo con chi è nel bisogno. Perciò l’elemosina, la preghiera e il digiuno non possono ridursi a pratiche esteriori, ma sono vie che ci riconducono al cuore, all’essenziale della vita cristiana. Ci fanno scoprire che siamo cenere amata da Dio e ci rendono capaci di spargere lo stesso amore sulle “ceneri” di tante situazioni quotidiane, perché in esse rinascano speranza, fiducia, gioia.

Sant’Anselmo d’Aosta ci ha lasciato questa esortazione, che stasera possiamo fare nostra: «Fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto te stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. II tuo volto, Signore, io cerco» (Proslogion, 1).

Ascoltiamo allora, in questa Quaresima, la voce del Signore che non si stanca di ripeterci: entra nel segreto. Entra nel segreto, ritorna al cuore. È un invito salutare, per noi che spesso viviamo in superficie, che ci agitiamo per essere notati, che abbiamo sempre bisogno di essere ammirati e apprezzati. Senza accorgercene, ci ritroviamo a non avere più un luogo segreto in cui fermarci e custodire noi stessi, immersi in un mondo in cui tutto, anche le emozioni e i sentimenti più intimi, deve diventare “social” – ma come può essere sociale ciò che non sgorga dal cuore? –. Persino le esperienze più tragiche e dolorose rischiano di non avere un luogo segreto che le custodisca: tutto dev’essere esposto, ostentato, dato in pasto alla chiacchiera del momento. Ed ecco che il Signore ci dice: entra nel segreto, ritorna al centro di te stesso. Proprio lì, dove albergano anche tante paure, sensi di colpa e peccati, lì il Signore è disceso, è disceso per sanarti e purificarti. Entriamo nella nostra camera interiore: lì abita il Signore, la nostra fragilità è accolta e siamo amati senza condizioni.

Ritorniamo, fratelli e sorelle. Ritorniamo a Dio con tutto il cuore. In queste settimane di Quaresima diamo spazio alla preghiera di adorazione silenziosa, nella quale rimanere in ascolto alla presenza del Signore, come Mosè, come Elia, come Maria, come Gesù. Ci siamo accorti che abbiamo perso il senso dell’adorazione? Ritorniamo all’adorazione. Prestiamo l’orecchio del cuore a Colui che, nel silenzio, vuole dirci: «Io sono il tuo Dio: Dio di misericordia e di compassione, il Dio del perdono e dell’amore, il Dio della tenerezza e della sollecitudine. […] Non giudicare te stesso. Non condannarti. Non rifiutare te stesso. Lascia che il mio amore tocchi i più profondi e nascosti recessi del tuo cuore e ti riveli la tua stessa bellezza, una bellezza che hai perso di vista, ma che ti diventerà nuovamente visibile nella luce della mia misericordia». Il Signore ci chiama: «Vieni, vieni, lascia che io possa asciugare le tue lacrime e lascia che la mia bocca venga più vicino al tuo orecchio e ti dica: Io ti amo, ti amo, ti amo» (H. Nouwen, In cammino verso l’alba, Brescia 1997, 233). Noi crediamo che il Signore ci ama, che il Signore mi ama?

Fratelli e sorelle, non abbiamo paura di spogliarci dei rivestimenti mondani e di tornare al cuore, ritornare all’essenziale. Pensiamo a San Francesco, che dopo essersi spogliato abbracciò con tutto sé stesso il Padre che è nei cieli. Riconosciamoci per quello che siamo: polvere amata da Dio, chiamata a essere polvere innamorata di Dio. Grazie a Lui rinasceremo dalle ceneri del peccato alla vita nuova in Gesù Cristo e nello Spirito Santo.

Udienza Generale del 14 febbraio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 8. <i>L'accidia</i>

Mer, 14/02/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

 

Catechesi. I vizi e le virtù. 8. L'accidia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tra tutti i vizi capitali ce n’è uno che spesso passa sotto silenzio, forse a motivo del suo nome che a molti risulta poco comprensibile: sto parlando dell’accidia. Per questo, nel catalogo dei vizi, il termine accidia viene spesso sostituito da un altro di uso molto più comune: la pigrizia. In realtà, la pigrizia è più un effetto che una causa. Quando una persona se ne sta inoperosa, indolente, apatica, noi diciamo che è pigra. Ma, come insegna la saggezza degli antichi padri del deserto, spesso la radice di questa pigrizia è l’accidia, che letteralmente dal greco significa “mancanza di cura”.

Si tratta di una tentazione molto pericolosa, con cui non bisogna scherzare. Chi ne cade vittima è come fosse schiacciato da un desiderio di morte: prova disgusto per tutto; il rapporto con Dio gli diventa noioso; e anche gli atti più santi, quelli che in passato gli avevano scaldato il cuore, gli appaiono ora del tutto inutili. Una persona comincia a rimpiangere il tempo che scorre, e la gioventù che è irreparabilmente alle spalle.

L’accidia è definita come il “demone del mezzogiorno”: ci coglie nel mezzo delle giornate, quando la fatica è al suo apice e le ore che ci stanno davanti ci appaiono monotone, impossibili da vivere. In una celebre descrizione il monaco Evagrio rappresenta così questa tentazione: «L’occhio dell’accidioso è continuamente fisso alle finestre, e nella sua mente fantastica sui visitatori […] Quando legge, l’accidioso sbadiglia spesso ed è facilmente vinto dal sonno, si stropiccia gli occhi, si sfrega le mani e, ritirando gli occhi dal libro, fissa il muro; poi di nuovo rivolgendoli al libro, legge ancora un poco […]; infine, chinata la testa, vi pone sotto il libro, si addormenta di un sonno leggero, finché la fame non lo risveglia e lo spinge a occuparsi dei suoi bisogni»; in conclusione, «l’accidioso non compie con sollecitudine l’opera di Dio» [1].

I lettori contemporanei intravedono in queste descrizioni qualcosa che ricorda molto il male della depressione, sia da un punto di vista psicologico che filosofico. Infatti, per chi è preso dall’accidia, la vita perde di significato, pregare risulta noioso, ogni battaglia appare priva di senso. Se anche in gioventù abbiamo nutrito passioni, adesso ci appaiono illogiche, sogni che non ci hanno reso felici. Così ci si lascia andare e la distrazione, il non pensare, appaiono come le uniche vie d’uscita: si vorrebbe essere storditi, avere la mente completamente vuota… È un po’ un morire in anticipo, ed è brutto.

Davanti a questo vizio, che ci accorgiamo essere tanto pericoloso, i maestri di spiritualità prevedono diversi rimedi. Vorrei segnalare quello che mi sembra il più importante e che chiamerei la pazienza della fede. Benché sotto la sferza dell’accidia il desiderio dell’uomo sia di essere “altrove”, di evadere dalla realtà, bisogna invece avere il coraggio di rimanere e di accogliere nel mio “qui e ora”, nella mia situazione così com’è, la presenza di Dio. I monaci dicono che per loro la cella è la miglior maestra di vita, perché è il luogo che concretamente e quotidianamente ti parla della tua storia d’amore con il Signore. Il demone dell’accidia vuole distruggere proprio questa gioia semplice del qui e ora, questo stupore grato della realtà; vuole farti credere che è tutto vano, che nulla ha senso, che non vale la pena di prendersi cura di niente e di nessuno. Nella vita incontriamo gente “accidiosa”, gente di cui diciamo: “Ma questo è noioso!” e non ci piace stare con lui; gente che ha pure un atteggiamento di noia che contagia. Ecco l’accidia.

Quanta gente, in preda all’accidia, mossa da un’inquietudine senza volto, ha stupidamente abbandonato la via di bene che aveva intrapreso! Quella dell’accidia è una battaglia decisiva, che bisogna vincere a tutti i costi. Ed è una battaglia che non ha risparmiato nemmeno i santi, perché in tanti loro diari c’è qualche pagina che confida momenti tremendi, di vere e proprie notti della fede, dove tutto appariva buio. Questi santi e queste sante ci insegnano ad attraversare la notte nella pazienza accettando la povertà della fede. Hanno raccomandato, sotto l’oppressione dell’accidia, di tenere una misura di impegno più piccola, di fissare traguardi più a portata di mano, ma nello stesso tempo di resistere e di perseverare appoggiandoci a Gesù, che mai abbandona nella tentazione.

La fede, tormentata dalla prova dell’accidia, non perde di valore. È anzi la vera fede, l’umanissima fede, che nonostante tutto, nonostante l’oscurità che la acceca, ancora umilmente crede. È quella fede che rimane nel cuore, come rimane la brace sotto la cenere. Sempre rimane. E se qualcuno di noi cade in questo vizio o in una tentazione di accidia, cerchi di guardarsi dentro e di custodire la brace della fede: così si va avanti.

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[1] Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità, 14.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française venus de Belgique et de France, en particulier le groupe de jeunes du Diocèse de Créteil, accompagné par leur Évêque. Je vous invite, au début de ce Carême, à combattre le vice de l’acédie par l’enthousiasme de la foi, confiants dans la présence puissante de Jésus en nous. Que Dieu vous bénisse !

[Porgo un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua francese venuti dal Belgio e dalla Francia, in particolare il gruppo dei giovani della Diocesi di Créteil, accompagnato dal loro Vescovo. Vi invito, all’inizio di questa Quaresima, a combattere il vizio dell’accidia con l’entusiasmo della fede, fiduciosi nella potente presenza di Gesù in noi. Dio vi benedica tutti!]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Wales, Nigeria, Korea and the United States of America. As we begin this season of Lent, I invoke upon all of you the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese che partecipano all’udienza di oggi, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Galles, Nigeria, Corea e Stati Uniti d’America. All’inizio di questo tempo di Quaresima, invoco su tutti voi la gioia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger deutscher Sprache, besonders an die Ministranten aus der Diözese Bozen-Brixen, die von ihrem Bischof Mons. Ivo Muser begleitet werden. In der Fastenzeit, in die wir heute eintreten, sind wir aufgerufen, uns von den schlechten Gewohnheiten abzuwenden, um wieder neu in Einklang mit Gott und den Mitmenschen zu leben. Der Herr begleite uns mit seiner Gnade auf diesem Weg.

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua tedesca, in particolare ai chierichetti della Diocesi di Bolzano-Bressanone, accompagnati dal loro Vescovo Mons. Ivo Muser. Nella Quaresima che oggi iniziamo siamo chiamati a convertirci dai vizi per ritornare ad una vita in armonia con Dio e con i fratelli. La grazia del Signore ci accompagni in questo cammino!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Hoy, Miércoles de ceniza, comenzamos la Cuaresma. Los invito durante este tiempo a acompañar a Jesús en el desierto con la oración, el ayuno y la limosna, dando testimonio de la fe con alegría y humildad. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

Saúdo cordialmente os fiéis de língua portuguesa. Começamos hoje o nosso caminho quaresmal até a Páscoa. Somos chamados ao deserto. Através das práticas do jejum, da esmola e da oração, Jesus nos convida à conversão. Que Deus nos acompanhe e nos abençoe nesta caminhada!

[Saluto cordialmente i fedeli di lingua portoghese. Iniziamo oggi il nostro cammino quaresimale verso la Pasqua. Siamo chiamati al deserto. Attraverso le pratiche del digiuno, l’elemosina e la preghiera, Gesù ci invita alla conversione. Che Dio ci accompagni e ci benedica in questo percorso!]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة. معَ بدايةِ الزَّمنِ الأربعينيّ، أتمنَّى لكم جميعًا أنْ يكونَ زمنَ توبةٍ حقيقيّ وتجدُّدٍ داخلِيّ في الايمانِ والرَّجاءِ والمحبَّة. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. All’inizio della Quaresima, vorrei augurare a tutti voi che essa sia un tempo di vera conversione e di rinnovamento interiore nella fede, nella speranza e nella carità. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎!]

Serdecznie pozdrawiam Polaków. Na początku Wielkiego Postu, we wszystkich kościołach w waszej ojczyźnie prowadzona jest dziś zbiórka funduszy na pomoc Ukrainie. W obliczu tak wielu wojen nie zamykajmy naszych serc na potrzebujących. Modlitwa, post i jałmużna niech będą drogą budowania pokoju. Z serca błogosławię wam i waszym rodzinom!

[Saluto cordialmente i polacchi. Per l’inizio della Quaresima, si tiene oggi in tutte le chiese del vostro Paese una raccolta fondi per aiutare l'Ucraina. Di fronte a tante guerre, non chiudiamo il nostro cuore a chi ha bisogno. La preghiera, il digiuno e l'elemosina siano la via per costruire la pace. Di cuore, benedico voi e le vostre famiglie!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, agli studenti del Liceo Marconi di Pescara, dell’Istituto “Aldo Moro” di Sutri e della scuola “Gianna Beretta Molla” di Corbetta. Saluto con affetto i bambini ospiti dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano, accompagnati dai familiari e dagli operatori sanitari. Accolgo con gratitudine i membri dell’Associazione “Motor Terapia” di Lecce, che aiutano le persone con diversa abilità motoria.

Tutti noi abbiamo letto, abbiamo sentito le storie dei primi martiri della Chiesa, che furono tanti. Qui, dove adesso sorge il Vaticano, c’è un cimitero e molti che erano stati giustiziati sono qui sepolti; scavando, se ne trovano le tombe. Ma anche oggi ci sono tanti martiri in tutto il mondo: tanti, forse più che agli inizi. Ci sono tanti perseguitati per la fede. E oggi mi permetto di salutare in modo speciale un “martire vivente”, il Cardinale Simoni. Lui, da prete, da Vescovo, ha vissuto 28 anni in carcere, nelle carceri dell’Albania comunista, la persecuzione forse più crudele. E continua a dare testimonianza. E come lui, tanti, tanti, tanti. Adesso ha 95 anni e continua a lavorare per la Chiesa senza scoraggiarsi. Caro fratello, ti ringrazio della testimonianza. Grazie.

Il mio pensiero infine è per i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi inizia la Quaresima, disponiamoci a percorrere questo tempo come occasione di conversione e di rinnovamento interiore nell’ascolto della Parola di Dio, nella cura dei fratelli che più necessitano. E non dimentichiamo mai la martoriata Ucraina, la Palestina e Israele che soffrono tanto. Preghiamo per questi fratelli e sorelle che soffrono a causa della guerra. Andiamo avanti nel processo di conversione, nell’ascolto della Parola di Dio, nella cura dei fratelli che necessitano e andiamo avanti nell’intensificare la preghiera, soprattutto per chiedere la pace nel mondo.

A tutti voi la mia benedizione!

Ai Membri della Pontificia Accademia per la Vita (12 febbraio 2024)

Lun, 12/02/2024 - 09:30

Human. Meanings and Challenges

Illustri Signore e Signori!

Saluto S.E. Mons. Paglia, le vostre Eccellenze, Sua Eminenza e il nuovo Arcivescovo di Santiago del Cile, e vi ringrazio per il vostro impegno nel campo della ricerca delle scienze della vita, della salute e della cura; un impegno che la Pontificia Accademia per la Vita porta avanti da trent’anni.

La questione che affrontate in questa Assemblea Generale è della massima importanza: quella, cioè, di come si possa comprendere ciò che qualifica l’essere umano. Si tratta di un interrogativo antico e sempre nuovo, che le sorprendenti risorse possibili grazie alle nuove tecnologie ripropongono in forma ancora più complessa. Il contributo degli studiosi da sempre ci dice che non è possibile essere a priori “pro” o “contro” le macchine e le tecnologie, perché questa alternativa, riferita all’esperienza umana, non ha senso. E anche oggi, non è plausibile ricorrere solamente alla distinzione tra processi naturali e processi artificiali, considerando i primi come autenticamente umani e i secondi come estranei o addirittura contrari all’umano: questo non va. Quello che occorre fare, piuttosto, è inscrivere i saperi scientifici e tecnologici all’interno di un più ampio orizzonte di significato, scongiurando così l’egemonia tecnocratica (cfr Lett. enc. Laudato si’, 108).

Consideriamo, ad esempio, il tentativo di riprodurre l’essere umano con i mezzi e la logica della tecnica. Un tale approccio implica la riduzione dell’umano a un aggregato di prestazioni riproducibili a partire di un linguaggio digitale, che pretende di esprimere, attraverso codici numerici, ogni tipo di informazione. La stretta consonanza con il racconto biblico della Torre di Babele (cfr Gen 11,1-11) mostra che il desiderio di darsi un linguaggio unico è inscritto nella storia dell’umanità; e l’intervento di Dio, che troppo frettolosamente viene inteso solo come una punizione distruttiva, contiene invece una benedizione propositiva. Esso, infatti, manifesta il tentativo di correggere la deriva verso un “pensiero unico” attraverso la molteplicità delle lingue. Gli esseri umani vengono così messi di fronte al limite e alla vulnerabilità e richiamati al rispetto dell’alterità e alla cura reciproca.

Certo, le crescenti capacità della scienza e della tecnica conducono gli esseri umani a sentirsi protagonisti di un atto creatore affine a quello divino, che produce l’immagine e la somiglianza della vita umana, inclusa la capacità del linguaggio, di cui le “macchine parlanti” sembrano essere dotate. Sarebbe allora nel potere dell’uomo infondere lo spirito nella materia inanimata? La tentazione è insidiosa. Ci viene quindi chiesto di discernere come la creatività dell’uomo affidato a sé stesso possa esercitarsi in modo responsabile. Si tratta di investire i talenti ricevuti impedendo che l’umano sia sfigurato e che siano annullate le differenze costitutive che danno ordine al cosmo (cfr Gen 1-3).

Il compito principale si pone quindi a livello antropologico e richiede di sviluppare una cultura che, integrando le risorse della scienza e della tecnica, sia capace di riconoscere e promuovere l’umano nella sua specificità irripetibile. Occorre esplorare se tale specificità non sia da collocare addirittura a monte del linguaggio, nella sfera del pathos e delle emozioni, del desiderio e dell’intenzionalità, che solo un essere umano può riconoscere, apprezzare e convertire in senso relazionale a favore degli altri, assistito dalla grazia del Creatore. Un compito culturale, dunque, perché la cultura plasma e orienta le forze spontanee della vita e le pratiche sociali.

Cari amici, come è impegnativo l’argomento che affrontate, impegnative sono anche le due modalità con cui intendete farlo. In primo luogo, perché vedo in voi lo sforzo di attuare un effettivo dialogo, uno scambio transdisciplinare in quella forma che Veritatis gaudium descrive «come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio» (n. 4c). Apprezzo che la vostra riflessione si svolga nella logica di un vero e proprio «laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce […] il Popolo di Dio» (ivi, 3). Per questo, incoraggio tale forma di dialogo, e questo dialogo permetterà a ciascuno di esporre le proprie considerazioni interagendo con gli altri in un reciproco scambio. È questa la via per andare oltre la giustapposizione dei saperi, avviando una rielaborazione delle conoscenze attraverso il vicendevole ascolto e la riflessione critica.

In secondo luogo, nella dinamica del vostro incontro si vede un modo di procedere sinodale, giustamente adattato per affrontare gli argomenti al centro della missione dell’Accademia. Si tratta di uno stile di ricerca esigente, perché comporta attenzione e libertà di spirito, apertura a inoltrarsi su sentieri inesplorati e sconosciuti, affrancandosi da ogni sterile “indietrismo”. Per chi si impegna in un serio ed evangelico rinnovamento del pensiero, è indispensabile mettere in questione anche opinioni acquisite e presupposti non criticamente vagliati.

In questa linea, il cristianesimo ha sempre offerto contributi di rilievo, riprendendo da ogni cultura in cui si è inserito le tradizioni di senso che vi trovava inscritte: reinterpretandole alla luce della relazione con il Signore, che nel Vangelo si rivela, e avvalendosi delle risorse linguistiche e concettuali presenti nei singoli contesti. Un cammino di elaborazione lungo e sempre da riprendere, che richiede un pensiero capace di abbracciare più generazioni: come quello di chi pianta alberi, i cui frutti saranno mangiati dai figli, o di chi costruisce cattedrali, che verranno completate dai nipoti.

È questo atteggiamento aperto e responsabile, docile allo Spirito il quale, come il vento, «non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8), che desidero invocare dal Signore per tutti voi, augurandovi un lavoro proficuo e fecondo. Di cuore vi benedico. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

Angelus, 11 febbraio 2024

Dom, 11/02/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo oggi ci presenta la guarigione di un lebbroso (cfr Mc 1,40-45). Al malato, che lo implora, Gesù risponde: «Lo voglio, sii purificato!» (v. 41). Pronuncia una frase semplicissima, che mette immediatamente in pratica. Infatti «subito la lebbra scomparve ed egli guarì» (v. 42). Ecco lo stile di Gesù con chi soffre: poche parole e fatti concreti.

Tante volte, nel Vangelo, lo vediamo comportarsi così nei confronti di chi soffre: sordomuti (cfr Mc 7,31-37), paralitici (cfr Mc 2,1-12) e tanti altri bisognosi (cfr Mc 5). Sempre fa così: parla poco e alle parole fa seguire prontamente le azioni: si china, prende per mano, risana. Non indugia in discorsi o interrogatori, tanto meno in pietismi e sentimentalismi. Dimostra piuttosto il pudore delicato di chi ascolta attentamente e agisce con sollecitudine, preferibilmente senza dare nell’occhio.

È un modo meraviglioso di amare, e come ci fa bene immaginarlo e assimilarlo! Pensiamo anche a quando ci succede di incontrare persone che si comportano così: sobrie di parole, ma generose nell’agire; restie a mettersi in mostra, ma pronte a rendersi utili; efficaci nel soccorrere perché disposte ad ascoltare. Amici e amiche a cui si può dire: “Vuoi ascoltarmi?” “Vuoi aiutarmi?”, con la fiducia di sentirsi rispondere, quasi con le parole di Gesù: “Sì, lo voglio, sono qui per te, per aiutarti!”. Questa concretezza è tanto più importante in un mondo, come il nostro, in cui sembra farsi sempre più strada una evanescente virtualità delle relazioni.

Ascoltiamo invece come ci provoca la Parola di Dio: «Se un fratello o una sorella sono nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che giova?» (Gc 2,15-16). Questo lo dice l’apostolo Giacomo. L’amore ha bisogno di concretezza, l’amore ha bisogno di presenza, di incontro, ha bisogno di tempo e spazio donati: non può ridursi a belle parole, a immagini su uno schermo, a selfie di un momento o a messaggini frettolosi. Sono strumenti utili, che possono aiutare, ma non bastano all’amore, non possono sostituirsi alla presenza concreta.

Chiediamoci oggi: io so mettermi in ascolto delle persone, sono disponibile alle loro buone richieste? Oppure accampo scuse, rimando, mi nascondo dietro parole astratte e inutili? Concretamente, quand’è stata l’ultima volta che sono andato a visitare una persona sola o malata – ognuno si risponda nel cuore –, o quando è stata l’ultima volta che ho cambiato i miei programmi per venire incontro alle necessità di chi mi domandava aiuto?

Maria, sollecita nel prendersi cura, ci aiuti ad essere pronti e concreti nell’amore.

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Dopo l'Angelus

Oggi è stata canonizzata María Antonia de Paz y Figueroa, una santa argentina. Un applauso alla nuova santa!

Si celebra oggi, nella memoria della Beata Vergine di Lourdes, la Giornata Mondiale del Malato, che quest’anno richiama l’attenzione sull’importanza delle relazioni nella malattia. La prima cosa di cui abbiamo bisogno quando siamo malati è la vicinanza delle persone care, degli operatori sanitari e, nel cuore, la vicinanza di Dio. Siamo tutti chiamati a farci prossimo a chi soffre, a visitare i malati, come ci insegna Gesù nel Vangelo. Per questo oggi voglio esprimere a tutte le persone ammalate o più fragili la mia vicinanza e quella di tutta la Chiesa. Non dimentichiamo lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza.

Ma in questa Giornata, fratelli e sorelle, non possiamo tacere il fatto che ci sono tante persone, oggi, alle quali è negato il diritto alle cure, e dunque il diritto alla vita! Penso a quanti vivono in povertà estrema; ma penso anche ai territori di guerra: lì sono violati ogni giorno diritti umani fondamentali! È intollerabile. Preghiamo per la martoriata Ucraina, per la Palestina e Israele, preghiamo per il Myanmar e per tutti i popoli martoriati dalla guerra.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini di vari Paesi. In particolare, saluto i fedeli di Moral de Calatrava e Burgos (Spagna), quelli di Brasilia e del Portogallo; il Coro e l’Orchestra di giovani di Mostar; la Scuola di Vila Pouca de Aguiar (Portogallo).

Saluto i fedeli di Enego e di Rogno, i volontari del Santuario di Sant’Anna di Vinadio, il Coro di Eraclèa e l’Associazione Santa Paola Frassinetti di San Calogero. Saluto i giovani di Lodi, Petosino e Torri di Quartesòlo; i cresimandi di Malta, Lallio e Almenno San Salvatore; gli alunni dell’Istituto “Sant’Ambrogio” dei Salesiani di Milano e il Coretto Bimbi di Piovène Rocchette; come pure il gruppo di “Radio Mater”, in occasione del suo 30° anniversario.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

VI domenica del Tempo Ordinario – Santa Messa e canonizzazione della Beata Maria Antonia di San Giuseppe de Paz y Figueroa (11 febbraio 2024)

Dom, 11/02/2024 - 09:30

La prima Lettura (cfr Lv 13,1-2.45-46) e il Vangelo (cfr Mc 1,40-45) parlano della lebbra: una malattia che comporta la progressiva distruzione fisica della persona e a cui spesso, purtroppo, vengono ancora oggi associati, in alcuni luoghi, atteggiamenti di emarginazione. Lebbra ed emarginazione: sono due mali da cui Gesù vuole liberare l’uomo che incontra nel Vangelo. Vediamo la sua situazione.

Quel lebbroso è costretto a vivere fuori della città. Fragile per la sua malattia, invece di essere aiutato dai suoi concittadini è abbandonato a sé stesso, anzi è ferito ulteriormente dall’allontanamento e dal rifiuto. Perché? Per paura, prima di tutto, la paura di essere contagiati e di fare la sua stessa fine: “Che non accada anche a noi! Non rischiamo, stiamo alla larga!”. La paura. Poi per pregiudizio: “Se ha una malattia tanto orribile – era l’opinione comune – certamente è perché Dio lo sta punendo per qualche colpa che ha commesso: e allora se lo merita, ben gli sta!”.         Questo è il pregiudizio. E infine per falsa religiosità: a quel tempo, infatti, si riteneva che toccare un morto rendesse impuri, e i lebbrosi erano gente a cui la carne “moriva addosso”. Dunque – si pensava – sfiorarli voleva dire diventare impuri come loro: ecco una religiosità distorta, che alza barriere e affossa la pietà.

Paura, pregiudizio e falsa religiosità: ecco tre cause di una grande ingiustizia, tre “lebbre dell’anima” che fanno soffrire un debole, scartandolo come un rifiuto. Fratelli, sorelle, non pensiamo che siano solo cose del passato. Quante persone sofferenti incontriamo sui marciapiedi delle nostre città! E quante paure, pregiudizi e incoerenze, pure tra chi crede e si professa cristiano, continuano a ferirle ulteriormente! Anche nel nostro tempo c’è tanta emarginazione, ci sono barriere da abbattere, “lebbre” da curare. Ma come? Come possiamo farlo? Cosa fa Gesù? Gesù compie due gesti: tocca e guarisce.

Primo gesto: toccare. Gesù, al grido di aiuto di quell’uomo (cfr v. 40), sente compassione, si ferma, stende la mano e lo tocca (cfr v. 41) pur sapendo che, facendolo, diventerà a sua volta un “rifiutato”. Anzi, paradossalmente, le parti si invertiranno: il malato, quando sarà guarito, potrà andare dai sacerdoti ed essere riammesso nella comunità; Gesù, invece, non potrà più entrare in nessun centro abitato (cfr v. 45). Il Signore poteva allora evitare di toccare quella persona, sarebbe bastato “guarirla a distanza”. Ma Cristo non è così, la sua via è quella dell’amore che si fa vicino a chi soffre, che entra in contatto, che ne tocca le ferite. La vicinanza di Dio. Gesù è vicino, Dio è vicino. Il nostro Dio, cari fratelli e sorelle, non è rimasto distante in cielo, ma in Gesù si è fatto uomo per toccare la nostra povertà. E di fronte alla “lebbra” più grave, quella del peccato, non ha esitato a morire in croce, fuori dalle mura della città, rigettato come un peccatore, come un lebbroso, per toccare fino in fondo la nostra realtà umana. Un santo scriveva: “Si è fatto lebbroso per noi”.

E noi, che amiamo e seguiamo Gesù, sappiamo fare nostro il suo “tocco”? Non è facile e dobbiamo vigilare quando nel cuore si affacciano gli istinti contrari al suo “farsi vicino” e al suo “farsi dono”: ad esempio quando prendiamo le distanze dagli altri per pensare a noi stessi, quando riduciamo il mondo alle mura del nostro “star bene”, quando crediamo che il problema siano sempre e solo gli altri… In questi casi stiamo attenti, perché la diagnosi è chiara, è “lebbra dell’anima”: malattia che ci rende insensibili all’amore, alla compassione, che ci distrugge attraverso le “cancrene” dell’egoismo, del preconcetto, dell’indifferenza e dell’intolleranza. Stiamo attenti, fratelli e sorelle, anche perché, come per le prime macchioline di lebbra, che compaiono sulla pelle nella fase iniziale del male, se non si interviene subito, l’infezione cresce e diventa devastante. Davanti a questo rischio, alla possibilità di questa malattia dell’anima nostra, qual è la cura?

Ci aiuta il secondo gesto di Gesù, che guarisce (cfr v. 42). Il suo “toccare” infatti non indica solo vicinanza, ma è l’inizio della guarigione. E la vicinanza è lo stile di Dio: Dio sempre è vicino, compassionevole e tenero. Vicinanza, compassione e tenerezza. Questo è lo stile di Dio. E noi siamo aperti a questo? Perché è lasciandoci toccare da Gesù che guariamo dentro, nel cuore. Se ci lasciamo toccare da Lui nella preghiera, nell’adorazione, se gli permettiamo di agire in noi attraverso la sua Parola e i Sacramenti, il suo contatto ci cambia realmente, ci risana dal peccato, ci libera dalle chiusure, ci trasforma al di là di quanto possiamo fare da soli, con i nostri sforzi. Le nostre parti ferite – quelle del cuore e dell’anima nostra – le malattie dell’anima vanno portate a Gesù: la preghiera fa questo; ma non una preghiera astratta, fatta solo di formule da ripetere, bensì una preghiera sincera e viva, che depone ai piedi di Cristo le miserie, le fragilità, le falsità, le paure. Pensiamoci e chiediamoci: io faccio toccare a Gesù le mie “lebbre” perché mi guarisca?

Al “tocco” di Gesù, infatti, rinasce il meglio di noi stessi: i tessuti del cuore si rigenerano; il sangue delle nostre spinte creative riprende a fluire carico di amore; le ferite degli errori del passato si rimarginano e la pelle delle relazioni ritrova la sua consistenza sana e naturale. Ritorna così la bellezza che abbiamo, la bellezza che siamo; la bellezza di essere amati da Cristo, riscopriamo la gioia di donarci agli altri, senza paure e senza pregiudizi, liberi da forme di religiosità anestetizzanti e prive della carne del fratello; riprende forza in noi la capacità di amare, al di là di ogni calcolo e convenienza.

Allora, come dice una bellissima pagina della Scrittura (cfr Ez 37,1-14), da quella che sembrava una valle di ossa inaridite risorgono dei corpi viventi e rinasce un popolo di salvati, una comunità di fratelli. Ma sarebbe ingannevole pensare che questo miracolo richieda forme grandiose e spettacolari per realizzarsi. Esso avviene principalmente nella carità nascosta di ogni giorno: quella che si vive in famiglia, al lavoro, in parrocchia e a scuola; per strada, negli uffici e nei negozi; quella che non cerca pubblicità e non ha bisogno di applausi, perché all’amore basta l’amore (cfr S. Agostino, Enarr. in Ps. 118, 8, 3). Lo sottolinea Gesù oggi, quando ordina all’uomo guarito di «non dire niente a nessuno» (v. 44): vicinanza e discrezione. Fratelli e sorelle, Dio ci ama così e se ci lasciamo toccare da Lui, anche noi, con la forza del suo Spirito, potremo diventare testimoni dell’amore che salva!

E oggi pensiamo a María Antonia de San José, “Mama Antula”. È stata una viandante dello Spirito. Ha percorso migliaia di chilometri a piedi, attraverso deserti e strade pericolose, per portare Dio. Oggi è per noi un modello di fervore e audacia apostolica. Quando i Gesuiti furono espulsi, lo Spirito accese in lei una fiamma missionaria basata sulla fiducia nella Provvidenza e sulla perseveranza. Invocò l’intercessione di San Giuseppe e, per non stancarlo troppo, pure quella di San Gaetano Thiene. Per questo motivo introdusse la devozione a quest’ultimo, e la sua prima immagine arrivò a Buenos Aires nel secolo XVIII. Grazie a Mama Antula questo santo, intercessore della Divina Provvidenza, si fece strada nelle case, nei quartieri, nei trasporti, nei negozi, nelle fabbriche, e nei cuori, per offrire una vita dignitosa attraverso il lavoro, la giustizia, il pane quotidiano sulla tavola dei poveri. Preghiamo oggi María Antonia, Santa María Antonia de Paz de San José, che ci aiuti tanto. Il Signore ci benedica tutti.

Alle Delegazioni della Confartigianato (10 febbraio 2024)

Sab, 10/02/2024 - 09:45

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono contento di accogliervi così numerosi, imprenditori e rappresentanti della Confederazione, venuti da ogni parte d’Italia. Saluto il Presidente e tutti voi che fate parte di Confartigianato.

Nata nel 1946 sulle ceneri della seconda guerra mondiale, la vostra Associazione ha contribuito alla rinascita e allo sviluppo dell’economia nazionale. In questi decenni l’artigianato ha conosciuto notevoli trasformazioni, passando dalle piccole botteghe ad aziende che producono beni e servizi anche su larga scala. L’uso delle tecnologie ha accresciuto le possibilità del settore, ma è importante che non finiscano per sostituire la fantasia dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Le macchine replicano, anche con una rapidità eccezionale, mentre le persone inventano!

Le vostre attività valorizzano l’ingegno e la creatività umana. In particolare, vorrei sottolineare quanto il vostro lavoro sia connesso con tre membra del corpo: le mani, gli occhi e i piedi.

Le mani. Il lavoro manuale rende partecipe l’artigiano dell’opera creatrice di Dio. Fare non equivale a produrre. Mette in gioco la capacità creativa che sa tenere insieme l’abilità delle mani, la passione del cuore e le idee della mente. Le vostre mani sanno realizzare moltissime cose che vi rendono collaboratori di Dio. Dice il Signore: «Come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani» (Ger 18,6). Benedite e ringraziate il Signore per il dono delle mani e per il lavoro che vi consente di esprimere. Sappiamo che non tutti hanno questa fortuna: c’è chi sta con le mani in mano, c’è chi è disoccupato e chi è in cerca di occupazione. Tutte situazioni umane che hanno bisogno di essere guarite. A volte capita anche che le vostre aziende siano in ricerca di personale qualificato e non lo trovino: non scoraggiatevi nell’offrire posti di lavoro e non abbiate timore a includere le categorie più fragili, ossia i giovani, le donne e i migranti. Vi ringrazio per il contributo che date per abbattere i muri dell’esclusione verso chi ha gravi disabilità o è invalido magari proprio a causa di un incidente sul lavoro, verso chi è tenuto ai margini e sfruttato. Ogni persona va riconosciuta nella sua dignità di lavoratrice e lavoratore. Non tarpiamo mai le ali ai sogni di chi intende migliorare il mondo attraverso il lavoro e servirsi delle mani per esprimere sé stesso.

Gli occhi. Le mani, adesso gli occhi. L’artigiano ha uno sguardo originale sulla realtà. Ha la capacità di riconoscere nella materia inerte un capolavoro prima ancora di realizzarlo. Quello che per tutti è un blocco di marmo, per l’artigiano è un elemento di arredo; quello che per tutti è un pezzo di legno, per un artigiano è un violino, una sedia, una cornice! L’artigiano arriva prima di tutti a intuire il destino di bellezza che può avere la materia. E questo lo avvicina al Creatore. Nel Vangelo di Marco Gesù è definito «il falegname» (6,3): il figlio di Dio è stato artigiano, ha imparato il mestiere da San Giuseppe nella bottega di Nazaret. Ha vissuto per diversi anni tra pialle, scalpelli e attrezzi di carpenteria. Ha imparato il valore delle cose e del lavoro. Il consumismo ha diffuso una brutta mentalità: la mentalità dell’“usa e getta”. Ma il creato non è una somma di cose, è dono, «un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (Enc. Laudato si’, 12). E voi artigiani ci aiutate ad avere occhi diversi sulla realtà, a riconoscere il valore e la bellezza della materia che Dio ha messo nelle nostre mani.

I piedi. Le mani, gli occhi… e ora i piedi. I prodotti che escono dalle vostre attività camminano per il mondo intero e lo abbelliscono, rispondendo ai bisogni della gente. L’artigianato è una strada per lavorare, per sviluppare la fantasia, per migliorare gli ambienti, le condizioni di vita, le relazioni. Per questo mi piace pensarvi anche come artigiani di fraternità. La parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,29-37) ci ricorda questo artigianato delle relazioni, del condividere insieme. Il samaritano si è fatto prossimo, si è chinato e ha rialzato l’uomo ferito rimettendolo in piedi e ungendolo di dignità attraverso i gesti della cura. Così «la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (Enc. Fratelli tutti, 67). I nostri piedi ci consentono di incontrare molte persone cadute lungo la strada: attraverso il lavoro possiamo permettere loro di camminare con noi. Possiamo diventare compagni di strada, in mezzo alla cultura dell’indifferenza. Ogni volta che facciamo un passo per avvicinarci al fratello, diventiamo artigiani di una nuova umanità.

Vi incoraggio ad essere artigiani di pace in un tempo in cui le guerre mietono vittime e i poveri non trovano ascolto. Le vostre mani, i vostri occhi, i vostri piedi siano segno di un’umanità creativa e generosa. E il vostro cuore sia sempre appassionato della bellezza. Grazie per il bene che realizzate. Vi affido alla protezione di San Giuseppe, che custodisca voi, le vostre famiglie e il vostro lavoro. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie!

Ai Dirigenti e al Personale dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza "Vaticano" (10 febbraio 2024)

Sab, 10/02/2024 - 09:15

Signor Capo della Polizia,
Signor Prefetto e Signor Dirigente,
cari Funzionari e Agenti, benvenuti!

Sono contento di incontrarvi in questo consueto appuntamento d’inizio d’anno. Saluto tutti voi, i vostri familiari e i Cappellani, che vi seguono nel vostro cammino di vita cristiana.

E voglio dirvi “grazie”. Prima di tutto grazie per il lavoro fedele e paziente con cui garantite a tutti coloro che vengono in Vaticano, dall’Italia e dall’estero, e gli date la possibilità di vivere momenti di fede e di preghiera, come pellegrini, o semplicemente di svago, come turisti, in un clima sereno di ordine e di sicurezza. È un impegno delicato questo, che merita tanto più apprezzamento in quanto svolto quotidianamente, tutti i giorni – e le notti! – dell’anno. Grazie!

Voglio poi ringraziarvi, assieme alle vostre famiglie, anche per la disponibilità e la capacità di adattamento con cui provvedete all’incolumità mia e dei miei collaboratori in occasione di viaggi e spostamenti a Roma e in altre località italiane, spesso facendovi carico di orari ed esigenze logistiche scomode e disagevoli: grazie di cuore!

Il vostro è un lavoro dai molti risvolti, fatto di paziente prevenzione, di vigilanza sul campo, di gestione di situazioni impreviste, a volte pericolose, nella maggior parte dei casi affrontate in modo discreto e senza dare nell’occhio. Un lavoro che richiede coraggio, tatto, nervi saldi, attenzione e comprensione per i bisogni e le criticità di chi domanda il vostro aiuto e anche di chi rende necessario il vostro intervento con comportamenti problematici di vario tipo.

San Giovanni XXIII diceva che quello delle Forze dell’Ordine è un compito gravoso, che richiede grandi qualità morali e soprattutto dedizione e abnegazione per il conseguimento del bene comune. Per questo vi definiva “buoni servitori della comunità umana e artefici di pace nella società” (cfr Alocución a los participantes en el XVI “Rallye” internacional de la Policía, Castelgandolfo, 8 settembre 1961).

Sono parole cariche di significato che ben esprimono sia le attese – a volte molto esigenti – di cui siete oggetto, sia gli ideali a cui vi ispirate. Eppure è così. Il bene comune e la pace nella società non si improvvisano e non fioriscono sempre spontaneamente. Le luci e le ombre della nostra natura umana, limitata e ferita dal peccato, comportano la necessità che ci sia chi, di fronte al male, non resti a guardare, ma si assuma la responsabilità di intervenire, per tutelare le vittime e riportare all’ordine i trasgressori, sempre avendo a cuore il bene di tutti.

Ed è forse proprio per questo vostro impegno in prima persona che le “auto azzurre” diventano spesso punto di riferimento anche per tanti altri bisogni meno istituzionali, ma non meno importanti a livello umano, di cui pure vi fate carico: dalla richiesta di informazioni, ai piccoli imprevisti, o a chi si rivolge a voi per manifestare un disagio, o perché, sentendosi emarginato, cerca un po’ di comprensione ed empatia. Sì, perché la gente sa che “dove c’è la divisa, ci si può fidare”. E questo è molto importante.

Perciò, carissimi, vi rinnovo il mio grazie e benedico voi e le vostre famiglie, affidandovi all’intercessione di Maria Santissima e di San Michele Arcangelo, vostro Patrono. Io prego per voi, e voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

 

Ai Pellegrini dall'Argentina per la Canonizzazione della Beata Maria Antonia di San Giuseppe de Paz y Figueroa (9 febbraio 2024)

Ven, 09/02/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

Buongiorno, e grazie per essere qui oggi. Sono felice di avere questo incontro con tutti voi in occasione della canonizzazione di María Antonia de San José, la nostra Madre Antula, alla quale siete venuti a manifestare la vostra devozione.

Saluto i miei fratelli Vescovi provenienti dall’Argentina — dalla diocesi primaziale, che poi hanno lasciato senza nulla — e tutti i sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che li accompagnano. La carità di Mama Antula, soprattutto nel servizio ai più bisognosi, oggi si impone con grande forza, in mezzo a questa società che corre il rischio di dimenticare che «l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Un virus che inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni» (Lettera enciclica Fratelli tutti, n. 105). In questa beata troviamo un esempio e un’ispirazione che ravviva «l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 195). Che il Signore ci dia la grazia di seguire il suo esempio e che questo esempio ci aiuti a essere questo segno di amore e di tenerezza tra i nostri fratelli.

Ricordiamo anche che il cammino della santità implica fiducia, abbandono, come quando la beata María Antonia giunse soltanto con un crocifisso e scalza a Buenos Aires, perché non aveva posto la sua sicurezza in sé stessa, ma in Dio, confidava che il suo arduo apostolato fosse opera di Lui. Lei sperimentò ciò che Dio vuole da ognuno di noi, che possiamo scoprire la sua chiamata, ognuno nel proprio stato di vita, poiché qualunque esso sia, si sintetizzerà sempre nel realizzare “tutto per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Questa premessa, che è alla base della spiritualità ignaziana, della quale la beata Mama Antula si nutrì, la mosse sempre in ogni sua opera. Tanto è vero che una delle sue principali preoccupazioni quando fu soppressa la Compagnia di Gesù fu di impartire lei stessa gli esercizi spirituali, cercando così di aiutare tutti a scoprire la bellezza della sequela di Cristo. Ma ciò non fu facile, poiché, per l’avversione che si era creata contro i Gesuiti, giunsero a proibirle di dare gli esercizi, di modo che decise di impartirli clandestinamente. Questa dimensione della clandestinità non possiamo dimenticarla, è molto importante. In tal senso, un altro messaggio che ci dà la beata nel nostro mondo di oggi è di non arrenderci di fronte alle avversità, di non desistere dai nostri buoni propositi di portare il Vangelo a tutti, nonostante le sfide che questo può rappresentare. Spesso anche la «propria famiglia o il proprio luogo di lavoro possono essere quell’ambiente arido dove si deve conservare la fede e cercare di irradiarla» (Ibidem, n. 86). Saldamente radicati nel Signore, dobbiamo vedere in questo un’occasione in cui possiamo sfidare il nostro ambiente per portare la gioia del Vangelo.

Oltre alla devozione che la Beata nutriva per san Giuseppe, da cui prese il nome, mi piacerebbe sottolineare il suo grande fervore per l’Eucaristia, la quale deve essere il centro della nostra vita, e dalla quale scaturisce la forza per realizzare il nostro apostolato (cfr. Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 10). Vi invito a partecipare seriamente, domenica, alla celebrazione di Cristo, morto e risorto, nella quale proclameremo santa Mama Antula. Vi invito a essere testimoni di questo dono per il popolo argentino, ma anche per tutta la Chiesa. A lei, che tanto promosse i pellegrinaggi, chiediamo che ci aiuti nel nostro peregrinare insieme verso la casa del Padre.

Che la Vergine di Luján interceda per tutti i fedeli che peregrinano in Argentina, e per la Chiesa universale. E non dimenticatevi di pregare per me. Che Dio vi benedica. Grazie.

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 33, venerdì 9 febbraio 2024, p. 8.

Messaggio del Santo Padre per la X Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone (8 febbraio 2024)

Gio, 08/02/2024 - 13:15

Camminare per la dignità: ascoltare, sognare, agire
 

Care sorelle e cari fratelli!

Oggi, nella memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, ricorre la decima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Con tutto il cuore mi unisco a voi, soprattutto ai giovani, che in tutto il mondo vi state impegnando per contrastare questo dramma globale.

Insieme camminiamo sui passi di Santa Bakhita, la Suora sudanese che da bambina fu venduta come schiava ed è stata vittima della tratta. Ricordiamo l’ingiustizia che ha subito, la sua sofferenza, ma anche la sua forza e il suo percorso di liberazione e di rinascita a una nuova vita. Santa Bakhita ci incoraggia ad aprire gli occhi e le orecchie, per vedere gli invisibili e ascoltare chi non ha voce, per riconoscere la dignità di ciascuno e per agire contro la tratta e ogni forma di sfruttamento.

La tratta è spesso invisibile. I media, grazie anche a reporter coraggiosi, gettano luce sulle schiavitù del nostro tempo, ma la cultura dell’indifferenza ci anestetizza. Aiutiamoci insieme a reagire, ad aprire le nostre vite, i nostri cuori a tante sorelle e tanti fratelli che sono trattati come schiavi. Non è mai troppo tardi per decidere di farlo.

E grazie a Dio sono numerosi i giovani che si sono coinvolti nell’impegno di questa Giornata mondiale. Il loro slancio ci indica la strada, ci dice che contro la tratta dobbiamo ascoltare, sognare e agire.

È fondamentale avere la capacità di ascoltare chi sta soffrendo. Penso alle vittime dei conflitti, delle guerre, a quanti sono colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, alle moltitudini di migranti forzati, a chi oggetto di sfruttamento sessuale o lavorativo, in particolare le donne e le bambine. Ascoltiamo il loro grido di aiuto, lasciamoci interpellare dalle loro storie; e insieme con le vittime e con i giovani ritorniamo a sognare un mondo in cui le persone possano vivere con libertà e dignità.

E poi, sorelle e fratelli, con la forza dello Spirito di Gesù Cristo dobbiamo trasformare questo sogno in realtà, mediante azioni concrete di contrasto alla tratta. Impegniamoci a pregare e agire per questa causa di dignità: pregare e agire sia personalmente, sia nelle famiglie, sia nelle comunità parrocchiali e religiose, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali, e anche nei vari ambiti sociali e nella politica.

Sappiamo che è possibile contrastare la tratta, ma bisogna arrivare alla radice del fenomeno, sradicandone le cause. Vi incoraggio pertanto a rispondere a questo appello alla trasformazione, in memoria di Santa Giuseppina Bakhita, simbolo di coloro che, purtroppo ridotti in schiavitù, possono ancora riconquistare la libertà. È una chiamata a non rimanere fermi, a mobilitare tutte le nostre risorse nella lotta contro la tratta e nel restituire piena dignità a quanti ne sono stati vittime. Se chiuderemo occhi e orecchie, se resteremo inerti, saremo complici.

Di cuore ringrazio e benedico voi che lavorate per questa Giornata, e benedico tutti coloro che vogliono impegnarsi contro la tratta e ogni forma di sfruttamento per costruire un mondo di fraternità e di pace.

Roma, San Giovanni in Laterano, 8 febbraio 2024,
memoria di Santa Giuseppina Bakhita.
 

FRANCESCO

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