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Aggiornato: 9 min 47 sec fa

Angelus, 3 marzo 2024

Dom, 03/03/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi il Vangelo ci mostra una scena dura: Gesù che scaccia i mercanti dal tempio (cfr Gv 2,13-25), Gesù che allontana i venditori, rovescia i banchi dei cambiavalute e ammonisce tutti dicendo: «Non fate della casa del Padre mio un mercato» (v. 16). Soffermiamoci un po’ sul contrasto tra casa e mercato: si tratta infatti di due modi diversi di porsi davanti al Signore.

Nel tempio inteso come mercato, per essere a posto con Dio bastava comprare un agnello, pagarlo e consumarlo sulle braci dell’altare. Comprare, pagare, consumare, e poi ciascuno a casa sua. Nel tempio inteso invece come casa succede il contrario: si va per incontrare il Signore, per stare uniti a Lui, stare uniti ai fratelli, per condividere gioie e dolori. Ancora: al mercato si gioca sul prezzo, a casa non si calcola; al mercato si cercano i propri interessi, a casa si dà gratuitamente. E Gesù oggi è duro perché non accetta che il tempio-mercato si sostituisca al tempio-casa, non accetta che la relazione con Dio sia distante e commerciale anziché vicina e fiduciosa, non accetta che i banchi di vendita prendano il posto della mensa familiare, che i prezzi vadano al posto degli abbracci e le monete prendano il posto delle carezze. E perché Gesù non accetta questo? Perché così si crea una barriera tra Dio e l’uomo e tra fratello e fratello, mentre Cristo è venuto a portare comunione, a portare misericordia, cioè perdono, a portare vicinanza.

L’invito oggi, anche per il nostro cammino di Quaresima, è a fare in noi e attorno a noi più casa e meno mercato. Prima di tutto nei confronti di Dio: pregando tanto, come figli che senza stancarsi bussano fiduciosi alla porta del Padre, non come mercanti avari e diffidenti. Dunque, primo, pregando. E poi diffondendo fraternità: c’è bisogno di tanta fraternità! Pensiamo al silenzio imbarazzante, isolante, talvolta addirittura ostile che si incontra in tanti luoghi.

Chiediamoci, allora: prima di tutto, com’è la mia preghiera? È un prezzo da pagare o è il momento dell’abbandono fiducioso, dove non guardo all’orologio? E come sono i miei rapporti con gli altri? So dare senza aspettare il contraccambio? So fare il primo passo per rompere i muri del silenzio e i vuoti delle distanze? Queste domande dobbiamo farle a noi stessi.

Maria ci aiuti a “fare casa” con Dio, tra noi e attorno a noi.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Porto quotidianamente nel cuore, con dolore, la sofferenza delle popolazioni in Palestina e in Israele, dovuta alle ostilità in corso. Le migliaia di morti, di feriti, di sfollati, le immani distruzioni causano dolore, e questo con conseguenze tremende sui piccoli e gli indifesi, che vedono compromesso il loro futuro. Mi domando: davvero si pensa di costruire un mondo migliore in questo modo, davvero si pensa di raggiungere la pace? Basta, per favore! Diciamo tutti noi: basta, per favore! Fermatevi! Incoraggio a continuare i negoziati per un immediato cessate-il-fuoco a Gaza e in tutta la regione, affinché gli ostaggi siano subito liberati e tornino dai loro cari che li aspettano con ansia, e la popolazione civile possa avere accesso sicuro ai dovuti e urgenti aiuti umanitari. E per favore non dimentichiamo la martoriata Ucraina, dove ogni giorno muoiono tanti. C’è tanto dolore là.

Il 5 marzo ricorre la seconda Giornata internazionale per la consapevolezza sul disarmo e la non proliferazione. Quante risorse vengono sprecate per le spese militari che, a causa della situazione attuale, continuano tristemente ad aumentare! Auspico vivamente che la comunità internazionale comprenda che il disarmo è innanzitutto un dovere, il disamo è un dovere morale. Mettiamo questo in testa. E questo richiede il coraggio da parte di tutti i membri della grande famiglia delle Nazioni di passare dall’equilibrio della paura all’equilibrio della fiducia.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini di vari Paesi. In particolare, saluto gli studenti dell’Università Sénior di Vila Pouca de Aguiar, in Portogallo; gli alunni dell’Istituto “Rodríguez Moñino” di Badajoz; e i gruppi parrocchiali dalla Polonia.

Saluto i cresimandi di Rosolina, in diocesi di Chioggia, con i familiari; i fedeli venuti da Padova, da Azzano Mella, Capriano e Fenili, da Taranto e dalla parrocchia S. Alberto Magno in Roma.

Un saluto affettuoso rivolgo ai giovani ucraini che la Comunità di Sant’Egidio ha convocato sul tema “Vinci il male con il bene. Preghiera, poveri, pace”. Cari giovani, grazie per il vostro impegno a favore di chi più soffre per la guerra. Grazie!

E auguro a tutti una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 

Lettera del Santo Padre ai partecipanti alla VI Settimana sociale brasiliana (2 marzo 2024)

Sab, 02/03/2024 - 16:00

Cari fratelli e sorelle,

Con il cuore pieno di speranza, mi rivolgo a tutti voi partecipanti alla VI Settimana Sociale Brasiliana, promossa dalla Commissione Episcopale Pastorale per l’Azione Socio-trasformatrice della CNBB con il tema: «Il Brasile che vogliamo, il Buon Vivere dei Popoli». Desidero assicurarvi della mia vicinanza e delle mie preghiere per il buon svolgimento dell’incontro e per i suoi frutti.

Fin dalla sua prima edizione nel 1991, la Settimana Sociale Brasiliana si propone come cammino per una «Chiesa in Uscita», impegnata ad abbattere i muri dello scarto e dell’indifferenza, accompagnando le persone più povere e prive dei diritti fondamentali nella loro lotta per la terra, la casa e il lavoro.

Propone inoltre una nuova economia, più solidale, e un rilancio dei valori democratici che aiutano a costruire una società dove ci sia una vera partecipazione popolare ai processi decisionali della Nazione.

Vi ringrazio vivamente per questo impegno e anche per la promozione, insieme ai giovani del Brasile, dell’«Economia di Chiara e Francesco». Vi sono parimenti grato perché promuovete l’appello che ho rivolto ai partecipanti all’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari nel 2014, affinché rispondessero «a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro » (Discorso, 28 ottobre 2014).

Spero dunque che il “Mutirão pela vida”, collettivo organicamente legato alla Settimana Sociale Brasiliana, produca abbondanti frutti a favore di una società più giusta, dove, come auspica la Campagna di Fraternità di quest’anno, si vivano la fratellanza universale e l’amicizia sociale.

In tal senso, cerchiamo di vedere in quanti sono costretti a vivere nella miseria a causa delle ingiustizie sociali il volto di Gesù che ci spinge a non rimanere indifferenti, poiché come Lui stesso ha detto: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).

Affidando questi voti e queste preghiere all’intercessione di Nossa Senhora Aparecida, Regina e Patrona del Brasile, imparto a tutti di cuore la mia Benedizione, chiedendovi anche di non dimenticarvi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 2 marzo 2024

FRANCESCO

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 66, giovedì 21 marzo 2024, p. 

I Giornata Mondiale dei Bambini, 2024

Sab, 02/03/2024 - 12:00

Care bambine e cari bambini!

Si avvicina la vostra prima Giornata Mondiale: sarà a Roma il 25 e 26 maggio prossimo. Per questo ho pensato di mandarvi un messaggio, sono felice che possiate riceverlo e ringrazio tutti coloro che si adopereranno per farvelo avere.

Lo rivolgo prima di tutto a ciascuno personalmente, a te, cara bambina, a te, caro bambino, perché «sei prezioso» agli occhi di Dio (Is 43,4), come ci insegna la Bibbia e come Gesù tante volte ha dimostrato.

Allo stesso tempo questo messaggio lo invio a tutti, perché tutti siete importanti, e perché insieme, vicini e lontani, manifestate il desiderio di ognuno di noi di crescere e rinnovarsi. Ci ricordate che siamo tutti figli e fratelli, e che nessuno può esistere senza qualcuno che lo metta al mondo, né crescere senza avere altri a cui donare amore e da cui ricevere amore (cfr Lett. enc. Fratelli tutti, 95).

Così tutti voi, bambine e bambini, gioia dei vostri genitori e delle vostre famiglie, siete anche gioia dell’umanità e della Chiesa, in cui ciascuno è come un anello di una lunghissima catena, che va dal passato al futuro e che copre tutta la terra. Per questo vi raccomando di ascoltare sempre con attenzione i racconti dei grandi: delle vostre mamme, dei papà, dei nonni e dei bisnonni! E nello stesso tempo di non dimenticare chi di voi, ancora così piccolo, già si trova a lottare contro malattie e difficoltà, all’ospedale o a casa, chi è vittima della guerra e della violenza, chi soffre la fame e la sete, chi vive in strada, chi è costretto a fare il soldato o a fuggire come profugo, separato dai suoi genitori, chi non può andare a scuola, chi è vittima di bande criminali, della droga o di altre forme di schiavitù, degli abusi. Insomma, tutti quei bambini a cui ancora oggi con crudeltà viene rubata l’infanzia. Ascoltateli, anzi ascoltiamoli, perché nella loro sofferenza ci parlano della realtà, con gli occhi purificati dalle lacrime e con quel desiderio tenace di bene che nasce nel cuore di chi ha veramente visto quanto è brutto il male.

Miei piccoli amici, per rinnovare noi stessi e il mondo, non basta che stiamo insieme tra noi: è necessario stare uniti a Gesù. Da lui riceviamo tanto coraggio: lui è sempre vicino, il suo Spirito ci precede e ci accompagna sulle vie del mondo. Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5); sono le parole che ho scelto come tema per la vostra prima Giornata Mondiale. Queste parole ci invitano a diventare agili come bambini nel cogliere le novità suscitate dallo Spirito in noi e intorno a noi. Con Gesù possiamo sognare un’umanità nuova e impegnarci per una società più fraterna e attenta alla nostra casa comune, cominciando dalle cose semplici, come salutare gli altri, chiedere permesso, chiedere scusa, dire grazie. Il mondo si trasforma prima di tutto attraverso le cose piccole, senza vergognarsi di fare solo piccoli passi. Anzi, la nostra piccolezza ci ricorda che siamo fragili e che abbiamo bisogno gli uni degli altri, come membra di un unico corpo (cfr Rm 12,5; 1 Cor 12,26).

E c’è di più. Infatti, care bambine e cari bambini, da soli non si può neppure essere felici, perché la gioia cresce nella misura in cui la si condivide: nasce con la gratitudine per i doni che abbiamo ricevuto e che a nostra volta partecipiamo agli altri. Quando quello che abbiamo ricevuto lo teniamo solo per noi, o addirittura facciamo i capricci per avere questo o quel regalo, in realtà ci dimentichiamo che il dono più grande siamo noi stessi, gli uni per gli altri: siamo noi il “regalo di Dio”. Gli altri doni servono, sì, ma solo per stare insieme. Se non li usiamo per questo saremo sempre insoddisfatti e non ci basteranno mai.

Invece se si sta insieme tutto è diverso! Pensate ai vostri amici: com’è bello stare con loro, a casa, a scuola, in parrocchia, all’oratorio, dappertutto; giocare, cantare, scoprire cose nuove, divertirsi, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno. L’amicizia è bellissima e cresce solo così, nella condivisione e nel perdono, con pazienza, coraggio, creatività e fantasia, senza paura e senza pregiudizi.

E adesso voglio confidarvi un segreto importante: per essere davvero felici bisogna pregare, pregare tanto, tutti i giorni, perché la preghiera ci collega direttamente a Dio, ci riempie il cuore di luce e di calore e ci aiuta a fare tutto con fiducia e serenità. Anche Gesù pregava sempre il Padre. E sapete come lo chiamava? Nella sua lingua lo chiamava semplicemente Abbà, che significa Papà (cfr Mc 14,36). Facciamolo anche noi! Lo sentiremo sempre vicino. Ce lo ha promesso Gesù stesso, quando ci ha detto: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Care bambine e cari bambini, sapete che a maggio ci troveremo in tantissimi a Roma, proprio con voi, che verrete da tutto il mondo! E allora, per prepararci bene, vi raccomando di pregare usando le stesse parole che Gesù ci ha insegnato: il Padre nostro. Recitatelo ogni mattina e ogni sera, e poi anche in famiglia, con i vostri genitori, fratelli, sorelle e nonni. Ma non come una formula, no! Pensando alle parole che Gesù ci ha insegnato. Gesù ci chiama e ci vuole protagonisti con Lui di questa Giornata Mondiale, costruttori di un mondo nuovo, più umano, giusto e pacifico.

Lui, che si è offerto sulla Croce per raccoglierci tutti nell’amore, Lui che ha vinto la morte e ci ha riconciliati col Padre, vuole continuare la sua opera nella Chiesa, attraverso di noi. Pensateci, in particolare quelli tra voi che vi preparate a ricevere la Prima Comunione.

Carissimi, Dio, che ci ama da sempre (cfr Ger 1,5), ha per noi lo sguardo del più amorevole dei papà e della più tenera delle mamme. Lui non si dimentica mai di noi (cfr Is 49,15) e ogni giorno ci accompagna e ci rinnova con il suo Spirito.

Insieme a Maria Santissima e a San Giuseppe preghiamo con queste parole:

Vieni, Santo Spirito,
mostraci la tua bellezza
riflessa nei volti
delle bambine e dei bambini della terra.
Vieni Gesù,
che fai nuove tutte le cose,
che sei la via che ci conduce al Padre,
vieni e resta con noi.
Amen.

Roma, San Giovanni in Laterano, 2 marzo 2024

FRANCESCO

Lettera Apostolica in forma di «Motu proprio» <i>Munus Tribunalis</i> con la quale viene modificata la Lex propria Supremi Tribunalis Signaturae Apostolicae del 21 giugno 2008 (28 febbraio 2024)

Sab, 02/03/2024 - 12:00

Nell’esercizio della funzione di Supremo Tribunale della Chiesa, la Segnatura Apostolica si pone al servizio del Supremo Ufficio pastorale del Romano Pontefice e della Sua Missione universale nel mondo. In questo modo, dirimendo le contese sorte per un atto di potestà amministrativa ecclesiastica, il Supremo Tribunale provvede al giudizio di legittimità sulle decisioni emanate dalle Istituzioni curiali nel loro servizio al Successore di Pietro e alla Chiesa Universale.

Considerato che il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica osserva non solo la legge universale (cfr. can. 1445 CIC) e la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (cfr. artt. 194-199 PE), ma è retto anche da una sua propria legge, ultimata la riforma della Curia Romana, ai sensi dell’art. 250 § 1 PE, si rende necessaria un’armonizzazione dei menzionati testi normativi, adeguando il testo della Lex propria, del 21 giugno 2008 (LPSA).

Pertanto, dispongo ora quanto segue:

Art. 1.

All’art. 1 § 2 LPSA, considerato quanto stabilito all’art. 195 § 1 PE, il termine “chierici” si sostituisce con il termine “presbiteri”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«Coetui Membrorum adscribi quoque possunt aliqui presbyteri, integrae famae, in iure canonico doctores atque eximia doctrina canonica praediti».

Art. 2.

All’art. 3 LPSA, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Tribunale”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«In Tribunali operam praestant Promotor iustitiae, Defensor vinculi, Promotores iustitiae Substituti et Praepositus Cancellariae, necnon congruus Officialium et Adiutorum numerus. Eidem adsunt, tamquam consultores, Referendarii».

Art. 3.

All’art. 32 LPSA, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Segnatura Apostolica”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«Signatura Apostolica, praeter munus, quod exercet, Supremi Tribunalis, consulit ut iustitia in Ecclesia recte administretur».

Art. 4.

All’art. 34 § 1 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt. 12 §§ 1-2 e 197 § 1 PE, l’espressione “emessi dai Dicasteri della Curia Romana” si sostituisce con l’espressione “emessi dalle Istituzioni curiali”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«Signatura Apostolica cognoscit de recursibus, intra terminum peremptorium sexaginta dierum utilium interpositis, adversus actus administrativos singulares sive ab Institutis Curiae Romanae latos sive ab ipsis probatos, quoties contendatur num actus impugnatus legem aliquam in decernendo vel in procedendo violaverit».

Art. 5.

All’art. 34 § 3 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt. 12 §§ 1-2; 22 e 197 § 3 PE, le espressioni “dai Dicasteri della Curia Romana” e “tra i medesimi Dicasteri” si sostituiscono con le espressioni “dalle Istituzioni curiali” e “tra le medesime Istituzioni”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«Cognoscit etiam de aliis controversiis administrativis, quae a Romano Pontifice vel ab Institutis Curiae Romanae ipsi deferantur necnon de conflictibus competentiae inter eadem Instituta».

Art. 6.

All’art. 35, 5° LPSA, considerato quanto stabilito all’art. 198, 5° PE, l’espressione “promuovere e approvare l’istituzione dei tribunali interdiocesani” si sostituisce con l’espressione “approvare l’erezione di tribunali di ogni genere costituiti dai Vescovi di più Diocesi”, risultando l’articolo in parola così formulato:

«Signaturae Apostolicae quoque est rectae administrationi iustitiae invigilare, et speciatim: [...] 5° approbare erectionem tribunalium cuiusvis generis a pluribus dioecesanis Episcopis constitutorum».

Art. 7.

All’art. 79 § 1, 1° e 2°; 80; 81 § 1 e 92 § 1 LPSA, considerato quanto stabilito all’art. 12 §§ 1-2 PE, il termine “Dicastero” si sostituisce con il termine “Istituzione curiale” in tutte le ricorrenze. Pertanto, i testi dei rispettivi articoli vengono modificati e risultano così formulati:

Art. 79 § 1 LPSA:

«Secretarius, suo decreto,

1° iubet notificari competenti Instituto Curiae Romanae omnibusque legitime coram Instituto Curiae Romanae intervenientibus recursum receptum eosdemque invitat ut Patronum constituant per legitimum mandatum;

2° exquirit ab Instituto Curiae Romanae ut exemplar actus impugnati et omnia acta controversiam respicientia transmittat intra terminum triginta dierum».

Art. 80 LPSA:

«Si Institutum Curiae Romanae sibi Patronum non constituat, Praefectus eum ex officio nominat».

Art. 81 § 1 LPSA:

«Actis Instituti Curiae Romanae receptis, Secretarius recurrentis Patrono, de re certiore facto, decreto terminum praestituit ad exhibendum memoriale, in quo clare indicentur leges, quae violatae asseruntur, recursus illustretur, compleatur vel emendetur, atque forte ad ulteriora documenta exhibenda vel expetenda».

Art. 92 § 1 LPSA:

«Nisi aliud statuatur, sententiam exsecutioni mandare debet, per se vel per alium, Institutum Curiae Romanae, quod actum impugnatum tulerit aut probaverit».

Art. 8.

All’art. 105 LPSA, considerato quanto stabilito agli artt. 12 §§ 1-2; 22 e 197 § 3 PE, il termine “Dicasteri” si sostituisce con il termine “Istituzioni curiali”, risultando il titolo del Caput V del Titulus IV modificato in «De conflictibus competentiae inter Instituta Curiae Romanae» e l’articolo in parola così formulato:

«Orto conflictu competentiae inter Instituta Curiae Romanae, res, iis auditis et praehabito voto Promotoris iustitiae, expeditissime in Congressu dirimitur».

Quanto deliberato con questa Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio, ordino che abbia fermo e stabile vigore, nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di speciale menzione, e che sia promulgato tramite pubblicazione su L’Osservatore Romano, entrando immediatamente in vigore, e quindi pubblicato nel commentario ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 28 febbraio dell’anno 2024, undicesimo del Pontificato.

FRANCESCO

Inaugurazione dell'Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano (2 marzo 2024)

Sab, 02/03/2024 - 10:00

Illustri Signore e Signori,
cari Magistrati!

Sono lieto di incontrarvi per l’inaugurazione del 95° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano; rivolgo a tutti voi il mio saluto più cordiale.

Ringrazio per la loro presenza le Autorità civili e militari italiane.

Saluto il Presidente del Tribunale, il Presidente aggiunto e il Promotore di Giustizia, insieme ai Magistrati e ai collaboratori dei rispettivi uffici; come pure i Presidenti delle Corti d’Appello e di Cassazione. Vi ringrazio per il vostro servizio, delicato e impegnativo; e insieme a voi ringrazio per la qualificata collaborazione il Corpo della Gendarmeria.

In questa occasione desidero riflettere brevemente con voi su una virtù alla quale ripenso più volte seguendo le vicende che interessano l’amministrazione della giustizia, anche nello Stato della Città del Vaticano: mi riferisco al coraggio.

Per i cristiani questa virtù, che nelle difficoltà, unita alla fortezza, assicura la costanza nella ricerca del bene e rende capaci di affrontare la prova, non rappresenta solo una particolare qualità d’animo caratteristica di alcune persone eroiche. È piuttosto un tratto che viene donato e potenziato nell’incontro con Cristo, come frutto dell’azione dello Spirito Santo che chiunque può ricevere, se lo invoca. Il coraggio contiene una forza umile, che si appoggia sulla fede e sulla vicinanza di Dio e si esprime in modo particolare nella capacità di agire con pazienza e perseveranza, respingendo i condizionamenti interni ed esterni che ostacolano il compimento del bene. Questo coraggio disorienta i corrotti e li mette, per così dire, in un angolo, con il loro cuore chiuso e indurito.

Anche nelle società ben organizzate, ben regolate e supportate dalle istituzioni, sempre rimane necessario il coraggio personale per affrontare le diverse situazioni. Senza questa sana audacia, si rischia di cedere alla rassegnazione e si finisce per trascurare tanti piccoli e grandi soprusi. Chi è coraggioso non mira al proprio protagonismo, ma alla solidarietà con i fratelli e le sorelle che portano il peso delle loro paure e debolezze.

Questo coraggio noi lo vediamo con ammirazione in tanti uomini e donne che vivono prove durissime: pensiamo alle vittime delle guerre, o a quanti sono sottoposti a continue violazioni dei diritti umani, tra i quali i numerosi cristiani perseguitati. Davanti a queste ingiustizie, lo Spirito ci dà la forza di non rassegnarci, suscita in noi lo sdegno e il coraggio: lo sdegno di fronte a queste realtà inaccettabili e il coraggio per cercare di cambiarle.

Signore e Signori, con questo coraggio siamo chiamati ad affrontare anche le difficoltà della vita quotidiana, in famiglia e nella società, a impegnarci per il futuro dei nostri figli, a custodire la casa comune, ad assumerci le nostre responsabilità professionali. E ciò vale in modo particolare per l’ambito in cui voi operate, quello dell’amministrazione della giustizia. Infatti, insieme alle virtù della prudenza e della giustizia, che devono essere informate dalla carità, e insieme alla necessaria temperanza, il compito di giudicare richiede le virtù della fortezza e del coraggio, senza le quali la sapienza rischia di rimanere sterile.

Occorre coraggio per andare fino in fondo nell’accertamento rigoroso della verità, ricordando che fare giustizia è sempre un atto di carità, un’occasione di correzione fraterna che intende aiutare l’altro a riconoscere il suo errore. Ciò vale pure quando emergono e devono essere sanzionati comportamenti che sono particolarmente gravi e scandalosi, tanto più quando avvengono nell’ambito della comunità cristiana.

Bisogna avere coraggio mentre si è impegnati per assicurare il giusto svolgimento dei processi e si è sottoposti a critiche. La robustezza delle istituzioni e la fermezza nell’amministrazione della giustizia sono dimostrate dalla serenità di giudizio, dall’indipendenza e dall’imparzialità di quanti sono chiamati, nelle varie tappe del processo, a giudicare. La miglior risposta sono il silenzio operoso e la serietà dell’impegno nel lavoro, che consentono ai nostri Tribunali di amministrare la giustizia con autorevolezza e imparzialità, garantendo il giusto processo, nel rispetto delle peculiarità dell’ordinamento vaticano.

Occorre coraggio, infine, per implorare nella preghiera che la luce dello Spirito Santo illumini sempre il discernimento necessario per arrivare all’esito di una sentenza giusta. Anche in questo contesto vorrei ricordare che il discernimento si fa “in ginocchio”, implorando il dono dello Spirito Santo, in modo da poter giungere a decisioni che vanno nella direzione del bene delle persone e dell’intera comunità ecclesiale. In realtà, come recita la Legge CCCLI sull’ordinamento dello Stato, «amministrare la giustizia non è soltanto una necessità di ordine temporale. La virtù cardinale della giustizia, infatti, illumina e sintetizza la finalità stessa del potere giudiziario proprio di ogni Stato, per coltivare la quale è essenziale anzitutto l’impegno personale, generoso e responsabile, di quanti sono investiti della funzione giurisdizionale». Tale impegno chiede di essere sostenuto dalla preghiera. Non si deve temere di perdere tempo dedicandone ad essa in abbondanza. E anche per questo ci vuole coraggio e fortezza d’animo.

Cari Magistrati del Tribunale e dell’Ufficio del Promotore, vi auguro che nel vostro servizio alla giustizia possiate mantenere sempre, insieme alla prudenza, il coraggio cristiano. Prego il Signore affinché rafforzi in voi questa virtù. Di cuore benedico voi e il vostro lavoro affidandolo alla Vergine Santa, Speculum iustitiae. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

 

Ai genitori dell'Associazione "Talità kum" di Vicenza (2 marzo 2024)

Sab, 02/03/2024 - 09:15

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Sono contento di questa vostra visita e vi ringrazio di essere qui. Saluto Padre Ermes Ronchi, che vi accompagna spiritualmente.

La prima cosa che desidero è guardarvi in volto, accogliere con le braccia aperte le vostre storie segnate dal dolore e offrire una carezza al vostro cuore, spezzato e trafitto come quello di Gesù sulla croce: un cuore che sanguina, un cuore bagnato dalle lacrime e dilaniato da un pesante senso di vuoto.

La perdita di un figlio è un’esperienza che non accetta descrizioni teoriche e rigetta la banalità di parole religiose o sentimentali, di sterili incoraggiamenti o frasi di circostanza, che mentre vorrebbero consolare finiscono per ferire ancora di più chi, come voi, ogni giorno affronta una dura battaglia interiore. Non dobbiamo scivolare nell’atteggiamento degli amici di Giobbe, i quali offrono uno spettacolo penoso e insensato, tentando di giustificare la sofferenza, addirittura ricorrendo a teorie religiose. Piuttosto, siamo chiamati a imitare la commozione e la compassione di Gesù dinanzi al dolore, che lo porta a vivere nella sua stessa carne le sofferenze del mondo.

Il dolore, specialmente quando è così lancinante e privo di spiegazioni, ha bisogno soltanto di restare aggrappato al filo di una preghiera che grida a Dio giorno e notte, che a volte si esprime nell’assenza delle parole, che non tenta di risolvere il dramma ma, al contrario, abita domande che sempre tornano: “Perché, Signore? Perché è capitato proprio a me? Perché non sei intervenuto? Dove sei, mentre l’umanità soffre e il mio cuore piange una perdita incolmabile?”.

Fratelli e sorelle, questi interrogativi, che bruciano dentro, inquietano il cuore; allo stesso tempo, però, se ci mettiamo in cammino, come con tanto coraggio e anche con fatica fate voi, sono proprio queste domande sofferte ad aprire spiragli di luce, che danno la forza di andare avanti. Infatti, non c’è cosa peggiore che tacitare il dolore, mettere il silenziatore alla sofferenza, rimuovere i traumi senza farci i conti, come spesso induce a fare, nella corsa e nello stordimento, il nostro mondo. La domanda che si leva a Dio come un grido, invece, è salutare. È preghiera. Essa, se costringe a scavare dentro un ricordo doloroso e a piangere la perdita, diventa al contempo il primo passo dell’invocazione e apre a ricevere la consolazione e la pace interiore che il Signore non manca di donare.

Ce lo racconta il Vangelo, in quel brano da cui vi siete lasciati ispirare per dare un nome al vostro percorso (cfr Mc 5,22-43). Ci narra di un padre, capo della sinagoga, con una figlia gravemente ammalata; quell’uomo non rimane chiuso nel proprio dolore, col rischio di cedere alla disperazione, ma corre da Gesù e lo supplica di andare a casa sua. E il Signore lascia quello che stava facendo e cammina con lui. Il dolore lo interpella, perché la nostra sofferenza scava anche nel cuore di Dio.

C’è un particolare commovente in questo episodio: il cammino di Gesù con quel papà affranto dal dolore potrebbe interrompersi quando da casa arriva la notizia che non si voleva sentire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?» (v. 35). Gesù avrebbe potuto fermarsi, allargare le braccia e dire: “Non c’è più niente da fare”. Invece dice all’uomo: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36) e continua a camminare con lui, fino a entrare nella sua casa, invasa dalla morte. E, presa per mano la bambina, le ridona vita, la fa rialzare.

Questo ci dice una cosa importante: nella sofferenza, la prima risposta di Dio non è un discorso o una teoria, ma è il suo camminare con noi, il suo starci accanto. Gesù si è lasciato toccare dal nostro dolore, ha fatto la nostra stessa strada e non ci lascia soli, ma ci libera dal peso che ci opprime portandolo per noi e con noi. E come in quell’episodio, il Signore vuole venire nella nostra casa, la casa del nostro cuore e le case delle nostre famiglie sconvolte dalla morte: Lui ci vuole stare vicino, vuole toccare la nostra afflizione, vuole donarci la mano per rialzarci come ha fatto con la figlia di Giàiro.

Fratelli, sorelle, vi ringrazio perché fate spazio, nel vostro cuore e nelle vostre storie, a questo Vangelo. Gesù che cammina con voi, Gesù che entra in casa vostra e si lascia toccare dal dolore e dalla morte, Gesù che vi prende per mano per rialzarvi. Egli vuole asciugare le vostre lacrime e vi vuole rassicurare: la morte non ha l’ultima parola. Il Signore non lascia senza consolazione. Se continuate a portargli lacrime e domande, vi dà una certezza interiore che è fonte di pace: vi fa crescere nella certezza che, con la tenerezza del suo amore, Lui ha preso per mano i vostri figli e anche a loro ha detto, come a quella fanciulla: “Talità kum, alzati!”. E vuole prendere per mano pure voi, perché nella luce del Mistero pasquale possiate sentire la sua voce che anche a voi ripete: “Alzatevi, non perdete la speranza, non spegnete la gioia di vivere”.

Ed è bello pensare che le vostre figlie e i vostri figli, come la figlia di Giàiro, siano stati presi per mano dal Signore; e che un giorno li rivedrete, li riabbraccerete, potrete godere della loro presenza in una luce nuova, che nessuno potrà togliervi. Allora vedrete la croce con gli occhi della risurrezione, come fu per Maria e per gli Apostoli. Quella speranza, fiorita al mattino di Pasqua, è ciò che il Signore vuole seminare ora nel vostro cuore. Io vi auguro di accoglierla, di farla crescere, di custodirla in mezzo alle lacrime. E vorrei che sentiste non soltanto l’abbraccio di Dio, ma anche il mio affetto e la vicinanza della Chiesa, che vi vuole bene e desidera accompagnarvi.

Vi porto nel cuore e vi assicuro la mia preghiera. Anche voi, per favore, ricordatevi di pregare per me. Grazie.

Ai Partecipanti al Convegno "Vulnerabilità e comunità tra accoglienza e inclusione" (1° marzo 2024)

Ven, 01/03/2024 - 10:45

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e grazie di essere venuti!

In questi giorni siete stati riuniti alla Fraterna Domus di Sacrofano per la seconda “Cattedra dell’accoglienza”. Quello è un luogo adatto! Non solo perché è ampio e attrezzato: è adatto perché è accogliente! È un luogo dove vengono accolte persone anziane, famiglie e ragazzi in difficoltà, migranti. Per questo è bello che le sorelle dell’Associazione Fraterna Domus siano un po’ il motore e le animatrici di questa iniziativa. Grazie, care sorelle!

Ho visto il vostro programma di questi giorni: molto ricco e molto interessante. Al centro avete messo la vulnerabilità. Cioè avete fatto “reagire” – come si direbbe in chimica – l’accoglienza e la vulnerabilità, considerata nelle sue diverse forme. Apprezzo questa scelta, tipicamente evangelica, e vorrei lasciarvi alcuni spunti di riflessione e di cammino.

Prima di tutto: per accogliere i fratelli e le sorelle vulnerabili bisogna che io mi senta vulnerabile e accolto come tale da Cristo. Sempre Lui ci precede: si è fatto vulnerabile, fino alla Passione; ha accolto la nostra fragilità perché, grazie a Lui, noi possiamo fare altrettanto. San Paolo scrive: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (cfr Rm 15,7). Se rimaniamo in Lui, come tralci nella vite, porteremo frutti buoni, anche in questo vasto campo dell’accoglienza.

Un secondo spunto. Gesù ha passato la maggior parte del suo ministero pubblico, specialmente in Galilea, a contatto con i poveri e i malati di ogni genere. Questo ci dice che per noi la vulnerabilità non può essere un tema “politicamente corretto”, o una mera organizzazione di pratiche, per quanto buone. Lo dico perché purtroppo il rischio c’è, è sempre in agguato, malgrado tutta la buona volontà. Specialmente nelle realtà più grandi e strutturate, ma anche in quelle piccole, la vulnerabilità può diventare una categoria, le persone individui senza volto, il servizio una “prestazione” e così via. Allora bisogna rimanere ben ancorati al Vangelo, a Gesù, il quale non ha insegnato ai suoi discepoli a pianificare un’assistenza dei malati e dei poveri. Gesù ha voluto formare i discepoli a uno stile di vita stando a contatto con i vulnerabili, in mezzo a loro. I discepoli hanno visto come Lui incontrava la gente, hanno visto come Lui accoglieva: la sua vicinanza, la sua compassione, la sua tenerezza. E dopo la Risurrezione lo Spirito Santo ha impresso in loro questo stile di vita. Così, poi, sempre lo Spirito ha formato uomini e donne che sono diventati santi amando le persone vulnerabili come Gesù. Alcuni sono canonizzati e sono modelli per tutti noi; ma quanti uomini e donne si sono santificati nell’accoglienza dei piccoli, dei poveri, dei fragili, degli emarginati! Ed è importante, nelle nostre comunità, condividere in semplicità e gratitudine le storie di questi testimoni nascosti del Vangelo.

Un ultimo spunto vorrei lasciarvi. Nel Vangelo i poveri, i vulnerabili, non sono oggetti, sono soggetti, sono protagonisti insieme con Gesù dell’annuncio del Regno di Dio. Pensiamo a Bartimeo, il cieco di Gerico (cfr Mc 10,46-52). Quel racconto è emblematico, vi invito a rileggerlo spesso perché è ricchissimo. Studiando e meditando questo testo si vede che Gesù trova in quell’uomo la fede che cercava: solo Gesù lo riconosce in mezzo alla folla e ai rumori, ascolta il suo grido pieno di fede. E quell’uomo, che per la sua fede nel Signore riceve di nuovo la vista, si mette in cammino, segue Gesù e diventa suo testimone, tanto che la sua storia è entrata nei Vangeli. Il vulnerabile Bartimeo, salvato dal vulnerabile Gesù, partecipa alla gioia di essere testimone della sua Risurrezione. Vi ho citato questo racconto, ma ce ne sarebbero tanti altri, con diversi tipi di vulnerabilità, non solo fisica. Pensiamo alla Maddalena: lei, che era tormentata da sette demoni, è diventata la prima testimone di Gesù risorto. In sintesi: le persone vulnerabili, incontrate e accolte con la grazia di Cristo e con il suo stile, possono essere una presenza di Vangelo nella comunità credente e nella società.

Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per il vostro impegno. Andate avanti! La Madonna vi accompagni sempre. Vi benedico tutti di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

Ai Partecipanti al Convegno Internazionale "Uomo-Donna immagine di Dio. Per una antropologia delle vocazioni" (1° marzo 2024)

Ven, 01/03/2024 - 08:00

Parole del Santo Padre prima del discorso

Buongiorno! Chiedo di leggere, così non mi affatico tanto; ho ancora il raffreddore e mi affatica leggere per un po’. Ma vorrei sottolineare una cosa: è molto importante che ci sia questo incontro, questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze. Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità. Uomo e donna, invece, stanno in una feconda “tensione”. Io ricordo di aver letto un romanzo dell’inizio del Novecento, scritto dal figlio dell’Arcivescovo di Canterbury: The Lord of the World. Il romanzo parla del futuribile ed è profetico, perché fa vedere questa tendenza di cancellare tutte le differenze. È interessante leggerlo, se avete tempo leggetelo, perché lì ci sono questi problemi di oggi; è stato un profeta quell’uomo.

 

Fratelli e sorelle!

Sono felice di partecipare a questo Convegno promosso dal Centro di Ricerca e Antropologia delle Vocazioni, durante il quale studiosi di varie parti del mondo, ciascuno a partire dalla propria competenza, si confronteranno sul tema «Uomo-donna immagine di Dio. Per un’antropologia delle vocazioni». Saluto tutti i partecipanti e ringrazio il Cardinale Ouellet per le sue parole: ancora non siamo santi, ma speriamo di restare sempre in cammino per diventarlo, questa è la prima vocazione che abbiamo ricevuto! E grazie soprattutto perché, qualche anno fa, insieme ad altre persone autorevoli e cercando l’alleanza tra i saperi ha dato vita a questo Centro, per avviare una ricerca accademica internazionale mirata a comprendere sempre meglio il significato e l’importanza delle vocazioni, nella Chiesa e nella società.

Lo scopo del presente Convegno è anzitutto quello di considerare e valorizzare la dimensione antropologica di ogni vocazione. Questo ci rimanda a una verità elementare e fondamentale, che oggi abbiamo bisogno di riscoprire in tutta la sua bellezza: la vita dell’essere umano è vocazione. Non dimentichiamolo: la dimensione antropologica, che soggiace ad ogni chiamata nell’ambito della comunità, ha a che fare con una caratteristica essenziale dell’essere umano in quanto tale: quella, cioè, che l’uomo stesso è vocazione. Ciascuno di noi, sia nelle grandi scelte che riguardano uno stato di vita, sia nelle numerose occasioni e situazioni in cui esse si incarnano e prendono forma, scopre ed esprime sé stesso come chiamato, come chiamata, come persona che si realizza nell’ascolto e nella risposta, condividendo il proprio essere e i propri doni con gli altri per il bene comune.

Questa scoperta ci fa uscire dall’isolamento di un io autoreferenziale e ci fa guardare a noi stessi come a una identità in relazione: io esisto e vivo in relazione a chi mi ha generato, alla realtà che mi trascende, agli altri e al mondo che mi circonda, rispetto al quale sono chiamato ad abbracciare con gioia e responsabilità una missione specifica e personale.

Tale verità antropologica è fondamentale perché risponde pienamente al desiderio di realizzazione umana e di felicità che abita nel nostro cuore. Nell’odierno contesto culturale talvolta si tende a dimenticare oppure a oscurare questa realtà, col rischio di ridurre l’essere umano ai suoi soli bisogni materiali o alle sue esigenze primarie, come fosse un oggetto senza coscienza e senza volontà, semplicemente trascinato dalla vita come parte di un ingranaggio meccanico. E invece l’uomo e la donna sono creati da Dio e sono immagine del Creatore; essi, cioè, si portano dentro un desiderio di eternità e di felicità che Dio stesso ha seminato nel loro cuore e che sono chiamati a realizzare attraverso una vocazione specifica. Per questo in noi abita una sana tensione interiore che mai dobbiamo soffocare: siamo chiamati alla felicità, alla pienezza della vita, a qualcosa di grande a cui Dio ci ha destinato. La vita di ognuno di noi, nessuno escluso, non è un incidente di percorso; il nostro stare al mondo non è un mero frutto del caso, ma facciamo parte di un disegno d’amore e siamo invitati ad uscire da noi stessi e a realizzarlo, per noi e per gli altri.

Per questo motivo, se è vero che ciascuno di noi ha una missione, cioè è chiamato a offrire il proprio contributo per migliorare il mondo e forgiare la società, a me piace sempre ricordare che non si tratta di un compito esterno affidato alla nostra vita, ma di una dimensione che coinvolge la nostra stessa natura, la struttura del nostro essere uomo-donna a immagine e somiglianza di Dio. Non soltanto ci è stata affidata una missione, ma ciascuno e ciascuna di noi è una missione: «io sono sempre una missione; tu sei sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio» (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2019).

Una eminente figura intellettuale e spirituale, il Cardinale Newman, ha parole illuminanti su questo. Ne cito alcune: «Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è creato.
Io occupo un posto mio nei consigli di Dio, nel mondo di Dio:
un posto da nessun altro occupato. Poco importa che io sia ricco o povero, disprezzato o stimato dagli uomini: Dio mi conosce e mi chiama per nome. Egli mi ha affidato un lavoro che non ha affidato a nessun altro. Io ho la mia missione. In qualche modo sono necessario ai suoi intenti». E prosegue: «[Dio] non ha creato me inutilmente. Io farò del bene, farò il suo lavoro. Sarò un angelo di pace, un predicatore della verità nel posto che egli mi ha assegnato
anche senza che io lo sappia, purché io segua i suoi comandamenti
e lo serva nella mia vocazione» (J.H. Newman, Meditazioni e preghiere, Milano 2002, 38-39).

Fratelli e sorelle, le vostre ricerche, i vostri studi e in modo speciale queste occasioni di confronto sono tanto necessarie e importanti, perché si diffonda la consapevolezza della vocazione a cui ogni essere umano è chiamato da Dio, in diversi stati di vita e grazie ai suoi molteplici carismi. Sono utili altresì per interrogarsi sulle sfide odierne, sulla crisi antropologica in atto e sulla necessaria promozione delle vocazioni umane e cristiane. Ed è importante che si sviluppi, anche grazie al vostro contributo, una sempre più efficace circolarità tra le diverse vocazioni, perché le opere che sgorgano dallo stato di vita laicale al servizio della società e della Chiesa, insieme al dono del ministero ordinato e della vita consacrata, possano contribuire a generare la speranza in un mondo sul quale incombono pesanti esperienze di morte.

Generare questa speranza, porsi al servizio del Regno di Dio per la costruzione di un mondo aperto e fraterno è un compito affidato ad ogni donna e ogni uomo del nostro tempo. Grazie per il contributo che voi date in questo senso. Grazie per il vostro lavoro di queste giornate. Lo affido al Signore nella preghiera, per intercessione di Maria, Icona della vocazione e Madre di ogni vocazione. E, per favore, anche voi non dimenticatevi di pregare per me.

Parole del Santo Padre al termine del discorso

Vi auguro buon lavoro! E non abbiate paura in questi momenti così ricchi nella vita della Chiesa. Lo Spirito Santo ci chiede una cosa importante: fedeltà. Ma la fedeltà è in cammino e la fedeltà ci porta spesso a rischiare. La “fedeltà da museo” non è fedeltà. Andare avanti con il coraggio di discernere e rischiare cercando la volontà di Dio. Vi auguro il meglio. Coraggio e avanti, senza perdere il senso dell’umorismo!

Udienza Generale del 28 febbraio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 9. <i>L’invidia e la vanagloria</i>

Mer, 28/02/2024 - 21:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

 

Catechesi. I vizi e le virtù. 9. L’invidia e la vanagloria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi prendiamo in esame due vizi capitali che troviamo nei grandi elenchi che la tradizione spirituale ci ha lasciato: l’invidia e la vanagloria.

Partiamo dall’invidia. Se leggiamo la Sacra Scrittura (cfr Gen 4), essa ci appare come uno dei vizi più antichi: l’odio di Caino nei confronti di Abele si scatena quando si accorge che i sacrifici del fratello sono graditi a Dio. Caino era il primogenito di Adamo ed Eva, si era preso la parte più cospicua dell’eredità paterna; eppure, basta che Abele, il fratello minore, riesca in una piccola impresa, che Caino si rabbuia. Il volto dell’invidioso è sempre triste: lo sguardo è basso, pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria. L’invidia, se non viene controllata, porta all’odio dell’altro. Abele sarà ucciso per mano di Caino, che non poteva sopportare la felicità del fratello.

L’invidia è un male indagato non solo in ambito cristiano: essa ha attirato l’attenzione di filosofi e sapienti di ogni cultura. Alla sua base c’è un rapporto di odio e amore: si vuole il male dell’altro, ma segretamente si desidera essere come lui. L’altro è l’epifania di ciò che vorremmo essere, e che in realtà non siamo. La sua fortuna ci sembra un’ingiustizia: sicuramente – pensiamo – noi avremmo meritato molto di più i suoi successi o la sua buona sorte!

Alla radice di questo vizio c’è una falsa idea di Dio: non si accetta che Dio abbia la sua “matematica”, diversa dalla nostra. Ad esempio, nella parabola di Gesù sui lavoratori chiamati dal padrone ad andare nella vigna alle diverse ore del giorno, quelli della prima ora credono di aver diritto a un salario maggiore di quelli arrivati per ultimi; ma il padrone dà a tutti la stessa paga, e dice: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20,15). Vorremmo imporre a Dio la nostra logica egoistica, invece la logica di Dio è l’amore. I beni che Lui ci dona sono fatti per essere condivisi. Per questo San Paolo esorta i cristiani: «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10). Ecco il rimedio all’invidia!

E veniamo al secondo vizio che oggi esaminiamo: la vanagloria. Essa va a braccetto con il demone dell’invidia, e insieme questi due vizi sono propri di una persona che ambisce ad essere il centro del mondo, libera di sfruttare tutto e tutti, oggetto di ogni lode e di ogni amore. La vanagloria è un’autostima gonfiata e senza fondamenti. Il vanaglorioso possiede un “io” ingombrante: non ha empatia e non si accorge che nel mondo esistono altre persone oltre a lui. I suoi rapporti sono sempre strumentali, improntati alla sopraffazione dell’altro. La sua persona, le sue imprese, i suoi successi devono essere mostrati a tutti: è un perenne mendicante di attenzione. E se qualche volta le sue qualità non vengono riconosciute, allora si arrabbia ferocemente. Gli altri sono ingiusti, non capiscono, non sono all’altezza. Nei suoi scritti Evagrio Pontico descrive l’amara vicenda di qualche monaco colpito dalla vanagloria. Succede che, dopo i primi successi nella vita spirituale, si sente già un arrivato, e allora si precipita nel mondo per ricevere le sue lodi. Ma non capisce di essere solo agli inizi del cammino spirituale, e che è in agguato una tentazione che presto lo farà cadere.

Per guarire il vanaglorioso, i maestri spirituali non suggeriscono molti rimedi. Perché in fondo il male della vanità ha il suo rimedio in sé stesso: le lodi che il vanaglorioso sperava di mietere nel mondo presto gli si rivolteranno contro. E quante persone, illuse da una falsa immagine di sé, sono poi cadute in peccati di cui presto si sarebbero vergognate!

L’istruzione più bella per vincere la vanagloria la possiamo trovare nella testimonianza di San Paolo. L’Apostolo fece sempre i conti con un difetto che non riuscì mai a vincere. Per ben tre volte chiese al Signore di liberarlo da quel tormento, ma alla fine Gesù gli rispose: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Da quel giorno Paolo fu liberato. E la sua conclusione dovrebbe diventare anche la nostra: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2 Cor 12,9).

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française, en particulier une délégation du Conseil National de Monaco, ainsi que les paroisses et les jeunes venus de France. En ce temps de Carême efforçons nous de ne pas nous mettre toujours au centre, mais cherchons plutôt à nous effacer pour laisser la place aux autres, les promouvoir et nous réjouir de leurs qualités et de leurs succès. Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare la delegazione del Consiglio Nazionale di Monaco, così come le parrocchie e i giovani provenienti dalla Francia. In questo tempo di Quaresima, sforziamoci di non mettere noi stessi al centro, piuttosto cerchiamo di farci da parte per fare spazio agli altri, promuoverli e gioire delle loro qualità e dei loro successi. Che Dio vi benedica tutti.]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from England, Ireland, the Netherland, Norway, Malaysia, Vietnam, and the United States of America.  I offer a special greeting to the students and professors from Saint Mary’s University, di Twickenham, England.  Upon all of you and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti da Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia, Malaysia, Vietnam e Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare agli studenti e professori della Saint Mary’s University, Twickenham, Inghilterra.  Su tutti voi e sulle vostre famiglie, invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern deutscher Sprache, die Fastenzeit ruft uns traditionell zum Almosengeben auf, also unsere Güter mit den bedürftigen Brüdern und Schwestern zu teilen. Der Herr stehe euch in jedem guten Werk der Liebe bei!  

[Cari fratelli e sorelle di lingua tedesca, la Quaresima tradizionalmente ci invita a fare l’elemosina, cioè a condividere i nostri beni con i fratelli bisognosi. Il Signore vi sostenga in ogni vostra opera buona di carità!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Nos vendría bien en esta Cuaresma meditar con frecuencia las “Letanías de la humildad” del cardenal Merry del Val, para combatir los vicios que nos alejan de la vida en Cristo. Que Dios los bendiga y la Virgen Santa los cuide. Muchas gracias.

Saúdo o Instituto «Vidas Raras» e todos os peregrinos de língua portuguesa. Confio à Virgem Maria os vossos corações e os vossos passos. Encorajo-vos a apostar na beleza do serviço, que engrandece o coração e torna fecundos os vossos talentos. De bom grado vos abençoo a vós e aos vossos entes queridos!

[Saluto l’Istituto “Vidas Raras” e tutti i pellegrini di lingua portoghese. Affido alla Vergine Maria i vostri propositi e i vostri passi. Vi incoraggio a scommettere sulla bellezza del servizio, che allarga il cuore e rende fecondi i vostri talenti. Volentieri benedico voi e i vostri cari!]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العَرَبِيَّة. في مسيرةِ الزَّمنِ الأربعينيّ، وهي مسيرةُ صلاةٍ وصومٍ ومحبَّة، لِنَشعُرْ بأنَّنَا مَدعُوّونَ إلى أنْ نَختَبِرَ حبَّ اللهِ الَّذي يُجَدِّدُ حَيَاتَنَا. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Nel percorso quaresimale, che è cammino di preghiera, digiuno e carità, sentiamoci chiamati a sperimentare l’amore di Dio che rinnova la nostra vita. Il Signore vi benedica e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Zachęcam Was do cierpliwego kontynuowania duchowej pracy i zmagania z tym, co oddala Was od Boga i od siebie nawzajem – w życiu rodzinnym, w życiu społecznym we wspólnotach, w miejscach pracy i spotkań z bliźnimi. Zawierzam Was wstawiennictwu Dziewicy Maryi, pokornej Służebnicy Pańskiej, dla której miłość Boga była naczelną regułą życia. Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. Vi incoraggio a continuare con pazienza nel vostro impegno spirituale lottando contro tutto ciò che vi allontana da Dio e dagli altri – nella vita in famiglia, nella comunità e nei luoghi di lavoro e di incontro. Vi affido all’intercessione della Vergine Maria, l’umile Ancella del Signore, per la quale la principale regola di vita è amare Dio. Vi benedico di cuore.]

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APPELLO

Il 1° marzo ricorrerà il 25° anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione sull’interdizione delle mine antipersona, che continuano a colpire civili innocenti, in particolare bambini, anche molti anni dopo la fine delle ostilità. Esprimo la mia vicinanza alle numerose vittime di questi subdoli ordigni, che ci ricordano la drammatica crudeltà delle guerre e il prezzo che le popolazioni civili sono costrette a subire. A questo proposito, ringrazio tutti coloro che offrono il loro contributo per assistere le vittime e bonificare le aree contaminate. Il loro lavoro è una risposta concreta alla chiamata universale ad essere operatori di pace, prendendoci cura dei nostri fratelli e sorelle.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, saluto i fedeli provenienti dalle Diocesi dell’Emilia Romagna e di San Marino-Montefeltro, accompagnati dai loro Vescovi.

Saluto inoltre i gruppi parrocchiali di Gricignano di Aversa e di Isola di Capo Rizzuto, auspicando che la sosta presso le tombe degli Apostoli susciti un rinnovato fervore spirituale.

Il mio pensiero va infine ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, specialmente agli studenti dell’Istituto “Falcone e Borsellino” di Roma e ai ragazzi della Scuola “Giovanni Pascoli” di Fucecchio. Il cammino della Quaresima sia occasione per rientrare in sé stessi e rinnovarsi nello spirito.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo i popoli che soffrono a causa della guerra: Ucraina, Palestina, Israele e tanti altri. E preghiamo per le vittime dei recenti attacchi contro luoghi di culto in Burkina Faso; come pure per la popolazione di Haiti, dove continuano i crimini e i sequestri delle bande armate.

A tutti, la mia benedizione!

Ai Membri del Sinodo della Chiesa Armeno Cattolica (28 febbraio 2024)

Mer, 28/02/2024 - 08:00

Beatitudine,
cari Fratelli Vescovi,

benvenuti! È una gioia accogliervi a Roma, presso la tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, proprio a seguito della festosa ricorrenza di San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa.

Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore. Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo.

Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani. Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno “il fiuto degli affari” o a quelli che “hanno sempre la valigia in mano”, lasciando il popolo orfano. Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più “prestigiosa” dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia – permettetemi l’espressione – di commettere un “adulterio pastorale”. Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge.

In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi. So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dov’è difficile che siano visitati. Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale. E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica.

Carissimi, in questo tempo santo della Quaresima siamo chiamati a guardare la Croce e a costruire su Cristo, che guarisce le ferite con il perdono e con l’amore. Siamo tenuti a intercedere per tutti, con grandezza d’animo e di spirito. Come San Gregorio di Narek, che così pregava: Signore, «ricordati […] di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia». E ancora, con un’attualità profetica impressionante, scriveva: «Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (Libro delle Lamentazioni, LXXXIII).

Voi, Fratelli, insieme con i sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, e tutti i fedeli della vostra Chiesa, avete una grande responsabilità. San Gregorio l’Illuminatore portò la luce di Cristo al popolo armeno ed esso è stato il primo, in quanto tale, ad accoglierla nella storia. Dunque voi siete testimoni e, per così dire, “primogeniti” di questa luce, siete un’alba chiamata a irradiare la profezia cristiana in un mondo che spesso preferisce le tenebre dell’odio, della divisione, della violenza, della vendetta. Certo – potreste dirmi – la nostra Chiesa non è grande numericamente. Ma ricordiamo che Dio ama compiere meraviglie con chi è piccolo. E in questo senso, per favore, non si trascuri la cura nei riguardi dei piccoli e dei poveri, mostrando loro l’esempio di una vita evangelica, lontana dai fasti delle ricchezze e dall’arroganza del potere; accogliendo i rifugiati, sostenendo quanti sono nella diaspora come fratelli e sorelle, figli e figlie.

Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore. Come ricorda l’antico detto latino: “Conserva l’ordine e l’ordine ti conserverà”. I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico. Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte.

Ancora un pensiero vorrei confidarvi e affidarvi, a proposito della pastorale vocazionale. In un mondo secolarizzato, i seminaristi e quanti si formano nella vita religiosa hanno bisogno, oggi più che mai, di essere ben radicati in una vita cristiana autentica, lontana da ogni “psicologia principesca”. Così pure ai sacerdoti, specialmente giovani, occorre la vicinanza dei Pastori, che favoriscano la comunione fraterna tra di loro, perché non si scoraggino davanti alle fatiche e giorno dopo giorno siano sempre più docili alla creatività dello Spirito Santo, per servire il Popolo di Dio con la gioia della carità, non con la rigidità e la ripetitività sterile dei burocrati. In tutto, speranza: anche se la messe è molta e gli operai sempre pochi, contiamo sul Signore, che compie prodigi in quanti si fidano di Lui.

Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze. La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, “primizia” delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: “Basta!”. Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia; e voi, per favore, ricordatevi di me!

Io vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro servizio. Prima di darvi la benedizione, vorrei recitare una preghiera, alla quale vi invito ad unirvi, di San Nerses il Grazioso, in attesa di poterlo celebrare, quando Dio vorrà, con i fratelli della Chiesa armena apostolica: «Signore misericordioso: abbi misericordia di tutti coloro che credono in te, dei miei e degli estranei, dei noti e degli ignoti, dei vivi e dei morti: concedi anche ai miei nemici ed avversari il perdono per i torti che mi hanno fatto, e convertili dall’ingiustizia che mostrano verso di me, affinché siano anch’essi degni della tua misericordia. Ed abbi misericordia delle tue creature, e di me grandissimo peccatore» (In Fede confesso, le 24 orazioni, XXIII). Grazie.

Messaggio del Santo Padre ai partecipanti all'incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina (26 febbraio 2024)

Lun, 26/02/2024 - 15:00

Caro Cardinale Robert Prevost,
Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (CAL),
cari responsabili di istituzioni e organismi di aiuto alla Chiesa in America Latina:

Sono lieto di rivolgermi a voi in questo incontro con le istituzioni e gli organismi di aiuto che promuove questa Pontificia Commissione. Vorrei esporre la mia riflessione sul tema della gratuità, che vedo riflesso tra le linee nel programma che Sua Eminenza ha avuto la gentilezza di farmi pervenire.

Quando compiamo uno sforzo, come nel caso degli aiuti che si destinano alla Chiesa in America Latina, è naturale che pretendiamo un risultato. Non ottenerlo potrebbe considerarsi un fallimento o quantomeno ci lascia la sensazione di aver lavorato invano. Ma una simile percezione sembrerebbe essere contraria alla gratuità, che evangelicamente si definisce come dare senza aspettarsi nulla in cambio (cfr. Lc 6,35). Come conciliare le due dinamiche?

Per approfondire la questione, forse potrebbe essere utile fare un passo indietro, focalizzandoci su ciò che ci chiede Gesù e ci dice il Vangelo, cercando di domandarci, come farebbe un giornalista: Chi dà? Che cosa dà? Dove dà? Come dà? Quando dà? Perché dà? A che fine dà?

In risposta alla prima domanda — chi dà? — la Scrittura ci spiega che ciò che diamo non è altro che ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente (cfr. Mt 10,8). Dio è Colui che dà e noi siamo solo amministratori di beni ricevuti, perciò non dobbiamo gloriarci (cfr. 1 Cor 7,4), né esigere un compenso maggiore di quello del proprio salario (cfr. 1 Tm 5,18), assumendoci con umiltà la responsabilità che questo dono ci richiede (cfr. Mt 25,14-30).

Per la seconda domanda — Che cosa ci dà il Signore? — la risposta è semplice: ci ha dato tutto. Ci ha dato la vita, il creato, l’intelligenza e la volontà per essere padroni del nostro destino, la capacità di relazionarci con Lui e con i fratelli. Inoltre si è dato a noi infinite volte: facendoci a sua immagine, capaci di amare, dandoci prove del suo amore nel corso della Storia della Salvezza, nel dono di Cristo sulla croce, nella sua presenza nel sacramento dell’Eucaristia, nel dono dello Spirito Santo. Pertanto tutto ciò che abbiamo o è di Dio o è prova e pegno del suo amore. Se perdiamo questa consapevolezza nel dare e anche nel ricevere, snaturiamo la sua essenza e la nostra. Da amministratori solleciti di Dio (cfr. Lc 12,42), diventiamo schiavi del denaro (cfr. Mt 6,24) e, soggiogati dalla paura di non avere (v. 25), diamo il cuore al tesoro della falsa sicurezza economica, dell’efficienza amministrativa, del controllo, di una vita senza sussulti (v. 20).

Un punto di svolta nella nostra riflessione è vedere dove si dona il Signore, perché ci apre la porta a un cammino concreto. Fin dalla creazione, il Signore si è sempre dato a noi, prendendo il nostro fango nelle sue mani, il nostro peccato, la nostra incostanza, mantenendosi fedele nonostante le reiterate infedeltà di Israele, dei discepoli, degli apostoli, con la sua incarnazione, la sua croce, i suoi sacramenti. Dio si dà, in una parola, in mezzo al suo Popolo. Il nostro dare non può non tener conto di questa verità ineluttabile, che sappiamo essere certa anche nella nostra storia personale e comunitaria. Non evitiamo quindi chi è cieco, chi resta a terra sul ciglio della strada, che è coperto di lebbra o di miseria, piuttosto chiediamo al Signore di essere capaci di vedere ciò che impedisce loro di affrontare le proprie difficoltà (cfr. Lc 7,5).

Arriviamo quindi alle domande: come e quando si dà il Signore al suo Popolo? È molto semplice: sempre e totalmente. Dio non pone limiti, mille volte pecchiamo, mille volte ci perdona. Attende nella solitudine silenziosa del Tabernacolo che torniamo a Lui, mendicante del nostro amore. Nella santa Comunione non riceviamo un pezzetto di Gesù, ma tutto Gesù, in corpo e sangue, anima e divinità. Questo fa Dio, fino a farsi povero per noi, per arricchirci attraverso la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9).

Pertanto, possiamo concludere che la gratuità è imitare il modo in cui Gesù si dona per noi, suo Popolo, sempre e totalmente, nonostante la nostra povertà. E perché? Per amore. Perché, come direbbe Pascal, l’amore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, «è paziente, è benigno...; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiusti - zia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cfr. 1 Cor 13,4-7). L’amore non ha agenda, non colonizza, ma s’incarna, diventa uno di noi, meticcio, per fare nuove tutte le cose (cfr. Ap 21,5).

Perciò lo sforzo non è inutile, perché c’è un fine. Dandoci così, imitiamo Gesù che si è donato per salvare tutti noi. Abbracciare la croce non è segno di insuccesso, non è un lavoro vano, è unirci alla missione di Gesù di portare «ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). È toccare concretamente la ferita di quel fratello, di quella comunità, che ha un nome, che ha un valore infinito per Dio, per dargli luce, rafforzare le sue gambe, mondare la sua miseria, offrendogli l’opportunità di rispondere al progetto di amore che il Signore ha per lui, chiedendo in ginocchio che, giungendo lì, Gesù trovi fede in quella terra (cfr. Lc 18,8).

Cari fratelli e sorelle, affido i vostri lavori alla Santissima Vergine, che Lei vi guidi come fece con i servi nelle nozze di Cana, affinché a tutti giunga il vino nuovo che il Signore ci promette. Che Gesù vi benedica. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano, 26 febbraio 2024

FRANCESCO

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 54, martedì 5 marzo 2024, p. 8.

Angelus, 25 febbraio 2024

Dom, 25/02/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Il Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima ci presenta l’episodio della Trasfigurazione di Gesù (cfr Mc 9,2-10).

Dopo aver annunciato ai discepoli la sua Passione, Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, sale su un monte alto e lì si manifesta fisicamente in tutta la sua luce. Così svela loro il senso di ciò che avevano vissuto insieme fino a quel momento. La predicazione del Regno, il perdono dei peccati, le guarigioni e i segni compiuti erano infatti scintille di una luce più grande: la luce di Gesù, la luce che è Gesù. E da questa luce i discepoli non dovranno mai più staccare gli occhi, specialmente nei momenti di prova, come quelli ormai vicini della Passione.

Ecco il messaggio: non staccare mai gli occhi dalla luce di Gesù. Un po’ come facevano in passato i contadini che, arando i campi, focalizzavano lo sguardo su un punto preciso davanti a sé e, tenendo gli occhi fissi sulla meta, tracciavano solchi diritti. Questo siamo chiamati a fare noi cristiani nel cammino della vita: tenere sempre davanti agli occhi il volto luminoso di Gesù, non staccare mai gli occhi da Gesù.

Fratelli e sorelle, apriamoci alla luce di Gesù! Lui è amore, Lui è vita senza fine. Lungo i sentieri dell’esistenza, a volte tortuosi, cerchiamo il suo volto, pieno di misericordia, di fedeltà, di speranza. Ci aiutano a farlo la preghiera, l’ascolto della Parola, i Sacramenti: la preghiera, l’ascolto della Parola e i Sacramenti ci aiutano a tenere gli occhi fissi su Gesù. E questo è un buon proposito per la Quaresima: coltivare sguardi aperti, diventare “cercatori di luce”, cercatori della luce di Gesù nella preghiera e nelle persone.

E allora chiediamoci: nel mio cammino, tengo gli occhi fissi su Cristo che mi accompagna? E per farlo, do spazio al silenzio, alla preghiera, all’adorazione? Infine, vado in cerca di ogni piccolo raggio della luce di Gesù, che si riflette in me e in ogni fratello e sorella che incontro? E io mi ricordo di ringraziare il Signore per questo?

Maria, splendente della luce di Dio, ci aiuti a tenere fisso lo sguardo su Gesù e a guardarci a vicenda con fiducia e amore.

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Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Ieri, 24 febbraio, abbiamo ricordato con dolore il secondo anniversario dell’inizio della guerra su vasta scala in Ucraina. Quante vittime, feriti, distruzioni, angustie, lacrime in un periodo che sta diventando terribilmente lungo e di cui non si intravvede ancora la fine! È una guerra che non solo sta devastando quella regione d’Europa, ma che scatena un’ondata globale di paura e odio. Mentre rinnovo il mio vivissimo affetto al martoriato popolo ucraino e prego per tutti, in particolare per le numerosissime vittime innocenti, supplico che si ritrovi quel po’ di umanità che permetta di creare le condizioni di una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura. E, fratelli e sorelle, non dimentichiamoci di pregare per la Palestina, per Israele e per i tanti popoli dilaniati dalla guerra, e di aiutare concretamente chi soffre! Pensiamo a tanta sofferenza, pensiamo ai bambini feriti, innocenti.

Seguo con preoccupazione l’aumento delle violenze nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Mi unisco all’invito dei Vescovi a pregare per la pace, auspicando la cessazione degli scontri e la ricerca di un dialogo sincero e costruttivo.

Destano apprensione i sempre più frequenti rapimenti che si verificano in Nigeria. Esprimo al popolo nigeriano la mia vicinanza nella preghiera, auspicando che ci si impegni affinché il dilagare di questi episodi sia arginato il più possibile.

Sono vicino pure alla popolazione della Mongolia, colpita da un’ondata di freddo intenso, che sta provocando gravi conseguenze umanitarie. Anche questo fenomeno estremo è un segno del cambiamento climatico e dei suoi effetti. La crisi climatica è un problema sociale globale, che incide in profondità sulla vita di molti fratelli e sorelle, soprattutto sui più vulnerabili: preghiamo per poter intraprendere scelte sagge e coraggiose per contribuire alla cura del creato.

Saluto voi, fedeli di Roma e di varie parti del mondo, in modo speciale i pellegrini di Jaén (Spagna), i giovani greco-cattolici rumeni di Parigi, le Comunità Neocatecumenali provenienti dalla Polonia, dalla Romania e dall’Italia.

Saluto il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Segretariato del Forum Internazionale di Azione Cattolica, gli Scout di Paliano e i cresimati di Lastra Signa, Torre Maina e Gorzano.

Saluto pure la Federazione Italiana Malattie Rare, il Circolo Culturale “Reggio Ricama”, i membri del Movimento Nonviolento e i volontari dell’Associazione N.O.E.T.A.A. E saluto i ragazzi dell’Immacolata.

A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Ai Diaconi della Diocesi di Roma (24 febbraio 2024)

Sab, 24/02/2024 - 09:15

Discorso del Santo Padre consegnato

Cari fratelli,

grazie di essere qui. Saluto Mons. Di Tolve e do il benvenuto a ciascuno di voi, contento di incontrarvi in questo tempo che precede la vostra ordinazione presbiterale.

Immagino che, pensando a quel giorno, starete già “studiando” il rito dell’ordinazione! Ebbene, la prima domanda che vi verrà posta circa gli impegni che professerete di assumere, recita: «Volete esercitare per tutta la vita il ministero sacerdotale nel grado di presbiteri, come fedeli cooperatori dell’ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo?». In queste parole mi sembra di vedere tre elementi essenziali nel ministero: anzitutto essere fedeli cooperatori, poi porvi al servizio del popolo di Dio; infine stare sotto la guida dello Spirito Santo. Mi soffermo brevemente su questi tre punti.

Fedeli cooperatori. Uno può avere l’idea che, una volta diventato prete, pastore nel popolo di Dio, sia essenzialmente giunta l’ora di prendere in mano la situazione, attuando in prima persona ciò che aveva desiderato per anni, impostando finalmente le situazioni con il proprio stile e secondo le proprie idee, quelle che ha più care in base alla sua storia personale e al suo cammino. Eppure la Santa Madre Chiesa per prima cosa non chiede di essere leader, ma cooperatori, cioè, stando al senso delle parole, coloro che “operano con”. Questo “con” è essenziale, perché la Chiesa, come ci ricorda il Concilio, è anzitutto un mistero di comunione. E il presbitero è testimone di questa comunione, che implica fraternità, fedeltà e docilità. Coristi, insomma, non solisti; fratelli nel presbiterato e preti per tutti, non per il proprio gruppo; ministri sempre in perenne formazione, senza pensare mai di essere autonomi e autosufficienti. Quanto è importante oggi continuare la formazione, e non da soli, ma sempre in contatto con chi, chiamato ad accompagnarvi, ha percorso più strada nel ministero; e farlo con apertura di cuore, per non cedere alla tentazione di gestire la vita per conto proprio, diventando così facili prede delle tentazioni più varie.

Secondo aspetto: al servizio del popolo di Dio. Mi piace incontrarvi ora, mentre siete diaconi, perché non si diventa pastori se prima non si è diaconi. Il diaconato non svanisce con il presbiterato; al contrario, è la base su cui si fonda. Sarete preti per servire, conformati a Gesù che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (cf Mc 10,45). Direi allora che c’è da custodire un fondamento interiore del sacerdozio, che potremmo chiamare “coscienza diaconale”: come la coscienza sta alla base delle decisioni, così lo spirito di servizio è alla base dell’essere sacerdoti. Così che ogni mattina è bene pregare chiedendo di saper servire: “Signore, oggi aiutami a servire”; e ogni sera, ringraziando e facendo l’esame di coscienza, dire: “Signore, perdonami quando ho pensato più a me che a mettermi al servizio degli altri”. Ma servire, cari amici, è un verbo che rifiuta ogni astrattezza: servire vuol dire essere disponibili, rinunciare a vivere secondo la propria agenda, essere pronti alle sorprese di Dio che si manifestano attraverso le persone, gli imprevisti, i cambi di programma, le situazioni che non rientrano nei nostri schemi e nella “giustezza” di quello che si è studiato. La vita pastorale non è un manuale, ma un’offerta quotidiana; non è un lavoro preparato a tavolino, ma “un’avventura eucaristica”. È ripetere con la vita, in prima persona: «Questo è il mio corpo, donato per voi». È un atteggiamento costante, fatto di accoglienza, compassione, tenerezza, uno stile che parla coi fatti più che con le parole, esprimendo il linguaggio della vicinanza. È non voler bene alle persone per secondi fini, fossero anche i migliori, ma riconoscendo in loro i doni unici e meravigliosi che il Signore ci ha dato per servirli, con gioia, con umiltà. È la gioia di accompagnare i passi prendendo per mano, con pazienza e con discernimento. Ed è in questa luce che, con la grazia di Dio, si supera il pericolo di covare dentro di sé un po’ di amarezza e di insoddisfazione per le cose che non vanno come vorremmo, quando la gente non risponde alle nostre attese e non si adegua alle nostre aspettative.

E ora veniamo all’ultimo aspetto: sotto la guida dello Spirito Santo. Allo Spirito, che discenderà su di voi, è importante dare sempre il primato. Se ciò avviene, la vostra vita, come fu per gli Apostoli, sarà orientata al Signore e dal Signore, e voi sarete davvero “uomini di Dio”. Altrimenti, quando si conta sulle proprie forze, si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano. La vita sotto la guida dello Spirito: vuol dire passare dall’unzione dell’ordinazione a un’“unzione quotidiana”. E Gesù effonde su di noi l’unzione dello Spirito quando stiamo alla sua presenza, quando lo adoriamo, quando siamo intimi alla sua Parola. Stare con Lui, rimanere con Lui (cfr Gv 15), poi, ci permette anche di intercedere davanti a Lui per il Santo Popolo di Dio, per l’umanità, per le persone che si incontrano ogni giorno. Così, un cuore che attinge la propria gioia dal Signore e feconda di preghiera le relazioni, non perde di vista la bellezza intramontabile della vita sacerdotale.

Questo vi auguro, cari fratelli, ringraziandovi per il vostro “sì” a Dio e chiedendovi, per favore, di pregare ogni giorno per me.

Lettera del Santo Padre all’Em.mo Card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo (22 febbraio 2024)

Gio, 22/02/2024 - 08:00

A Sua Em.za Rev.ma Cardinale MARIO GRECH
Segretario Generale
della Segreteria Generale del Sinodo

Caro Fratello,
Cardinale Mario Grech,

La Relazione di Sintesi della Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, approvata il 28 ottobre 2023, enumera molteplici e importanti questioni teologiche, tutte in varia misura connesse al rinnovamento sinodale della Chiesa e non prive di ripercussioni giuridiche e pastorali.

Tali questioni, per loro natura, esigono di essere affrontate con uno studio approfondito. Non essendo possibile svolgere questo studio nel tempo della Seconda Sessione (2-27 ottobre 2024), dispongo che esse vengano assegnate a specifici Gruppi di Studio, affinché si proceda a un loro adeguato esame. Sarà questo uno dei frutti del processo sinodale avviato il 9 ottobre 2021.

Nello spirito del Chirografo da me firmato il 16 febbraio u.s., è compito della Segreteria Generale del Sinodo, di comune accordo con i Dicasteri della Curia Romana competenti, costituire tali Gruppi, chiamando a farne parte Pastori ed Esperti di tutti i Continenti e prendendo in considerazione non solo gli studi già esistenti, ma anche le esperienze più rilevanti in atto nel Popolo di Dio radunato nelle Chiese locali. È importante che i suddetti Gruppi di Studio lavorino secondo un metodo autenticamente sinodale, di cui ti chiedo farti garante.

Quanto così disposto permetterà all’Assemblea, nella sua Seconda Sessione, di concentrare più agevolmente l’attenzione sul tema generale che a suo tempo le ho assegnato, e che è possibile ora riassumere nell’interrogativo: “Come essere Chiesa sinodale in missione?”.

I Gruppi di Studio offriranno un primo resoconto della loro attività in occasione della Seconda Sessione e, possibilmente, concluderanno il loro mandato entro il mese di giugno 2025.

Dopo aver ponderato ogni cosa, dispongo che i Gruppi in parola si occupino dei temi qui di seguito elencati in forma sintetica, alla luce dei contenuti della Relazione di Sintesi (RdS):

1. Alcuni aspetti delle relazioni tra Chiese orientali cattoliche e Chiesa latina (RdS 6).

2. L’ascolto del grido dei poveri (RdS 4 e 16).

3. La missione nell’ambiente digitale (RdS 17).

4. La revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis in prospettiva sinodale missionaria (RdS 11).

5. Alcune questioni teologiche e canonistiche intorno a specifiche forme ministeriali (RdS 8 e 9).

6. La revisione, in prospettiva sinodale e missionaria, dei documenti che disciplinano le relazioni fra Vescovi, Vita consacrata, Aggregazioni ecclesiali (RdS 10).

7. Alcuni aspetti della figura e del ministero del Vescovo (in particolare: criteri di selezione dei candidati all’Episcopato, funzione giudiziale del Vescovo, natura e svolgimento delle visite ad limina Apostolorum) in prospettiva sinodale missionaria (RdS 12 e 13).

8. Il ruolo dei Rappresentanti Pontifici in prospettiva sinodale missionaria (RdS 13).

9. Criteri teologici e metodologie sinodali per un discernimento condiviso di questioni dottrinali, pastorali ed etiche controverse (RdS 15).

10. La recezione dei frutti del cammino ecumenico nelle prassi ecclesiali (RdS 7).

Sarà compito della Segreteria Generale del Sinodo predisporre la traccia di lavoro che precisi il mandato dei gruppi alla luce delle mie indicazioni.

RingraziandoTi del lavoro finora compiuto, benedico e accompagno con la preghiera Te e tutti coloro che collaborano con generosità al cammino in corso.
 

Francesco

Dal Vaticano, 22 febbraio 2024

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Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 14 marzo 2024

Angelus, 18 febbraio 2024

Dom, 18/02/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi, prima Domenica di Quaresima, il Vangelo ci presenta Gesù tentato nel deserto (cfr Mc 1,12-15). Il testo dice: «Nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana». Anche noi in Quaresima siamo invitati a “entrare nel deserto”, cioè nel silenzio, nel mondo interiore, in ascolto del cuore, in contatto con la verità. Nel deserto – aggiunge il Vangelo odierno – Cristo «stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano» (v. 13). Bestie selvatiche e angeli erano la sua compagnia. Ma, in un senso simbolico, sono anche la nostra compagnia: quando entriamo nel deserto interiore, infatti, possiamo incontrarvi bestie selvatiche e angeli.

Bestie selvatiche. In che senso? Nella vita spirituale possiamo pensarle come le passioni disordinate che dividono il cuore, tentando di possederlo. Ci suggestionano, sembrano seducenti ma, se non stiamo attenti, rischiano di sbranarci. Possiamo dare dei nomi a queste “bestie” dell’anima: i vari vizi, la bramosia della ricchezza, che imprigiona nel calcolo e nell’insoddisfazione, la vanità del piacere, che condanna all’inquietudine e alla solitudine, e ancora l’avidità della fama, che genera insicurezza e un continuo bisogno di conferme e di protagonismo. – non dimentichiamo queste cose che possiamo incontrare dentro: bramosia, vanità e avidità. Sono come bestie “selvatiche” e come tali vanno ammansite e combattute: altrimenti ci divorano la libertà. E la Quaresima ci aiuta a entrare nel deserto interiore per correggere queste cose.           

E poi, nel deserto c’erano gli angeli. Essi sono i messaggeri di Dio, che ci aiutano, ci fanno del bene; infatti la loro caratteristica secondo il Vangelo è il servizio (cfr v. 13): esattamente il contrario del possesso, tipico delle passioni. Servizio contro possesso. Gli spiriti angelici richiamano i pensieri e i sentimenti buoni suggeriti dallo Spirito Santo. Mentre le tentazioni ci dilaniano, le buone ispirazioni divine ci unificano e ci fanno entrare nell’armonia: acquietano il cuore, infondono il gusto di Cristo, “il sapore del Cielo”. E per cogliere l’ispirazione di Dio, bisogna entrare nel silenzio e nella preghiera. E la Quaresima è il tempo per fare questo.

Possiamo domandarci: primo, quali sono le passioni disordinate, le “bestie selvatiche” che si agitano nel mio cuore? Secondo: per permettere alla voce di Dio di parlarmi al cuore e custodirlo nel bene, sto pensando di ritirarmi un po’ nel “deserto”, cerco di dedicare nella giornata qualche spazio per questo?

La Vergine santa, che ha custodito la Parola e non si è lasciata sfiorare dalle tentazioni del maligno, ci aiuti nel cammino della Quaresima.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sono passati ormai dieci mesi dallo scoppio del conflitto armato in Sudan, che ha provocato una gravissima situazione umanitaria. Chiedo di nuovo alle parti belligeranti di fermare questa guerra, che fa tanto male alla gente e al futuro del Paese. Preghiamo perché si trovino presto vie di pace per costruire l’avvenire del caro Sudan.

La violenza contro popolazioni inermi, la distruzione di infrastrutture e l’insicurezza dilagano nuovamente nella provincia di Cabo Delgado, in Mozambico, dove nei giorni scorsi è stata anche incendiata la missione cattolica di Nostra Signora d’Africa a Mazeze. Preghiamo perché la pace torni in quella regione martoriata. E non dimentichiamo tanti altri conflitti che insanguinano il Continente africano e molte parti del mondo: anche l’Europa, la Palestina, l’Ucraina…

Non dimentichiamo: la guerra è una sconfitta, sempre. Ovunque si combatte le popolazioni sono sfinite, sono stanche della guerra, che come sempre è inutile e inconcludente, e porterà solo morte, solo distruzione, e non porterà mai la soluzione dei problemi. Preghiamo invece senza stancarci, perché la preghiera è efficace, e chiediamo al Signore il dono di menti e di cuori che si dedichino concretamente alla pace.

Saluto i fedeli di Roma e di diverse parti d’Italia e del mondo, in particolare i pellegrini provenienti dagli Stati Uniti d’America, le Comunità neocatecumenali di varie parrocchie della Repubblica Ceca, della Slovacchia e della Spagna, gli alunni dell’Istituto “Carolina Coronado” di Almendralejo e l’Associazione di volontariato “Sulle orme dei Servi-verso il mondo”. E saluto i coltivatori e gli allevatori presenti in piazza!

Questo pomeriggio, insieme con i collaboratori della Curia, inizieremo gli Esercizi spirituali. Invito le comunità e i fedeli a dedicare in questo tempo di Quaresima e lungo quest’anno di preparazione al Giubileo, che è “Anno della preghiera”, momenti specifici per raccogliersi alla presenza del Signore.

E a tutti auguro buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Ai Membri della “Junta Constructora” della Basilica della “Sagrada Família” di Barcelona (Spagna) (17 febbraio 2024)

Sab, 17/02/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

Membri della “Junta Costructora” della Basilica della Sagrada Família di Barcellona, sono lieto di ricevervi insieme alle vostre famiglie, in questo anno che, come ho ripetuto in diverse occasioni, desidero dedicare alla preghiera, preparandoci al Giubileo del 2025. Un anno intero in preghiera per questo. È importante che il clima di preghiera non si perda nei templi, deve essere una delle priorità per quanti, come voi, hanno ricevuto la responsabilità della cura dei templi.

Sicuramente avete notato che la Basilica della Sagrada Família è strutturata in modo che ogni portico abbia un tema, illustrato da passi della Scrittura e incorniciato da una preghiera. Così la prima porta, quella della fede, dietro l’immagine di Gesù che predica ai dottori, ci mostra santo Trisagio. La fede predicata deve farsi preghiera. Sempre.

La porta centrale della carità, la cui figura principale è proprio quella della Santa Famiglia, ci invita ad alzare lo sguardo verso il mistero dell’Incarnazione a da lì a sgranare le perle del rosario che discende lungo le vetrate, incorniciando la stella di Betlemme, quasi a dire: “qui è la nostra luce”. Ed è proprio nell’adorazione, nella preghiera contemplativa dei misteri, che ci apriamo a quella luce, come la grande vetrata del vostro tempio.

Vi invito pertanto ad accogliere nella Basilica i pellegrini che si avvicinano, per introdurli con un atteggiamento orante a contemplare il progetto iconografico del servo di Dio Antoni Gaudí nella sua interezza, di modo che, come i pinnacoli e i campanili, i loro sguardi si levino e le loro voci proclamino con gli angeli: “Santo nostro Dio Immortale”. Grazie per tutto quello che fate, grazie. Che Dio vi benedica.

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 40, sabato 17 febbraio 2024, p. 12.

Chirografo del Santo Padre sulla collaborazione tra i Dicasteri della Curia Romana e la Segreteria Generale del Sinodo (16 febbraio 2024)

Ven, 16/02/2024 - 12:00

Nel cammino di rinnovamento che sta compiendo secondo la «missione d’amore propria di Cristo» (Praedicate evangelium [PE], 2), la Chiesa esprime il suo essere, «in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium [LG], 1). Essa si manifesta con maggiore chiarezza e credibilità al mondo nelle diverse culture come mistero di comunione missionaria (cfr. LG, 7), unico Corpo, partecipe del Suo Spirito che la rinnova e guida nell’annuncio del Vangelo a tutte le genti (cfr. LG, 17).

In questa luce, nella Costituzione Apostolica sulla Curia Romana Praedicate evangelium ho sottolineato che la «vita di comunione dona alla Chiesa il volto della sinodalità» (PE, 4). In particolare, il reciproco ascolto e la dinamica di reciprocità nel porsi a servizio della missione del Popolo di Dio qualificano l’opera di ausilio della Curia Romana al ministero del Vescovo di Roma, dei singoli Vescovi e del Collegio episcopale. Le competenze pastorali da essa espletate trovano il loro fine e la loro efficacia nel servizio alla collegialità episcopale e alla comunione ecclesiale in unione e sotto la guida del Vescovo di Roma (cfr. PE, 8-9).

Si colloca in tale contesto il compito della Segreteria Generale del Sinodo (cfr. Episcopalis communio [EC], 9). Direttamente sottoposta al Vescovo di Roma in quanto Pastore della Chiesa universale e al tempo stesso distinta dalla Curia Romana in quanto «istituzione permanente al servizio del Sinodo dei Vescovi» (EC, art. 22 § 1), essa sostiene e accompagna il processo sinodale di volta in volta stabilito (cfr. EC, art. 23 § 1). In questo modo presta un ausilio specifico alla promozione in spirito sinodale delle mutue relazioni dei Vescovi e delle Chiese particolari cui essi presiedono, tra loro e in comunione con il Vescovo di Roma nella Chiesa una e cattolica (cfr. LG, 23).

Dispongo pertanto che, secondo quanto stabilito dall’art. 33 di Praedicate evangelium, i Dicasteri della Curia Romana collaborino, «secondo le rispettive specifiche competenze, all’attività della Segreteria Generale del Sinodo», costituendo dei gruppi di studio che avviino, con metodo sinodale, l’approfondimento di alcuni tra i temi emersi nella Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Questi gruppi di studio siano costituiti di comune accordo tra i Dicasteri della Curia Romana competenti e la Segreteria Generale del Sinodo, a cui è affidato il coordinamento.

Dal Vaticano, 16 febbraio 2024

FRANCESCO

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Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 17 febbraio 2024

Alla Comunità del Seminario Arcivescovile di Napoli (16 febbraio 2024)

Ven, 16/02/2024 - 10:30

Discorso del Santo Padre consegnato

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi ringrazio per essere venuti qui stamani e per aver desiderato questo incontro nel 90° anniversario dell’inaugurazione del vostro Seminario “Alessio Ascalesi”. Saluto l’Arcivescovo, Mons. Domenico Battaglia, e i fratelli Vescovi, il Rettore, gli Educatori e i Padri Spirituali, tutti ringraziando per il prezioso servizio. Con gioia saluto quanti, in forme diverse, contribuiscono alla vostra formazione: il Preside e il Decano della Facoltà, le Suore e anche le coppie di sposi, la cui presenza è un segno importante, che ci ricorda la complementarietà tra Ordine sacro e Sacramento del matrimonio: nella formazione sacerdotale abbiamo bisogno del contributo di coloro che hanno scelto la via del matrimonio. Grazie per quello che fate! E grazie anche ai consulenti psicologici, al personale amministrativo e di servizio.

Mi rivolgo con affetto a voi seminaristi. Sento di dovervi esprimere gratitudine per aver risposto alla chiamata del Signore e per la disponibilità a servire la sua Chiesa; e di dovervi incoraggiare a coltivare ogni giorno la bellezza della fedeltà, con entusiasmo e impegno, consegnando la vostra vita all’incessante opera dello Spirito Santo, che vi aiuta ad assumere la forma di Cristo. Ricordiamoci questo: che la formazione non finisce mai, dura tutta la vita, e che se si interrompe non si rimane dove si era, ma si torna indietro. Proprio pensando a questo continuo lavoro interiore che è la formazione sacerdotale e alla ricorrenza del vostro Seminario, mi viene in mente l’immagine del cantiere.

La Chiesa è anzitutto un cantiere sempre aperto. Essa, cioè, rimane costantemente in cammino, aperta alla novità dello Spirito, vincendo la tentazione di preservare sé stessa e i propri interessi. Il lavoro principale del “cantiere Chiesa” è camminare in compagnia del Crocifisso Risorto portando agli uomini la bellezza del suo Vangelo. Questo è l’essenziale. È quanto ci sta insegnando il cammino sinodale, è quanto ci chiede, senza compromessi, l’ascolto dello Spirito e degli uomini del nostro tempo; ma è anche ciò che viene richiesto a voi: essere servitori – questo significa ministri – che sanno adottare uno stile di discernimento pastorale in ogni situazione, sapendo che tutti, preti e laici, siamo in cammino verso la pienezza e siamo operai di un cantiere in costruzione. Non possiamo offrire alla realtà complessa di oggi risposte monolitiche e preconfezionate, ma dobbiamo investire le nostre energie annunciando l’essenziale, che è la misericordia di Dio, e manifestandola attraverso la vicinanza, la paternità, la mitezza, affinando l’arte del discernimento.

Per questo motivo, anche il cammino di formazione al presbiterato è un cantiere. Non bisogna mai commettere l’errore di sentirsi arrivati, di ritenersi già pronti davanti alle sfide. La formazione sacerdotale è un cantiere nel quale ognuno di voi è chiamato a mettersi in gioco nella verità, per lasciare che sia Dio ad edificare nel corso degli anni la sua opera. Non abbiate dunque paura di lasciar agire il Signore nella vostra vita; come in un cantiere, lo Spirito verrà dapprima a demolire quegli aspetti, quelle convinzioni, quello stile e perfino quelle idee incoerenti sulla fede e sul ministero che vi impediscono di crescere secondo il Vangelo; poi lo stesso Spirito, dopo aver ripulito le falsità interiori, vi darà un cuore nuovo, edificherà la vostra vita secondo lo stile di Gesù, vi farà diventare nuove creature e discepoli missionari. Farà maturare il vostro entusiasmo attraverso la croce, come fu per gli Apostoli. Ma non abbiate paura di questo: può essere certamente un lavoro faticoso, però se rimanete docili e veri, disponibili all’azione dello Spirito senza irrigidirvi e difendervi, scoprirete la tenerezza del Signore dentro le vostre fragilità e nella gioia pura del servizio. In questo cantiere che è la vostra formazione, scavate dunque a fondo, “facendo la verità” in voi con sincerità, coltivando la vita interiore, meditando la Parola, approfondendo nello studio le domande del nostro tempo e le questioni teologiche e pastorali. E permettetemi di raccomandarvi una cosa: lavorare sulla maturità affettiva e umana. Senza non si va da nessuna parte!

Infine, la stessa struttura del Seminario è come un grande cantiere. E non mi riferisco ovviamente all’ambito edilizio. Sulla formazione sacerdotale è in atto un processo che comprende nuove domande e nuove acquisizioni: gli itinerari di formazione stanno subendo molte trasformazioni, in ascolto delle sfide che attendono il ministero sacerdotale e richiedono da parte di tutti impegno, passione e sana creatività. Si sperimentano nuove esperienze pastorali e missionarie, con l’intento di favorire il graduale inserimento nella futura vita ministeriale; si ipotizzano tempi di interruzione nel percorso per favorire la maturazione individuale. È bello accogliere e vagliare queste novità, vivendole come opportunità di grazia e di servizio, cogliendovi la presenza di Dio.

Abbiamo appena iniziato il cammino quaresimale che, come ho avuto modo di dire, è «tempo di piccole e grandi scelte controcorrente […] in cui ripensare gli stili di vita» (Messaggio per la Quaresima 2024). Possa anche la vostra comunità percorrere questa strada di conversione e rinnovamento. Come? Lasciandosi conquistare con rinnovato stupore dall’amore di Dio, fondamento della vocazione che si accoglie e si riscopre in particolare nell’adorazione e a contatto con la Parola; riscoprendo con gioia il gusto della sobrietà ed evitando gli sprechi; apprendendo uno stile di vita che vi servirà per essere sacerdoti capaci di donarsi agli altri e di essere attenti ai più poveri; non lasciandovi ingannare dal culto dell’immagine e dell’apparire, ma curando la vita interiore; prendendovi cura della giustizia e del creato, temi attuali e scottanti nella vostra terra, che attende in questo senso dalla Chiesa parole coraggiose e segni profetici; vivendo nella pace e nella concordia, superando le divisioni e imparando a vivere nella fraternità con umiltà. E la fraternità è, specialmente oggi, una delle più grandi testimonianze che possiamo offrire al mondo.

I “lavori in corso” del vostro cantiere siano accompagnati dall’intercessione dei santi: dal vostro Patrono Gennaro, la cui presenza e il cui sangue continuano ad irrorare le terre che abitate, da San Vincenzo Romano, parroco che si è formato nel vostro Seminario, modello di zelo apostolico e di spirito missionario, e dal Beato Mariano Arciero, che ne è stato padre spirituale, di cui oggi ricorre la memoria liturgica. Vi auguro ogni bene nel cammino e vi accompagno con la preghiera. Anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

Alla Delegazione del Movimento "La Diaconie de la Beauté" (15 febbraio 2024)

Gio, 15/02/2024 - 10:15

Cari amici,

vi incontro nuovamente in occasione del vostro Simposio a Roma, e mi rallegro con voi per il decimo anniversario di questi “Festival” che organizzate ogni anno. Ringrazio Monsignor Le Gall per la sua dedizione a questa associazione.

Vorrei riflettere brevemente sulle tre dimensioni che la caratterizzano: spirituale, evenemenziale e residenziale.

La prima dimensione è quella spirituale. La vostra vocazione è quella di aiutare gli artisti a creare un ponte tra cielo e terra. Volete risvegliare in loro la ricerca della verità, siano essi musicisti, poeti o cantanti, pittori, architetti o registi, scultori, attori o ballerini o altro ancora. Perché la bellezza ci invita a un modo diverso di stare al mondo. Si tratta di contemplazione. Infatti, «la bellezza ci fa sentire che la vita è orientata alla pienezza. Nella vera bellezza si comincia così a provare la nostalgia di Dio» (Discorso agli artisti, 23 giugno 2023). Credere in Dio non può che incoraggiare la creatura a superare sé stessa, a proiettarsi nella vita divina attraverso l’ispirazione artistica.

La seconda dimensione – con un francesismo nella parola – la chiamiamo evenemenziale. L’associazione Diaconia della bellezza aiuta gli artisti a riannodare un dialogo fruttuoso con la Chiesa, attraverso incontri, spettacoli, concerti, rappresentazioni. È un modo per voi di rendere visibile la prossimità della Chiesa agli artisti entrando in dialogo con la loro cultura e la loro vita, che siano credenti o no.

E la terza dimensione è quella residenziale. Grazie al vostro fecondo apostolato, la vostra opera si moltiplica con la realizzazione di case di artisti nel mondo. La vita di un artista è spesso segnata dalla solitudine, a volte da depressione e grande sofferenza interiore. La vostra sfida è di far emergere la bellezza che è nascosta in lui o in lei, perché a sua volta diventi apostolo di questa bellezza che genera speranza e sete di felicità. Una missione che contribuisce a valorizzare la dignità dell’artista che non si sente rifiutato, incompreso, emarginato ed escluso. Andate avanti con questo!

Fratelli e sorelle, vi esorto ad essere cantori dell’armonia tra i popoli, cantori di armonia tra le culture e le religioni. La nostra umanità è scossa da violenze di ogni sorta, dalle guerre, dalle crisi sociali. In questo contesto, abbiamo bisogno di uomini e donne capaci di farci sognare un mondo diverso, un mondo bello. Fate sognare le persone, perché aspirino a una vita in pienezza!

Inoltre, oggi è urgente per noi ricreare l’armonia tra l’uomo e l’ambiente. Le grandi crisi climatiche ci impongono di rivedere le nostre abitudini e i nostri comportamenti. E l’arte è un mezzo molto potente per trasmettere il messaggio della bellezza della natura. Infatti, «prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune» (Enc. Fratelli tutti, 17). Chiediamoci: qual è il nostro apporto alla costruzione di un mondo in armonia? È una domanda che dobbiamo farci, ognuno di noi. La cultura della bellezza ci rimette sempre in movimento. Incontrare la bellezza di Dio ci permette di ripartire, di ricominciare, nel cammino verso società più umane e più fraterne.

Cari amici, vi ringrazio e auguro ogni bene per la vostra “diaconia”. Vi benedico di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me.

Santa Messa, benedizione e imposizione delle Ceneri (14 febbraio 2024)

Mer, 14/02/2024 - 17:00

Quando fai l’elemosina, quando preghi, quando digiuni, abbi cura che ciò sia fatto nel segreto: il Padre tuo, infatti, vede nel segreto (cfr Mt 6,4). Entra nel segreto: questo è l’invito che Gesù rivolge ad ognuno di noi all’inizio del cammino della Quaresima.

Entrare nel segreto significa ritornare al cuore, come ammonisce il profeta Gioele (cfr Gl 2,12). Si tratta di un viaggio dall’esterno all’interno, perché tutto ciò che viviamo, anche la nostra relazione con Dio, non si riduca ad esteriorità, a una cornice senza quadro, a un rivestimento dell’anima, ma nasca da dentro e corrisponda ai movimenti del cuore, cioè ai nostri desideri, ai nostri pensieri, al nostro sentire, al nucleo sorgivo della nostra persona.

La Quaresima ci immerge allora in un bagno di purificazione e di spoliazione: vuole aiutarci a togliere ogni “trucco”, tutto ciò di cui ci rivestiamo per apparire adeguati, migliori di come siamo. Ritornare al cuore significa ritornare al nostro vero io e presentarlo così com’è, nudo e spoglio, davanti a Dio. Significa guardarci dentro e prendere coscienza di chi siamo davvero, togliendoci le maschere che spesso indossiamo, rallentando la corsa delle nostre frenesie, abbracciando la vita e la verità di noi stessi. La vita non è una recita, e la Quaresima ci invita a scendere dal palcoscenico della finzione, per tornare al cuore, alla verità di ciò che siamo. Tornare al cuore, tornare alla verità.

Per questo, stasera, con spirito di preghiera e di umiltà, riceviamo sul capo la cenere. È un gesto che vuole riportarci alla realtà essenziale di noi stessi: noi siamo polvere, la nostra vita è come un soffio (cfr Sal 39,6; 144,4), ma il Signore – Lui e soltanto Lui, non altri – non permette che essa svanisca; Egli raccoglie e plasma la polvere che siamo, perché non venga dispersa dai venti impetuosi della vita e non si dissolva nell’abisso della morte.

Le ceneri poste sul nostro capo ci invitano a riscoprire il segreto della vita. Ci dicono: fino a quando continuerai a indossare un’armatura che copre il cuore, fino a quando a camuffarti con la maschera delle apparenze, a esibire una luce artificiale per mostrarti invincibile, resterai vuoto e arido. Quando invece avrai il coraggio di chinare il capo per guardarti dentro, allora potrai scoprire la presenza di un Dio che ti ama e ti ama da sempre; finalmente si frantumeranno le corazze che tu ti sei costruito e potrai sentirti amato di un amore eterno.

Sorella, fratello, io, tu, ognuno di noi, siamo amati di amore eterno. Siamo cenere su cui Dio ha soffiato il suo alito di vita, siamo terra che Egli ha plasmato con le sue mani (cfr Gen 2,7; Sal 119,73), siamo polvere da cui risorgeremo per una vita senza fine preparata da sempre per noi (cfr Is 26,19). E se, nella cenere che siamo, arde il fuoco dell’amore di Dio, allora scopriamo che di questo amore siamo impastati e che all’amore siamo chiamati: amare i fratelli che abbiamo accanto, essere attenti agli altri, vivere la compassione, esercitare la misericordia, condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo con chi è nel bisogno. Perciò l’elemosina, la preghiera e il digiuno non possono ridursi a pratiche esteriori, ma sono vie che ci riconducono al cuore, all’essenziale della vita cristiana. Ci fanno scoprire che siamo cenere amata da Dio e ci rendono capaci di spargere lo stesso amore sulle “ceneri” di tante situazioni quotidiane, perché in esse rinascano speranza, fiducia, gioia.

Sant’Anselmo d’Aosta ci ha lasciato questa esortazione, che stasera possiamo fare nostra: «Fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui. Entra nell’intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, di’ ora con tutto te stesso, di’ ora a Dio: Cerco il tuo volto. II tuo volto, Signore, io cerco» (Proslogion, 1).

Ascoltiamo allora, in questa Quaresima, la voce del Signore che non si stanca di ripeterci: entra nel segreto. Entra nel segreto, ritorna al cuore. È un invito salutare, per noi che spesso viviamo in superficie, che ci agitiamo per essere notati, che abbiamo sempre bisogno di essere ammirati e apprezzati. Senza accorgercene, ci ritroviamo a non avere più un luogo segreto in cui fermarci e custodire noi stessi, immersi in un mondo in cui tutto, anche le emozioni e i sentimenti più intimi, deve diventare “social” – ma come può essere sociale ciò che non sgorga dal cuore? –. Persino le esperienze più tragiche e dolorose rischiano di non avere un luogo segreto che le custodisca: tutto dev’essere esposto, ostentato, dato in pasto alla chiacchiera del momento. Ed ecco che il Signore ci dice: entra nel segreto, ritorna al centro di te stesso. Proprio lì, dove albergano anche tante paure, sensi di colpa e peccati, lì il Signore è disceso, è disceso per sanarti e purificarti. Entriamo nella nostra camera interiore: lì abita il Signore, la nostra fragilità è accolta e siamo amati senza condizioni.

Ritorniamo, fratelli e sorelle. Ritorniamo a Dio con tutto il cuore. In queste settimane di Quaresima diamo spazio alla preghiera di adorazione silenziosa, nella quale rimanere in ascolto alla presenza del Signore, come Mosè, come Elia, come Maria, come Gesù. Ci siamo accorti che abbiamo perso il senso dell’adorazione? Ritorniamo all’adorazione. Prestiamo l’orecchio del cuore a Colui che, nel silenzio, vuole dirci: «Io sono il tuo Dio: Dio di misericordia e di compassione, il Dio del perdono e dell’amore, il Dio della tenerezza e della sollecitudine. […] Non giudicare te stesso. Non condannarti. Non rifiutare te stesso. Lascia che il mio amore tocchi i più profondi e nascosti recessi del tuo cuore e ti riveli la tua stessa bellezza, una bellezza che hai perso di vista, ma che ti diventerà nuovamente visibile nella luce della mia misericordia». Il Signore ci chiama: «Vieni, vieni, lascia che io possa asciugare le tue lacrime e lascia che la mia bocca venga più vicino al tuo orecchio e ti dica: Io ti amo, ti amo, ti amo» (H. Nouwen, In cammino verso l’alba, Brescia 1997, 233). Noi crediamo che il Signore ci ama, che il Signore mi ama?

Fratelli e sorelle, non abbiamo paura di spogliarci dei rivestimenti mondani e di tornare al cuore, ritornare all’essenziale. Pensiamo a San Francesco, che dopo essersi spogliato abbracciò con tutto sé stesso il Padre che è nei cieli. Riconosciamoci per quello che siamo: polvere amata da Dio, chiamata a essere polvere innamorata di Dio. Grazie a Lui rinasceremo dalle ceneri del peccato alla vita nuova in Gesù Cristo e nello Spirito Santo.

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