Dalla Santa Sede

Abbonamento a feed Dalla Santa Sede
vatican.va
Aggiornato: 13 min 10 sec fa

XXXII Giornata Mondiale del Malato, 2024

Mer, 10/01/2024 - 12:00

«Non è bene che l’uomo sia solo».
Curare il malato curando le relazioni

 

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.

Penso ad esempio a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie.

Allo stesso tempo, partecipo con dolore alla condizione di sofferenza e di solitudine di quanti, a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, si trovano senza sostegno e senza assistenza: la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.

Occorre tuttavia sottolineare che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18). Questa logica pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.

Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita.

Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.

Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.

A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024

FRANCESCO

Lettera del Santo Padre di Conferma dell’Elezione dell’Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi (9 gennaio 2024)

Mer, 10/01/2024 - 12:00

A Sua Beatitudine
Mar Raphael Thattil
Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly

Ho ricevuto la lettera con la quale, conformemente al canone 153 §2 del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, chiede al Romano Pontefice di confermare la sua elezione canonica da parte del Sinodo dei Vescovi della Chiesa siro-malabarese come Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly, Padre e Capo di questa amata Chiesa sui iuris.

Sappia che concedo volentieri la conferma da lei richiesta, ed esprimo fraterni buoni auspici in Gesù Cristo, nostro Signore e Dio. Prego perché, seguendo l’esempio dei suoi venerabili predecessori, lei possa adoperarsi per offrire un ministero pastorale generoso e fecondo al gregge affidato alle sue cure. La esorto inoltre a ricordare in modo particolare i poveri e i più bisognosi. Che lo Spirito Santo favorisca l’unità, la fedeltà e la missione della Chiesa siro-malabarese, di modo che possa crescere e prosperare sotto la sua guida paterna.

Nell’estendere i miei cordiali saluti ai Fratelli Membri del Sinodo, al clero, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e ai candidati alla vita consacrata e ai fedeli laici della Chiesa siro-malabarese, invoco l’intercessione della Santa Madre di Dio, del Santo Patriarca san Giuseppe e dell’Apostolo san Tommaso. A tutti voi imparto la mia Benedizione, mentre vi assicuro della mia vicinanza spirituale e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

Roma, da San Giovanni in Laterano, 9 gennaio 2024

Francesco

_____________________________

L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 6, mercoledì 10 gennaio 2024.

Udienza Generale del 10 gennaio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 3. La gola

Mer, 10/01/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate:
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 3. La gola

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questo nostro cammino di catechesi che stiamo facendo sui vizi e le virtù, oggi ci soffermiamo sul vizio della gola.

Cosa ci dice il Vangelo a questo riguardo? Guardiamo a Gesù. Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo. In tutto il suo ministero Gesù appare come un profeta molto diverso dal Battista: se Giovanni è ricordato per la sua ascesi – mangiava quello che trovava nel deserto –, Gesù è invece il Messia che spesso vediamo a tavola. Il suo comportamento suscita scandalo in alcuni, perché non solo Egli è benevolo verso i peccatori, ma addirittura mangia con loro; e questo gesto dimostrava la sua volontà di comunione e vicinanza con tutti.

Ma c’è anche dell’altro. Mentre l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei precetti ebraici ci rivela la sua piena sottomissione alla Legge, Egli però si dimostra comprensivo con i suoi discepoli: quando questi vengono colti in fallo, perché avendo fame colgono delle spighe di grano in giorno di sabato, Lui li giustifica, ricordando che anche il re Davide e i suoi compagni, trovandosi nel bisogno, avevano mangiato dei pani sacri (cfr Mc 2,23-26). E Gesù afferma un nuovo principio: gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo verrà loro tolto. Ormai tutto è relativo a Gesù. Quando Lui è in mezzo a noi, non possiamo essere in lutto; ma nell’ora della sua passione, allora sì, digiuniamo (cfr Mc 2,18-20). Gesù vuole che siamo nella gioia in sua compagnia – Lui è lo Sposo della Chiesa –; ma vuole anche che partecipiamo alle sue sofferenze, che sono anche le sofferenze dei piccoli e dei poveri.

Un altro aspetto importante. Gesù fa cadere la distinzione tra cibi puri e cibi impuri, che era una distinzione fatta dalla legge ebraica. In realtà – insegna Gesù – non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore. E così dicendo «rendeva puri tutti gli alimenti» (Mc 7,19). Per questo il cristianesimo non contempla cibi impuri. Ma l’attenzione che dobbiamo avere è quella interiore: dunque non sul cibo in sé, ma sulla nostra relazione con esso. E Gesù su questo dice chiaramente che quello che fa la bontà o la cattiveria, diciamo così, di un cibo, non è il cibo in sé ma la relazione che noi abbiamo con esso. E noi lo vediamo, quando una persona ha una relazione non ordinata con il cibo, guardiamo come mangia, mangia di fretta, come con la voglia di saziarsi e mai si sazia, non ha un rapporto buono con il cibo, è schiavo del cibo.

Questo rapporto sereno che Gesù ha stabilito nei confronti dell’alimentazione dovrebbe essere riscoperto e valorizzato, specialmente nelle società del cosiddetto benessere, dove si manifestano tanti squilibri e tante patologie. Si mangia troppo, oppure troppo poco. Spesso si mangia nella solitudine. Si diffondono i disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia, obesità… E la medicina e la psicologia cercano di affrontare la cattiva relazione con il cibo. Una cattiva relazione con il cibo produce tutte queste malattie.

Si tratta di malattie, spesso dolorosissime, che per lo più sono legate ai tormenti della psiche e dell’anima. L’alimentazione è la manifestazione di qualcosa di interiore: la predisposizione all’equilibrio o la smodatezza; la capacità di ringraziare oppure l’arrogante pretesa di autonomia; l’empatia di chi sa condividere il cibo con il bisognoso, oppure l’egoismo di chi accumula tutto per sé. Questa domanda è tanto importante: dimmi come mangi, e ti dirò che anima possiedi. Nel modo di mangiare si rivela la nostra interiorità, le nostre abitudini, i nostri atteggiamenti psichici.

Gli antichi Padri chiamavano il vizio della gola con il nome di “gastrimargia”, termine che si può tradurre con “follia del ventre”. La gola è una “follia del ventre”. E c’è anche questo proverbio: che noi dobbiamo mangiare per vivere, non vivere per mangiare. La gola è un vizio che si innesta proprio in una nostra necessità vitale, come l’alimentazione. Stiamo attenti a questo.

Se lo leggiamo da un punto di vista sociale, la gola è forse il vizio più pericoloso, che sta uccidendo il pianeta. Perché il peccato di chi cede davanti ad una fetta di torta, tutto sommato non provoca grandi danni, ma la voracità con cui ci siamo scatenati, da qualche secolo a questa parte, verso i beni del pianeta sta compromettendo il futuro di tutti. Ci siamo avventati su tutto, per diventare padroni di ogni cosa, mentre ogni cosa era stata consegnata alla nostra custodia, non al nostro sfruttamento! Ecco dunque il grande peccato, la furia del ventre: abbiamo abiurato il nome di uomini, per assumerne un altro, “consumatori”. E oggi si dice così nella vita sociale: i “consumatori”. Non ci siamo nemmeno accorti che qualcuno ha cominciato a chiamarci così. Siamo fatti per essere uomini e donne “eucaristici”, capaci di ringraziamento, discreti nell’uso della terra, e invece il pericolo è di trasformarsi in predatori, e adesso ci stiamo rendendo conto che questa forma di “gola” ha fatto molto male al mondo. Chiediamo al Signore che ci aiuti nella strada della sobrietà, e che le varie forme di gola non si impadroniscano della nostra vita.

__________________________

Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, en particulier:  les séminaristes du séminaire de Paris, le Collège Saint Joseph d’Aumale, et l’Aumônerie nationale des Artisans de la Fête. Que le Seigneur soit notre unique véritable faim. Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente le persone di lingua francese, in particolare i seminaristi del seminario di Parigi, il Collegio San Giuseppe di Aumale e la Capellania nazionale degli Artigiani della Festa. Il Signore sia la nostra vera unica fame. Dio vi benedica.]

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from Korea and the United States of America. 
I also welcome the priests from the Institute for Continuing Theological Education at the Pontifical North American College.  Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of Our Lord Jesus Christ.  God bless you!  

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti dalla Corea e dagli Stati Uniti d’America. Saluto inoltre i sacerdoti dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente del Pontificio Collegio Americano del Nord. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo! Dio vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern, der Herr hat sich in der Eucharistie zu unserer himmlischen Speise gemacht. Er gebe uns die notwendige Kraft, um auf dem Weg der Tugenden fortzuschreiten und ihm ähnlicher zu werden.

[Cari fratelli e sorelle, il Signore nell’Eucaristia si è fatto il nostro cibo celeste. Egli ci dia la forza necessaria per progredire nel cammino delle virtù e conformarci a Lui.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos al Señor recuperar el sentido eucarístico del comer, en lo que tiene de acción de gracias a Dios por lo que nos da y de comunión con el hermano, con el compartinos la alegría de la fraternidad. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, com votos de que sempre possais dar-vos conta do dom maravilhoso que é a vida. Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser, por todo o lado, sinal de confiança e esperança. Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, augurando di rendervi sempre conto di quanto la vita sia davvero un dono meraviglioso. Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere dovunque segno di fiducia e di speranza. Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة. المسيحِيُّونَ الَّذينَ "لَبِسُوا المَسِيحَ" (راجع غلاطية 3، 27) في المعموديَّة، مَدعُوونَ إلى أنْ يَعِيشُوا "المحبَّةَ والفرحَ والسَّلامَ والصَّبرَ واللُّطفَ وكَرَمَ الأَخلاقِ والإِيمانَ والوداعَةَ والعَفاف" (غلاطية 5، 22) حتَّى يَبقَوا أُمَناءَ لِدَعوَتِهِم. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Per rimanere fedeli alla loro vocazione, i cristiani che nel battesimo si sono «rivestiti di Cristo» (Gal 3,27), sono chiamati a vivere «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Na początku Nowego Roku ważne jest, aby pamiętać, że pokój, którego tak wszyscy pragniemy, rodzi się w sercu człowieka. Niech Maryja, Królowa pokoju, wspiera was, by wasze plany i decyzje wypływały z pragnienia dobra swojego, waszych rodzin, Ojczyzny i całego świata. Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. All'inizio del nuovo anno, è importante ricordare che la pace, tanto voluta da tutti, nasce nel cuore dell'uomo. Maria, Regina della Pace, vi sostenga affinché i vostri progetti e le vostre decisioni nascano dal desiderio di bene per voi stessi, per le vostre famiglie, per la vostra Patria e per il mondo intero. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Terracina, quelli di Canosa di Puglia e gli studenti di Frosinone.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli - sono tanti! -: tutti invito ad operare sempre nella novità di vita che ci indica il Figlio di Dio, incarnatosi per salvare l’uomo.

Rinnoviamo la nostra vicinanza con la preghiera alla cara popolazione Ucraina così provata e a quanti soffrono l’orrore della guerra in Palestina e Israele, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo, preghiamo per questa gente che è sotto la guerra e preghiamo il Signore perché semini nel cuore delle Autorità dei Paesi il seme della pace.

A tutti la mia Benedizione!

Alla Delegazione del Gruppo DIALOP (Transversal Dialogue Project) (10 gennaio 2024)

Mer, 10/01/2024 - 08:30

Cari amici, buongiorno!

Do il benvenuto a voi, rappresentanti di DIALOP, da molti anni impegnati per la promozione del bene comune attraverso il dialogo tra socialisti/marxisti e cristiani. Un bel programma!

Uno scrittore latinoamericano ha detto che gli uomini hanno due occhi, ma uno di carne e un altro di vetro. Col primo vedono ciò che guardano, con l’altro ciò che sognano. Non perdere la capacità di sognare! Oggi, in un mondo diviso da guerre e polarizzazioni, corriamo il rischio di perdere la capacità di sognare. Ma noi argentini diciamo: «no te arrugues», un’espressione che significa “non tirarti indietro”. E questo è l’invito che faccio anche a voi: non tiratevi indietro, non arrendetevi, non smettete di sognare un mondo migliore. È nell’immaginazione, infatti, che intelligenza, intuizione, esperienza e memoria storica si incontrano per creare, avventurarsi e rischiare. Quante volte, lungo i secoli, sono stati proprio dei grandi sogni di libertà e di uguaglianza, di dignità e di fraternità, uno specchio del sogno di Dio, a produrre svolte e progressi. In quest’ottica, vorrei raccomandarvi tre atteggiamenti che ritengo validi per il vostro impegno: il coraggio di rompere gli schemi, l’attenzione ai deboli e la promozione della legalità.

Primo: avere il coraggio di rompere gli schemi per aprirsi, nel dialogo, a vie nuove. In un tempo segnato a vari livelli da conflitti e spaccature, non perdiamo di vista ciò che ancora si può fare per invertire la rotta. Contro gli approcci rigidi che separano, coltiviamo con cuore aperto il confronto e l’ascolto, non escludendo nessuno, a livello politico, sociale e religioso, perché il contributo di ciascuno possa, nella sua concreta peculiarità, essere accolto positivamente nei processi di cambiamento cui è legato il nostro futuro.

Secondo: l’attenzione ai deboli. La misura di una civiltà si vede da come vengono trattati i più vulnerabili – non dimentichiamo che le grandi dittature, pensiamo al nazismo, scartavano i vulnerabili, li uccidevano, li scartavano –: poveri, disoccupati, senza tetto, immigrati, sfruttati e tutti coloro che la cultura dello scarto trasforma in rifiuti. E questa è una delle cose più brutte. Una politica veramente al servizio dell’uomo non può lasciarsi dettar legge dalla finanza e dai meccanismi di mercato. No. La solidarietà, oltre che virtù morale, è esigenza di giustizia, che richiede di correggere le distorsioni e purificare le intenzioni dei sistemi iniqui, anche attraverso radicali cambiamenti di prospettiva nella condivisione di sfide e risorse tra gli uomini e tra i popoli. Per questo mi piace chiamare “poeta sociale” chi si impegna in questo campo, perché poesia è creatività, e qui si tratta di mettere la creatività al servizio della società, perché sia più umana e fraterna. Non avere paura della poesia, la poesia è creatività. Non dimentichiamo questa capacità di sognare.

Infine la legalità. Quanto abbiamo detto finora implica l’impegno a contrastare la piaga della corruzione, degli abusi di potere e dell’illegalità. Solo nell’onestà, infatti, si possono instaurare relazioni sane e si può cooperare con fiducia ed efficacia alla costruzione di un avvenire migliore.

Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno nel dialogo. C’è sempre tanto bisogno di dialogare, non abbiate paura! Prego per voi e vi auguro saggezza e coraggio nel vostro lavoro per un mondo più giusto e pacifico. Il Vangelo di Gesù Cristo possa sempre ispirare e illuminare la vostra ricerca e le vostre azioni. Grazie.

Ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (8 gennaio 2024)

Lun, 08/01/2024 - 10:00

Eccellenze,
Signore e Signori!

Sono lieto di accogliervi stamani per salutarvi personalmente e porgervi gli auguri per il nuovo anno. Ringrazio, in modo particolare, Sua Eccellenza l’Ambasciatore George Poulides, Decano del Corpo Diplomatico, per le sue gentili parole, che bene esprimono le preoccupazioni della comunità internazionale all’inizio di un anno che vorremmo di pace e che invece si apre all’insegna di conflitti e divisioni.

L’occasione mi è gradita anche per ringraziarvi per l’impegno che profondete per favorire le relazioni tra la Santa Sede e i vostri Paesi. Lo scorso anno, la nostra “famiglia diplomatica” si è ulteriormente allargata grazie all’allacciamento dei rapporti diplomatici con il Sultanato dell’Oman e la nomina del primo Ambasciatore, qui presente.

In pari tempo, desidero ricordare che la Santa Sede ha proceduto alla nomina di un Rappresentante Pontificio Residente ad Ha Noi, dopo che, nel luglio scorso, è stato concluso con il Vietnam il relativo Accordo sullo statuto del Rappresentante Pontificio. Ciò al fine di continuare insieme il cammino sin qui percorso, nel segno del reciproco rispetto e della fiducia, grazie alle frequenti relazioni a livello istituzionale e alla collaborazione della Chiesa locale.

Nel 2023 si è anche ratificato l’Accordo Supplementare all’Accordo tra la Santa Sede e il Kazakhstan sulle relazioni mutue del 24 settembre 1998, che agevola la presenza e l’impiego degli operatori pastorali nel Paese; e vi è stata inoltre l’occasione di celebrare quattro significativi anniversari: il centenario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Panama, il settantesimo di quelle con la Repubblica Islamica dell’Iran, il sessantesimo di quelle con la Repubblica di Corea e il cinquantesimo di quelle con l’Australia.

Cari Ambasciatori

c’è una parola che risuona in modo particolare nelle due principali feste cristiane. La udiamo nel canto degli angeli che annunciano nella notte la nascita del Salvatore e la intendiamo dalla voce di Gesù risorto: è la parola “pace”. Essa è primariamente un dono di Dio: è Lui che ci lascia la sua pace (cfr Gv 14,27); ma nello stesso tempo è una nostra responsabilità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Lavorare per la pace. Parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato. Ad essa vorrei dedicare la nostra riflessione odierna, in un momento storico in cui è sempre più minacciata, indebolita e in parte perduta. D’altronde, è compito della Santa Sede, in seno alla comunità internazionale, essere voce profetica e richiamo della coscienza.

Alla vigilia di Natale del 1944, Pio XII pronunciò un celebre Radiomessaggio ai popoli del mondo intero. La seconda guerra mondiale stava avvicinandosi alla conclusione dopo oltre cinque anni di conflitto e l’umanità – disse il Pontefice – avvertiva «una volontà sempre più chiara e ferma: fare di questa guerra mondiale, di questo universale sconvolgimento, il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo» [1]. Ottant’anni dopo, la spinta a quel “rinnovamento profondo” sembra essersi esaurita e il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale.

Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Palestina e Israele. Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio. Ripeto la mia condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo: in questo modo non si risolvono le questioni tra i popoli, anzi esse diventano più difficili, causando sofferenza per tutti. Infatti, ciò ha provocato una forte risposta militare israeliana a Gaza che ha portato la morte di decine di migliaia di palestinesi, in maggioranza civili, tra cui tanti bambini, ragazzi e giovani, e ha causato una situazione umanitaria gravissima con sofferenze inimmaginabili.

Ribadisco il mio appello a tutte le parti coinvolte per un cessate-il-fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano, e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza. Chiedo che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria.

Auspico che la Comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza.

Il conflitto in corso a Gaza destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni. In particolare, non si può dimenticare il popolo siriano, che vive nell’instabilità economica e politica, aggravata dal terremoto del febbraio scorso. La Comunità internazionale incoraggi le Parti coinvolte a intraprendere un dialogo costruttivo e serio e a cercare soluzioni nuove, perché il popolo siriano non abbia più a soffrire a causa delle sanzioni internazionali. Inoltre, esprimo la mia sofferenza per i milioni di rifugiati siriani che ancora si trovano nei Paesi vicini, come la Giordania e il Libano.

A quest’ultimo rivolgo un particolare pensiero, esprimendo preoccupazione per la situazione sociale ed economica in cui versa il caro popolo libanese, e auspico che lo stallo istituzionale che lo sta mettendo ancora più in ginocchio venga risolto e che il Paese dei Cedri abbia presto un Presidente.

Rimanendo nel continente asiatico, desidero richiamare l’attenzione della Comunità internazionale pure sul Myanmar, chiedendo che vengano messi in campo tutti gli sforzi per dare speranza a quella terra e un futuro degno alle giovani generazioni, senza dimenticare l’emergenza umanitaria che ancora colpisce i Rohingya.

Accanto a queste situazioni complesse, non mancano anche segni di speranza, come ho potuto sperimentare nel corso del viaggio in Mongolia, alle cui Autorità rinnovo la mia gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. Allo stesso modo, desidero ringraziare le Autorità ungheresi per l’ospitalità durante la mia visita al Paese nell’aprile scorso. È stato un viaggio nel cuore dell’Europa, dove si respirano storia e cultura e dove ho saggiato il calore di molte persone, ma dove si avverte anche la vicinanza di un conflitto che non avremmo ritenuto possibile nell’Europa del XXI secolo.

Purtroppo, dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione. Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale.

Esprimo preoccupazione anche per la tesa situazione nel Caucaso Meridionale tra l’Armenia e l’Azerbaigian, esortando le parti ad arrivare alla firma di un Trattato di pace. È urgente trovare una soluzione alla drammatica situazione umanitaria degli abitanti di quella regione, favorire il ritorno degli sfollati alle proprie case in legalità e sicurezza e rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose ivi presenti. Tali passi potranno contribuire alla creazione di un clima di fiducia tra i due Paesi in vista della tanto desiderata pace.

Se volgiamo ora lo sguardo all’Africa, abbiamo davanti agli occhi la sofferenza di milioni di persone per le molteplici crisi umanitarie in cui versano vari Paesi sub-sahariani, a causa del terrorismo internazionale, dei complessi problemi socio-politici, e degli effetti devastanti provocati dal cambiamento climatico, ai quali si sommano le conseguenze dei colpi di stato militari occorsi in alcuni Paesi e di certi processi elettorali caratterizzati da corruzione, intimidazioni e violenza.

In pari tempo, rinnovo un appello per un serio impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’applicazione dell’Accordo di Pretoria del novembre 2022, che ha messo fine ai combattimenti nel Tigray, e nella ricerca di soluzioni pacifiche alle tensioni e alle violenze che assillano l’Etiopia, nonché per il dialogo, la pace e la stabilità tra i Paesi del Corno d’Africa.

Vorrei pure ricordare i drammatici eventi in Sudan, dove purtroppo, dopo mesi di guerra civile, non si vede ancora una via di uscita; nonché le situazioni degli sfollati in Camerun, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Proprio questi due ultimi Paesi ho avuto la gioia di visitare all’inizio dello scorso anno, per portare un segno di vicinanza alle loro popolazioni sofferenti, seppure in contesti e situazioni diversi. Ringrazio di cuore le Autorità di entrambi i Paesi per l’impegno organizzativo e per l’accoglienza riservatami. Il viaggio in Sud Sudan ha avuto peraltro un carattere ecumenico, essendo stato accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, a testimonianza dell’impegno condiviso delle nostre Comunità ecclesiali per la pace e la riconciliazione.

Sebbene non vi siano guerre aperte nelle Americhe, fra alcuni Paesi, per esempio tra il Venezuela e la Guyana, vi sono forti tensioni, mentre in altri, come in Perù, osserviamo fenomeni di polarizzazione che compromettono l’armonia sociale e indeboliscono le istituzioni democratiche.

Desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa Cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione.

Eccellenze, Signore e Signori

dietro questo quadro che ho voluto tratteggiare brevemente e senza pretese di esaustività, si trova un mondo sempre più lacerato, ma soprattutto si trovano milioni di persone – uomini, donne, padri, madri, bambini – i cui volti ci sono per lo più sconosciuti e che spesso dimentichiamo.

D’altra parte, le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia delimitati, né riguardano solamente i soldati. In un contesto in cui sembra non essere osservato più il discernimento tra obiettivi militari e civili, non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile. Gli avvenimenti in Ucraina e a Gaza ne sono la prova evidente. Non dobbiamo dimenticare che le violazioni gravi del diritto internazionale umanitario sono crimini di guerra, e che non è sufficiente rilevarli, ma è necessario prevenirli. Occorre dunque un maggiore impegno della Comunità internazionale per la salvaguardia e l’implementazione del diritto umanitario, che sembra essere l’unica via per la tutela della dignità umana in situazioni di scontro bellico.

All’inizio di quest’anno risuona quanto mai attuale l’esortazione del Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes: «Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. […] Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra». [2] Anche quando si tratta di esercitare il diritto alla legittima difesa, è indispensabile attenersi ad un uso proporzionato della forza.

Forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e “un’inutile strage” [3], che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra.

D’altra parte, le guerre possono proseguire grazie all’enorme disponibilità di armi. Occorre perseguire una politica di disarmo, poiché è illusorio pensare che gli armamenti abbiano un valore deterrente. Piuttosto è vero il contrario: la disponibilità di armi ne incentiva l’uso e ne incrementa la produzione. Le armi creano sfiducia e distolgono risorse. Quante vite si potrebbero salvare con le risorse oggi destinate agli armamenti? Non sarebbe meglio investirle in favore di una vera sicurezza globale? Le sfide del nostro tempo travalicano i confini, come dimostrano le varie crisi – alimentare, ambientale, economica e sanitaria – che stanno caratterizzando l’inizio del secolo. In questa sede, reitero la proposta di costituire un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame [4] e promuovere uno sviluppo sostenibile dell’intero pianeta.

Tra le minacce causate da tali strumenti di morte, non posso poi tralasciare di menzionare quella provocata dagli arsenali nucleari e dallo sviluppo di ordigni sempre più sofisticati e distruttivi. Ribadisco ancora una volta l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari. Al riguardo, esprimo l’auspicio che si possa giungere al più presto alla ripresa dei negoziati per il riavvio del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come “Accordo sul nucleare iraniano”, per garantire a tutti un futuro più sicuro.

Per perseguire la pace, tuttavia, non è sufficiente limitarsi a rimuovere gli strumenti bellici, occorre estirpare alla radice le cause delle guerre, prime fra tutte la fame, una piaga che colpisce tuttora intere regioni della Terra, mentre in altre si verificano ingenti sprechi alimentari. Vi è poi lo sfruttamento delle risorse naturali, che arricchisce pochi, lasciando nella miseria e nella povertà intere popolazioni, che sarebbero i beneficiari naturali di tali risorse. Ad esso è connesso lo sfruttamento delle persone, costrette a lavorare sottopagate e senza reali prospettive di crescita professionale.

Tra le cause di conflitto vi sono anche le catastrofi naturali e ambientali. Certamente vi sono disastri che la mano dell’uomo non può controllare. Penso ai recenti terremoti in Marocco e in Cina, che hanno causato centinaia di vittime, come pure a quello che ha colpito duramente la Turchia e parte della Siria e che ha lasciato dietro di sé una tremenda scia di morte e distruzione. Penso pure all’alluvione che ha colpito Derna in Libia, distruggendo di fatto la città, anche a causa del concomitante crollo di due dighe.

Vi sono però i disastri che sono imputabili anche all’azione o all’incuria dell’uomo e che contribuiscono gravemente alla crisi climatica in atto, come ad esempio la deforestazione dell’Amazzonia, che è il “polmone verde” della Terra.

La crisi climatica e ambientale è stata oggetto della XXVIII Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), tenutasi a Dubai il mese scorso, alla quale mi rincresce di non aver potuto partecipare personalmente. Essa è iniziata in concomitanza con l’annuncio dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale che il 2023 è stato l’anno più caldo rispetto ai 174 anni precedentemente registrati. La crisi climatica esige una risposta sempre più urgente e richiede il pieno coinvolgimento di tutti quanti, così come dell’intera comunità internazionale [5].

L’adozione del documento finale alla COP28 rappresenta un passo incoraggiante e rivela che, di fronte alle tante crisi che stiamo vivendo, vi è la possibilità di rivitalizzare il multilateralismo attraverso la gestione della questione climatica globale, in un mondo in cui i problemi ambientali, sociali e politici sono strettamente connessi. Alla COP28 è emerso chiaramente come quello in corso sia il decennio critico per fronteggiare il cambiamento climatico. La cura del creato e la pace «sono le tematiche più urgenti e sono collegate» [6]. Auspico, pertanto, che quanto stabilito a Dubai porti a «una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che […] trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi» [7].

Le guerre, la povertà, l’abuso della nostra casa comune e il continuo sfruttamento delle sue risorse, che sono alla radice di disastri naturali, sono cause che spingono pure migliaia di persone ad abbandonare la propria terra alla ricerca di un futuro di pace e sicurezza. Nel loro viaggio mettono a rischio la propria vita su percorsi pericolosi, come nel deserto del Sahara, nella foresta del Darién al confine tra Colombia e Panama, in America centrale, nel nord del Messico, alla frontiera con gli Stati Uniti, e soprattutto nel Mare Mediterraneo. Questo, purtroppo, è diventato nell’ultimo decennio un grande cimitero, con tragedie che continuano a susseguirsi, anche a causa di trafficanti di esseri umani senza scrupoli. Tra le tante vittime, non dimentichiamolo, ci sono molti minori non accompagnati.

Il Mediterraneo dovrebbe essere piuttosto un laboratorio di pace, un «luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo» [8], come ho avuto modo di sottolineare a Marsiglia, nel corso del mio viaggio, per il quale ringrazio gli organizzatori e le Autorità francesi, in occasione dei Rencontres Méditerranéennes. Davanti a questa immane tragedia finiamo facilmente per chiudere il nostro cuore, trincerandoci dietro la paura di una “invasione”. Dimentichiamo facilmente che abbiamo davanti persone con volti e nomi e tralasciamo la vocazione propria del Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba, ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione. D’altra parte occorre pure richiamare il diritto di poter rimanere nella propria Patria e la conseguente necessità di creare le condizioni affinché esso possa effettivamente esercitarsi.

Dinanzi a questa sfida nessun Paese può essere lasciato solo, né alcuno può pensare di affrontare isolatamente la questione attraverso legislazioni più restrittive e repressive, approvate talvolta sotto la pressione della paura o per accrescere il consenso elettorale. Accolgo perciò con soddisfazione l’impegno dell’Unione Europea a ricercare una soluzione comune mediante l’adozione del nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, pur rilevandone alcuni limiti, specialmente per ciò che concerne il riconoscimento del diritto d’asilo e per il pericolo di detenzioni arbitrarie.

Cari Ambasciatori

la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica. In ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati.

La via della pace esige il rispetto dei diritti umani, secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui abbiamo da poco celebrato il 75° anniversario. Si tratta di principi razionalmente evidenti e comunemente accettati. Purtroppo, i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace.

Il dialogo, invece, dev’essere l’anima della Comunità internazionale. L’attuale congiuntura è anche causata dall’indebolimento di quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale. Organismi creati per favorire la sicurezza, la pace e la cooperazione non riescono più a unire tutti i loro membri intorno a un tavolo. C’è il rischio di una “monadologia” e della frammentazione in “club” che lasciano entrare solo Stati ritenuti ideologicamente affini. Anche quegli organismi finora efficienti, concentrati sul bene comune e su questioni tecniche, rischiano una paralisi a causa di polarizzazioni ideologiche, venendo strumentalizzati da singoli Stati.

Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali.

Certamente dialogare richiede pazienza, perseveranza e capacità di ascolto, ma quando ci si adopera nel tentativo sincero di porre fine alle discordie, si possono raggiungere risultati significativi. Penso ad esempio all’Accordo di Belfast, noto anche come Accordo del Venerdì Santo, firmato dai Governi britannico e irlandese, di cui lo scorso anno si è ricordato il 25° anniversario. Esso, ponendo fine a trent’anni di violento conflitto, può essere preso ad esempio per spronare e stimolare le Autorità a credere nei processi di pace, nonostante le difficoltà e i sacrifici che richiedono.

La via della pace passa per il dialogo politico e sociale, poiché esso è alla base della convivenza civile di una moderna comunità politica. Il 2024 vedrà la convocazione di elezioni in molti Stati. Le elezioni sono un momento fondamentale della vita di un Paese, poiché consentono a tutti i cittadini di scegliere responsabilmente i propri governanti. Risuonano più che mai attuali le parole di Pio XII: «Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall’armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo» [9].

È perciò importante che i cittadini, specialmente le giovani generazioni che saranno chiamate alle urne per la prima volta, avvertano come loro precipua responsabilità quella di contribuire all’edificazione del bene comune, attraverso una partecipazione libera e consapevole alle votazioni. D’altronde la politica va sempre intesa non come appropriazione del potere, ma come «forma più alta di carità» [10] e dunque del servizio al prossimo in seno a una comunità locale o nazionale.

La via della pace passa pure attraverso il dialogo interreligioso, che innanzitutto richiede la tutela della libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. Duole, ad esempio, constatare come cresca il numero di Paesi che adottano modelli di controllo centralizzato sulla libertà di religione, con l’uso massiccio di tecnologia. In altri luoghi, le comunità religiose minoritarie si trovano spesso in una situazione sempre più drammatica. In alcuni casi sono a rischio di estinzione, a causa di una combinazione di azioni terroristiche, attacchi al patrimonio culturale e misure più subdole come la proliferazione delle leggi anti-conversione, la manipolazione delle regole elettorali e le restrizioni finanziarie.

Preoccupa particolarmente l’aumento degli atti di antisemitismo verificatisi negli ultimi mesi; e ancora una volta sono a ribadire che questa piaga va sradicata dalla società, soprattutto con l’educazione alla fraternità e all’accoglienza dell’altro.

Parimenti preoccupa la crescita della persecuzione e della discriminazione nei confronti dei cristiani, soprattutto negli ultimi dieci anni. Essa riguarda non di rado, seppure in modo incruento ma socialmente rilevante, quei fenomeni di lenta marginalizzazione ed esclusione dalla vita politica e sociale e dall’esercizio di certe professioni che avvengono anche in terre tradizionalmente cristiane. Nel complesso sono oltre 360 milioni i cristiani nel mondo che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede, e sono sempre di più quelli costretti a fuggire dalle proprie terre d’origine.

Infine, la via della pace passa per l’educazione, che è il principale investimento sul futuro e sulle giovani generazioni. Ho ancora vivo il ricordo della Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi in Portogallo nell’agosto scorso. Mentre ringrazio nuovamente le Autorità portoghesi, civili e religiose, per l’impegno profuso nell’organizzazione, conservo nel cuore l’incontro con più di un milione di giovani, provenienti da ogni parte del mondo, pieni di entusiasmo e voglia di vivere. La loro presenza è stata un grande inno alla pace e la testimonianza che «l’unità è superiore al conflitto» [11] e che è «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» [12].

Nei tempi moderni, parte della sfida educativa riguarda un uso etico delle nuove tecnologie. Esse possono facilmente diventare strumenti di divisione o di diffusione di menzogna, le cosiddette fake news, ma sono anche mezzo di incontro, di scambi reciproci e un importante veicolo di pace. «I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano dunque entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli» [13]. Per questo motivo ho ritenuto importante dedicare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace all’intelligenza artificiale, che è una delle sfide più importanti dei prossimi anni.

È indispensabile che lo sviluppo tecnologico avvenga in modo etico e responsabile, preservando la centralità della persona umana, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina. «La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace» [14].

Occorre dunque una riflessione attenta ad ogni livello, nazionale e internazionale, politico e sociale, perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si mantenga al servizio dell’uomo, favorendo e non ostacolando, specialmente nei giovani, le relazioni interpersonali, un sano spirito di fraternità e un pensiero critico capace di discernimento.

In tale prospettiva acquisiscono particolare rilevanza le due Conferenze Diplomatiche dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, che avranno luogo nel 2024 e alle quali la Santa Sede parteciperà come Stato membro. Per la Santa Sede, la proprietà intellettuale è essenzialmente orientata alla promozione del bene comune e non può svincolarsi da limitazioni di natura etica dando luogo a situazioni di ingiustizia e indebito sfruttamento. Speciale attenzione va poi prestata alla tutela del patrimonio genetico umano, impedendo che si realizzino pratiche contrarie alla dignità dell’uomo, quali la brevettabilità del materiale biologico umano e la clonazione di esseri umani. 

Eccellenze, Signore e Signori

in quest’anno la Chiesa si prepara al Giubileo che inizierà il prossimo Natale. Ringrazio in particolare le Autorità italiane, nazionali e locali, per l’impegno che stanno profondendo nel preparare la città di Roma ad accogliere numerosi pellegrini e consentire loro di trarre frutti spirituali dal cammino giubilare.

Forse oggi più che mai abbiamo bisogno dell’anno giubilare. Di fronte a tante sofferenze, che provocano disperazione non soltanto nelle persone direttamente colpite, ma in tutte le nostre società; di fronte ai nostri giovani, che invece di sognare un futuro migliore si sentono spesso impotenti e frustrati; e di fronte all’oscurità di questo mondo, che sembra diffondersi anziché allontanarsi, il Giubileo è l’annuncio che Dio non abbandona mai il suo popolo e tiene sempre aperte le porte del suo Regno. Nella tradizione giudeo-cristiana il Giubileo è un tempo di grazia in cui sperimentare la misericordia di Dio e il dono della sua pace. È un tempo di giustizia in cui i peccati sono rimessi, la riconciliazione supera l’ingiustizia, e la terra si riposa. Esso può essere per tutti – cristiani e non cristiani – il tempo in cui spezzare le spade e farne aratri; il tempo in cui una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, né si imparerà più l’arte della guerra (cfr Is 2,4).

È questo l’augurio, cari fratelli e sorelle, l’augurio che formulo di cuore a ciascuno di voi, cari Ambasciatori, alle vostre famiglie, ai collaboratori e ai popoli che rappresentate. Grazie e buon anno a tutti!
 

 

[1] Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.

[2] Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), 79.

[3] Cfr Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti (1° agosto 1917).

[4] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020), 262.

[5] Cfr Esort. ap. Laudate Deum a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica (4 ottobre 2023).

[6] Discorso alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 2 dicembre 2023.

[7] Ibid.

[8] Discorso alla Sessione conclusiva dei «Rencontres Méditerranéennes», Marsiglia, 23 settembre 2023, 1.

[9] Cfr Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.

[10] Pio XI, Udienza ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, 18 dicembre 1927.

[11] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 228.

[12] Ibid.

[13] Messaggio per la LVII Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2023), 1.

[14] Ibid., 2.

Angelus, 7 gennaio 2024, Festa del Battesimo del Signore

Dom, 07/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi celebriamo il Battesimo del Signore (cfr Mc 1,7-11). Esso avviene presso il fiume Giordano, dove Giovanni – detto per questo “Battista” – compie un rito di purificazione, che esprime l’impegno a lasciare il peccato e a convertirsi. Il popolo va a farsi battezzare con umiltà, con sincerità e, come dice la Liturgia, “con l’anima e i piedi nudi”, e anche Gesù ci va, inaugurando il suo ministero: mostra così di voler stare vicino ai peccatori, di essere venuto per loro, per noi tutti che siamo peccatori.

E proprio in quel giorno succedono alcuni fatti straordinari. Giovanni Battista dice qualcosa di insolito, riconoscendo pubblicamente in Gesù, apparentemente uguale a tutti gli altri, uno «più forte» (v. 7) di lui, che «battezzerà in Spirito Santo» (v. 8). Poi si aprono i cieli, lo Spirito Santo scende su Gesù come una colomba (cfr v. 10) e dall’alto la voce del Padre proclama: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 11).

Tutto questo, se da una parte ci rivela che Gesù è il Figlio di Dio, dall’altra ci parla del nostro Battesimo, che ci ha resi a nostra volta figli di Dio, perché il Battesimo ci fa figli di Dio.

Il Battesimo è Dio che viene in noi, purifica, guarisce il nostro cuore, ci fa suoi figli per sempre, suo popolo, sua famiglia, eredi del Paradiso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1279). E Dio diviene intimo a noi e non se ne va più. Per questo è importante ricordare il giorno del Battesimo e anche conoscerne la data. Io domando a tutti voi – ognuno ci pensi –: “Io ricordo la data del mio Battesimo?”. Se tu non la ricordi, quando tornerai a casa, domandala per non dimenticarla più, perché è un nuovo compleanno, perché con il tuo Battesimo sei nato alla vita della grazia. Ringraziamo il Signore per il Battesimo. E anche, ringraziamolo per i genitori che ci hanno portato al fonte, per chi ci ha amministrato il Sacramento, per il padrino, per la madrina, per la comunità in cui lo abbiamo ricevuto. Festeggiare il proprio Battesimo: è un nuovo compleanno.

E possiamo chiederci: io sono consapevole del dono immenso che porto in me per il Battesimo? Riconosco, nella mia vita, la luce della presenza di Dio, che mi vede come suo figlio amato, come sua figlia amata? E ora, in memoria del nostro Battesimo, accogliamo la presenza di Dio in noi. Possiamo farlo con il segno della croce, che traccia in noi il ricordo della grazia di Dio, il quale ci ama e desidera stare con noi. Quel segno della croce che ci ricorda questo. Facciamolo insieme: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

E non dimenticatevi la data del Battesimo che è un compleanno. Maria, tempio dello Spirito, ci aiuti a celebrare ed accogliere le meraviglie che il Signore compie in noi.

___________________________________________

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Nell’odierna festa del Battesimo del Signore, ho battezzato alcuni neonati. Preghiamo per loro e per le loro famiglie. Estendo questa preghiera a tutti i bambini che in questi giorni ricevono il santo Battesimo.

Oggi le comunità ecclesiali dell’Oriente che seguono il Calendario Giuliano celebrano il Santo Natale. In spirito di gioiosa fraternità auguro che la nascita del Signore Gesù le ricolmi di luce, di carità e di pace.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per la liberazione, senza condizioni, di tutte le persone attualmente sequestrate in Colombia. Questo gesto, che è un dovere davanti a Dio, favorirà anche un clima di riconciliazione e di pace nel Paese.

Sono molto vicino alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo colpite nei giorni scorsi da inondazioni. E per favore continuiamo a pregare per la pace; per la pace in Ucraina, in Palestina, Israele e nel mondo intero.

E saluto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare i ragazzi della parrocchia del Santissimo Crocifisso in Roma, il gruppo Scout Milano 35 e l’associazione “Totus tuus” di Potenza.

Auguro a tutti una bella festa. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Festa del Battesimo del Signore (7 gennaio 2024)

Dom, 07/01/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

noi siamo qui per battezzare, per dare il dono della fede ai nostri bimbi. E loro sono i protagonisti in questa cerimonia: loro possono parlare, andare, gridare… Loro comandano, perché è la loro festa: riceveranno il dono più bello, il dono della fede, il dono del Signore.

Se piangono – per il momento sono silenziosi, ma è sufficiente che uno dia la nota e incomincia il concerto – lasciateli piangere; se hanno fame, allattateli, tranquilli, qui. Se hanno caldo, togliete le vesti, che a volte il caldo fa male.

Loro sono i protagonisti, perché loro oggi daranno anche a noi la testimonianza di come si riceve la fede: con innocenza, con apertura di cuore.

E a voi, genitori e padrini, auguro che la vostra vita sia di aiuto per questi bambini, di aiuto per la crescita. Vi auguro di accompagnarli nella crescita, perché questo è un modo di aiutare, affinché la fede cresca in loro. Grazie tante per la vostra testimonianza, per averli portarli qui a ricevere la fede.

E adesso, continuiamo con il rito del Battesimo.

Angelus, 6 gennaio 2024, Solennità dell'Epifania del Signore

Sab, 06/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona festa!

Oggi celebriamo l’Epifania del Signore, cioè la sua manifestazione a tutti i popoli, impersonati dai Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi sono dei saggi ricercatori che, dopo essersi lasciati interrogare dall’apparizione di una stella, si mettono in cammino e giungono a Betlemme. E lì trovano Gesù, «con Maria sua madre», si prostrano e gli offrono «oro, incenso e mirra» (v. 11).

Uomini sapienti che riconoscono la presenza di Dio in un semplice Bambino: non in un principe o in un nobile, ma in un figlio di povera gente, e si prostrano davanti a Lui, adorandolo. La stella li ha condotti lì, davanti a un Bimbo; e loro, nei suoi occhi piccoli e innocenti, colgono la luce del Creatore dell’universo, alla cui ricerca hanno dedicato l’esistenza.

È l’esperienza decisiva per loro e importante anche per noi: in Gesù Bambino, infatti, vediamo Dio fatto uomo. E allora guardiamo a Lui, meravigliamoci della sua umiltà. Contemplare Gesù, restare davanti a Lui, adorarlo nell’Eucaristia: non è perdere tempo, ma è dare senso al tempo. Adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. Questo è importante, lo ripeto: adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. È ritrovare la rotta della vita nella semplicità di un silenzio che nutre il cuore. 

E troviamo anche il tempo per guardare i bambini, come i Magi guardano Gesù: i piccoli che pure ci parlano di Gesù, con la loro fiducia, la loro immediatezza, il loro stupore, la loro sana curiosità, la loro capacità di piangere e ridere con spontaneità, di sognare. Dio si è fatto così: Bambino, fiducioso, semplice, amante della vita (cfr Sap 11,26). Se staremo davanti a Gesù bambino e in compagnia dei bambini impareremo a stupirci e ripartiremo più semplici e migliori, come i Magi. E sapremo avere sguardi nuovi, sguardi creativi di fronte ai problemi del mondo.

Chiediamoci dunque: in questi giorni ci siamo fermati ad adorare, abbiamo fatto un po’ di spazio a Gesù nel silenzio, pregando davanti al presepe? Abbiamo dedicato del tempo ai bambini, a parlare e a giocare con loro? E infine, riusciamo a vedere i problemi del mondo con lo sguardo dei bambini?

Maria, Madre di Dio e nostra, accresca il nostro amore per Gesù Bambino e per tutti i bambini, specialmente quelli provati da guerre e ingiustizie.

___________________________________________

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sessanta anni fa, proprio in questi giorni, il Papa San Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora si incontrarono a Gerusalemme, rompendo un muro di incomunicabilità che per secoli aveva tenuto lontani cattolici e ortodossi. Impariamo dall’abbraccio di quei due grandi della Chiesa sulla strada dell’unità dei cristiani, pregando insieme, camminando insieme, lavorando insieme.

E pensando a quello storico gesto di fraternità compiuto a Gerusalemme, preghiamo per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo. Tante vittime delle guerre, tanti morti, tanta distruzione… Preghiamo per la pace.

Esprimo la mia vicinanza al popolo iraniano, in particolare ai familiari delle numerose vittime dell’attacco terroristico avvenuto a Kerman, ai tanti feriti e a tutti coloro che sono colpiti da questo grande dolore.

L’Epifania è la Giornata dell’Infanzia Missionaria. Saluto i bambini e i ragazzi missionari del mondo intero, li ringrazio per il loro impegno nella preghiera e nel sostegno concreto all’annuncio del Vangelo e, in particolare, alla promozione dei ragazzi nelle terre di missione. Grazie, grazie tante a voi!

Accolgo con gioia i partecipanti al corteo storico-folcloristico, che quest’anno è dedicato al territorio della Valle del fiume Tevere, ai suoi valori umani e religiosi.

Saluto i fedeli venuti dalla Germania, i giovani del Movimento “Tra Noi”, gli “Amici della storia e delle tradizioni” di Carovilli, il gruppo AVIS di Paderno Franciacorta. Ed estendo la mia benedizione ai partecipanti al grande Corteo dei Re Magi che si svolge a Varsavia e in tante città della Polonia.

E a tutti auguro una buona Festa dell’Epifania. Continuate per favore a pregare per me e andate avanti, coraggiosi! Il Signore vi benedica. Buon pranzo e arrivederci!

Solennità dell'Epifania del Signore (6 gennaio 2024)

Sab, 06/01/2024 - 10:00

I Magi si mettono in viaggio alla ricerca del Re che è nato. Essi sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio, degli stranieri che ora sono condotti sul monte del Signore (cfr Is 56,6-7), dei lontani che adesso possono udire l’annuncio della salvezza (cfr Is 33,13), di tutti gli smarriti che sentono il richiamo di una voce amica. Perché ora, nella carne del Bambino di Betlemme, la gloria del Signore si è rivelata a tutte le genti (cfr Is 40,5) e «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6). È il pellegrinaggio umano, di ognuno di noi, dalla lontananza alla vicinanza.

I Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo, ma i piedi in cammino sulla terra e il cuore prostrato in adorazione. Ripeto: gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione.

Anzitutto, i Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo. Sono abitati dalla nostalgia dell’infinito e il loro sguardo è attratto dagli astri celesti. Non vivono guardando la punta dei loro piedi, ripiegati su sé stessi, prigionieri di un orizzonte terreno, trascinandosi nella rassegnazione o nella lamentela. Essi alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto. E così vedono spuntare una stella, più luminosa di tutte, che li attrae e li mette in cammino. Questa è la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti, se siamo affamati di beni e consolazioni mondane – che oggi ci sono e domani non ci saranno più – invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne. I Magi, che pure sono stranieri e ancora non hanno incontrato Gesù, ci insegnano a guardare in alto, ad avere lo sguardo rivolto al cielo, ad alzare gli occhi verso i monti da dove ci verrà l’aiuto, perché il nostro aiuto viene dal Signore (cfr Sal 121,1-2).

Fratelli e sorelle, gli occhi puntati al cielo! Abbiamo bisogno di aver lo sguardo rivolto verso l’alto anche per imparare a vedere la realtà dall’alto. Ne abbiamo bisogno nel cammino della vita, per farci accompagnare dall’amicizia con il Signore, dal suo amore che ci sostiene, dalla luce della sua Parola che ci guida come stella nella notte. Ne abbiamo bisogno nel cammino della fede, perché non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che ci brucia dentro e ci fa diventare appassionati cercatori del volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Ne abbiamo bisogno nella Chiesa, dove, invece che dividerci in base alle nostre idee, siamo chiamati a rimettere Dio al centro. Ne abbiamo bisogno per abbandonare le ideologie ecclesiastiche, per trovare il senso della Santa Madre Chiesa, l’habitus ecclesiale. Ideologie ecclesiastiche, no; vocazione ecclesiale, sì. Il Signore, e non le nostre idee o i nostri progetti, dev’essere al centro. Ripartiamo da Dio, cerchiamo in Lui il coraggio di non fermarci davanti alle difficoltà, la forza di superare gli ostacoli, la gioia di vivere nella comunione e nella concordia.

I Magi non solo guardano la stella, le cose alte, ma hanno anche i piedi in cammino sulla terra. Essi si mettono in viaggio verso Gerusalemme, e chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Una cosa sola: i piedi collegati con la contemplazione. L’astro che brilla nel cielo li rimanda a percorrere le strade della terra; alzando il capo verso l’alto sono sospinti a scendere in basso; cercando Dio sono inviati a trovarlo nell’uomo, in un Bambino che giace in una mangiatoia, perché Dio che è l’infinitamente grande si è svelato in questo piccolo, infinitamente piccolo. Ci vuole saggezza, ci vuole l’assistenza dello Spirito Santo per capire la grandezza e la piccolezza nella manifestazione di Dio.

Fratelli e sorelle, i piedi in cammino sulla terra! Il dono della fede non ci è dato per restare a fissare il cielo (cfr At 1,11), ma per camminare sulle strade del mondo come testimoni del Vangelo; la luce che illumina la nostra vita, il Signore Gesù, non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fratelli. Contemplare Dio è bello, ma soltanto è fecondo se noi rischiamo, il rischio del servizio di portare Dio. I Magi cercano Dio, il grande Dio, e trovano un Bambino. Questo è importante: incontrare Dio in carne e ossa, nei volti che ogni giorno ci passano accanto, specialmente quelli dei più poveri. I Magi, infatti, ci insegnano che l’incontro con Dio sempre ci apre a una speranza più grande, che ci fa cambiare stile di vita e ci fa trasformare il mondo. Benedetto XVI affermava: «Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. […] Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti a un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi» (Omelia, 6 gennaio 2008).

Infine, pensiamo anche che i Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. Guardano la stella nel cielo, ma non si rifugiano in una devozione staccata dalla terra; si mettono in viaggio, ma non vagano come turisti senza meta. Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, «si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. «Con questi mistici doni fanno conoscere chi è colui che adorano: con l’oro dichiarano che egli è Re, con l’incenso che è Dio, con la mirra che è mortale» (S. Gregorio Magno, Omelia X nel giorno dell’Epifania, 6). Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. Il Dio che, «mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare […] in un angusto rifugio; debole nelle carni di un bambino, avvolto in panni da neonato veniva adorato dai magi e temuto dai malvagi» (S. Agostino, Discorsi, 200). Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. Riconosciamo Gesù come nostro Dio, come nostro Signore, e adoriamo. Oggi i Magi ci invitano ad adorare. Manca l’adorazione oggi tra noi.

Fratelli e sorelle, come i Magi, alziamo gli occhi al cielo, mettiamoci in cammino alla ricerca del Signore, pieghiamo il cuore in adorazione. Guardare il cielo, andare in cammino e adorare. E chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo, il coraggio della perseveranza nel camminare sulle strade del mondo, con la stanchezza del vero cammino, e il coraggio di adorare, il coraggio di guardare il Signore che illumina ogni uomo. Che il Signore ci dia questa grazia, soprattutto la grazia di saper adorare.

Ai membri di Unicoop Firenze e della Fondazione "Il cuore si scioglie" (5 gennaio 2024)

Ven, 05/01/2024 - 11:15

Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Saluto la Presidente e tutti voi. Sono contento di incontrarvi, così numerosi, alla vigilia dell’Epifania. Questa Festa, come tutto il Tempo di Natale, ci chiama a celebrare il mistero dell’Incarnazione del Signore: nel Bambino Gesù vediamo come Dio si è fatto vicino a noi nella nostra povertà (cfr Fil 2,6-7), indicandocela come via privilegiata per incontrarlo. E questo contesto spirituale è significativo anche per il vostro impegno, che da 50 anni, come Cooperativa, e da oltre dieci, come Fondazione, è rivolto alle persone più bisognose, in vari ambiti di servizio: dall’indigenza economica al bisogno di cultura, dalla solitudine all’esigenza di formazione, utilizzando, oltre ai consueti mezzi di aiuto finanziario e alimentare, tanti altri strumenti, come l’escursionismo, la letteratura, l’arte e la musica. Grazie, grazie di questo.

Unicoop Firenze è nata – cito lo Statuto – per «salvaguardare gli interessi dei consumatori, la loro salute e sicurezza anche accrescendone e migliorandone l’informazione e l’educazione» (n. 2). Così facendo, nel 2010 ha poi dato vita alla Fondazione “Il cuore si scioglie”, pensata per spingere le persone a fare qualcosa per gli altri: potremmo dire, usando un’espressione biblica, per favorire la formazione di “cuori di carne” al posto di “cuori di pietra” (cfr Ez 36,36). E questa è una cosa molto bella: il cuore è una fonte di conoscenza. Qualcuno mi dirà: “Ma no, Padre, noi conosciamo con la mente, con l’intelletto”. Questa, da sola, è una conoscenza incompleta. Senza il cuore non c’è conoscenza umana. Per conoscere, dobbiamo conoscere con la mente, con il cuore e poi fare con le mani. Non dimenticate i tre linguaggi: che la mente sia unita al cuore e alle mani, che il cuore sia unito alle mani, per fare, e alla mente; e che le mani siano al servizio del cuore e della mente. Non dimenticate questo, nel vostro agire.

E vorrei proprio fermarmi un momento a riflettere con voi sul valore di questo cammino. Infatti, considerando fin dall’inizio la tutela del consumatore al di sopra del suo semplice aspetto commerciale, voi siete arrivati a coglierne una dimensione umana fondamentale: quella di aiutare ciascuno a fare qualcosa per gli altri, cioè a vivere la carità, l’amore fattivo (cfr Lett. Enc. Fratelli tutti, 87). In questo modo ricordate che salvaguardare il bene della persona significa non solo prendersi cura di alcuni suoi interessi settoriali, ma promuoverne la piena realizzazione e dignità. E a questo livello l’incontro tra chi ha maggiori possibilità e chi invece è nell’indigenza, lungi dal ridursi a mera filantropia, costituisce sempre la provvidenziale opportunità per un arricchimento reciproco. Proponete così un modello di tutela che unisce i singoli non tanto “contro” la minaccia di un comune avversario, quanto “per” la costruzione di relazioni virtuose di reciproco sostegno (cfr ivi, 215). E tutto questo lo fate con tanta creatività, come avviene quando si lavora insieme animati da un sogno comune.

Essere vicino alle persone che noi aiutiamo, essere vicini. Quando, nelle confessioni, a volte domando alle persone: “Lei fa elemosina, aiuta?” – “Sì, sì” – “E mi dica, quando lei fa l’elemosina, guarda negli occhi la persona, tocca la mano, o butta i soldi lì?”. Toccare, toccare l’indigenza, toccare, un cuore che tocca; guardare e capire. Non dimenticatevi questo.

Cari amici, grazie per quello che fate, in Italia e all’estero; in particolare, in questo momento drammatico, a sostegno della martoriata Ucraina: è terribile, quello che succede lì! Grazie per la vostra collaborazione con il Dicastero per il Servizio della Carità, le cui attività sostenete da tempo. Continuate a puntare, nel vostro lavoro, allo sviluppo integrale della persona, alla crescita comunitaria nella condivisione di risorse e competenze, all’inclusione valorizzando ciò che ciascuno porta di proprio, per il bene di tutti. Vi benedico e vi auguro ogni bene per l’anno da poco iniziato. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me, pregare a favore, non contro! Grazie.

Ai Membri dell'Università Cattolica Sant'Antonio, di Murcia (Spagna) (4 gennaio 2024)

Gio, 04/01/2024 - 11:00

Cari amici, Eccellenza,

Sono lieto di accogliervi oggi in questa casa di Pietro, come rappresentanti dell’Università Cattolica di Murcia, con lo sguardo rivolto alla celebrazione del 25° anniversario della sua istituzione e al recente transito del suo fondatore José Luis Mendoza Pérez. Il vostro vescovo lo ha definito «un fratello, un credente, un testimone dell’amore di Dio, che ha voluto passare facendo il bene». Sono parole belle, nessuno è perfetto, ma tutti siamo capaci di amare, ed essere ricordati per questo è ciò che ci avvicina a Dio e alla sua misericordia.

Don José Luis ha voluto lasciare come eredità un’università «missionaria, evangelizzatrice e profondamente esistenziale», nata dal cuore della Chiesa e «animata dalla forza dell’Amore di Dio». Perché tutto ciò che il cristiano fa come membro di Cristo, di questa Chiesa che è nostra madre, deve essere missionario, evangelizzatore, e, proprio per questo, deve essere legato alla realtà umana, agli interrogativi profondi dell’uomo, essere esistenziale.

È questo il mio auspicio per tutti voi: che continuiate a lavorare dal cuore della Chiesa per portare Gesù Cristo a ogni uomo che si avvicina alle vostre aule, alle vostre vite, per formare persone capaci di accogliere Dio e di rendergli testimonianza in qualsiasi ambito, costruendo una società fraterna dove la Chiesa si percepisca nel buon agire dei suoi membri. Grazie per quello che fate!

Che Gesù vi benedica e la Vergine della Pietà vi custodisca. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

__________________________________________________

L'Osservatore Romano, Anno CLXIII n. 3, giovedì 4 gennaio 2024, p. 8.

Alla Delegazione dell'Associazione dei Giornalisti Cattolici Tedeschi (4 gennaio 2024)

Gio, 04/01/2024 - 10:30

Parole a braccio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Sono contento di accogliere voi, giornalisti tedeschi, che siete riuniti nella Gesellschaft katholischer Publizisten Deutschlands. Benvenuti qui tutti! Voi avete tra le mani il discorso che devo dire, lo avete nella vostra lingua. Io consegnerò l’originale italiano. E vi ringrazio, ringrazio per il vostro lavoro che non è facile, il lavoro di giornalista, è una cosa bella il comunicare. Auguro per tutti voi il meglio. Mi piacerebbe salutarvi adesso, e vi chiedo di pregare per me. Betet für mich, bitte! Diese Arbeit ist nicht einfach, nicht. Betet für mich. Aber betet “für”, nicht gegen. Vielen Dank für alles. Gott segne euch.

________________________________

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Grazie di essere venuti a Roma per celebrare il 75° anniversario della vostra associazione. La Gesellschaft katholischer Publizisten Deutschlands riunisce professionisti cattolici dei media, provenienti da vari settori, ecclesiali e civili. La comunicazione aiuta ad essere, come dice l’Apostolo Paolo, «membra gli uni degli altri» (Ef 4,25), chiamati a vivere in comunione all’interno di una rete di relazioni in continua espansione. Ciò è essenziale nella Chiesa, dove il legame con l’universalità si sviluppa e si armonizza in modo particolare attraverso il ministero del successore di Pietro.

La vostra Associazione si propone l’impegno per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e anche per la difesa della pace, della libertà e della dignità umana. Sono obiettivi quanto mai attuali! Quanti conflitti oggi, anziché essere estinti dal dialogo, sono alimentati da notizie false o da dichiarazioni incendiarie che passano attraverso i media! Perciò è ancora più importante che voi, forti delle vostre radici cristiane e della fede quotidianamente vissuta, “smilitarizzati” nel cuore dal Vangelo, sosteniate il disarmo del linguaggio. Questo è fondamentale: favorire toni di pace e di comprensione, costruire ponti, essere disponibili all’ascolto, esercitare una comunicazione rispettosa verso l’altro e le sue ragioni. C’è un bisogno urgente di questo nella società, ma anche la Chiesa necessita di una comunicazione «gentile e al contempo profetica» (Messaggio per la LVII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2023).

La Chiesa in Germania ha intrapreso un cammino sinodale, sul quale ho scritto una lettera nel 2019, che auspico sia più conosciuta, meditata e attuata, in quanto esprime due aspetti che ritengo fondamentali per non smarrirsi. Anzitutto la cura della dimensione spirituale, ovvero il concreto e costante adeguamento al Vangelo e non ai modelli del mondo, riscoprendo la conversione personale e comunitaria attraverso i Sacramenti e la preghiera, la docilità allo Spirito Santo e non allo spirito del tempo. E poi la dimensione universale, cattolica, per non concepire la vita di fede come qualcosa di relativo solo al proprio ambito culturale e nazionale. Fa bene, da questo punto di vista, la partecipazione al processo sinodale universale. I comunicatori cattolici hanno un ruolo prezioso da svolgere in tali situazioni: fornendo informazioni corrette, possono contribuire a chiarire malintesi e soprattutto ad evitare che essi sorgano, aiutando la comprensione reciproca e non le contrapposizioni.

In ogni caso, è importante non avere un atteggiamento introverso, ma “uscire” per portare il messaggio cristiano in ogni ambito della vita, utilizzando i mezzi e le possibilità oggi a disposizione. Una Chiesa che si occupa principalmente di sé stessa si ammala di autoreferenzialità. La Chiesa, invece, è missione, e i comunicatori cattolici non possono non coinvolgersi e rimanere, per così dire, “neutrali” rispetto al messaggio che trasmettono. Mi piace ricordare, in proposito, che «la neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco sé stesso può rappresentare un punto di riferimento» (Messaggio per la XLVIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2014).

Carissimi, voi provenite da un Paese prospero e sviluppato, ma anche lì si trovano, a volte nascosti, non pochi disagi. Penso al fenomeno della povertà infantile, a famiglie che non sanno come pagare le bollette e alla situazione di tanti migranti e rifugiati, che la Germania ha accolto in gran numero. Lì il Dio dell’amore aspetta la buona notizia della nostra carità: attende cristiani che escano e vadano verso le persone che stanno ai margini. E per questo c’è bisogno anche di comunicatori che diano risalto alle storie e ai volti di coloro a cui pochi o nessuno prestano attenzione. Quando comunicate, dunque, pensate sempre ai volti delle persone, specialmente dei poveri e dei semplici, e partite da loro, dalla loro realtà, dai loro drammi e dalle loro speranze, anche se farlo vuol dire andare controcorrente, e consumare le suole delle scarpe!

Sorelle e fratelli, vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro lavoro. Vi benedico di cuore. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Alla Delegazione di Giovani della "Fraternité Missionnaire des Cités" (4 gennaio 2024)

Gio, 04/01/2024 - 10:00

Parole a braccio

Merci beaucoup pour votre visite. Je suis hereux de vous recevoir.
Questo è il discorso che darò a voi, lo consegnerò, perché lo abbiate scritto.
E vi ringrazio tanto per questa visita, per questo atteggiamento gioioso. Perché sembra che voi non possiate parlare senza cantare! E che non possiate cantare senza muovervi! Cioè la parola che si fa danza. E' interessante questo!

___________________________

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Sono contento di incontrare voi membri della Fraternité missionnaire des Cités, durante il vostro pellegrinaggio a Roma. Siete venuti a ricaricarvi spiritualmente presso le tombe di San Pietro e di San Paolo, ad attingere alle sorgenti vive della Chiesa l’amore di Cristo che si dona incessantemente a tutti gli uomini. Che lo Spirito Santo, con l’esempio e l’intercessione di queste due colonne della Chiesa, faccia rivivere in voi lo slancio generoso e missionario della Chiesa dei primi tempi.

Mentre siamo ancora immersi nella luce del Natale, vi invito a contemplare il presepe. Vediamo un luogo semplice e povero, una periferia, una banlieue di quel tempo. I pastori che si recano alla culla sono degli emarginati con una cattiva reputazione. Eppure è a loro per primi che viene annunciato il Vangelo della salvezza. Sono poveri ma hanno il cuore disponibile. Questa è anche la vostra esperienza. E non dovete andare molto lontano, nel vostro servizio al cuore delle città, per scoprirvi le periferie esistenziali delle nostre società, che il più delle volte sono a portata di mano, nel vostro quartiere, all’angolo della strada, sullo stesso pianerottolo. Spetta a voi portare il messaggio che fu dato ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo» (Lc 2,10). Perciò, non abbiate paura di lasciare le vostre sicurezze per poter condividere la vita quotidiana dei vostri fratelli e sorelle. Anche tra loro, molti hanno il cuore disponibile e aspettano, senza saperlo, il lieto annuncio.

Cari amici, vi invito a vivere generosamente la fraternità in mezzo ai quartieri, a un’apertura dei cuori, delle mani, delle orecchie, per un’accoglienza sincera. La fraternità è il lievito di pace di cui hanno bisogno le periferie: essa permette a ciascuno di sentirsi accolto così com’è, là dove si trova. Vi esorto, in ogni vostro incontro, a scoprire nei fratelli la presenza del Signore Gesù, e a mostrare la presenza di un Dio compassionevole, un Dio che vuole esprimersi e agire attraverso i vostri gesti, le vostre parole, la vostra semplice presenza; un Dio paziente che si muove al passo di ogni persona, con le sue ferite, le sue ribellioni, la sua rabbia. So anche quanto la violenza, l’indifferenza e l’odio possano talvolta segnare i quartieri: oggi avete la missione coraggiosa e necessaria di portare la vicinanza, la compassione e la tenerezza di Dio a persone che spesso sono private di dignità e di amore.

Cari fratelli e sorelle, grazie per quello che fate, andate avanti! Affido ciascuno di voi e tutti i membri della vostra Fraternità all’intercessione della Vergine Maria, e vi benedico di cuore. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

Udienza Generale, 3 gennaio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 2. Il Combattimento spirituale

Mer, 03/01/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate:
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 2. Il Combattimento spirituale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La scorsa settimana ci siamo introdotti nel tema dei vizi e delle virtù. Esso richiama alla lotta spirituale del cristiano. Infatti, la vita spirituale del cristiano non è pacifica, lineare e priva di sfide; al contrario, la vita cristiana esige un continuo combattimento: il combattimento cristiano per conservare la fede, per arricchire i doni della fede in noi. Non a caso, la prima unzione che ogni cristiano riceve nel sacramento del Battesimo – l’unzione catecumenale – è senza alcun profumo e annuncia simbolicamente che la vita è una lotta. Infatti, nell’antichità, i lottatori, prima della gara, venivano completamente unti, sia per tonificare i muscoli, sia per rendere il corpo sfuggente alla presa dell’avversario. L’unzione dei catecumeni mette subito in chiaro che al cristiano non è risparmiata la lotta, che un cristiano deve lottare: anche la sua esistenza, come quella di tutti, dovrà scendere nell’arena, perché la vita è un avvicendarsi di prove e di tentazioni.

Un celebre detto attribuito ad Abba Antonio, il primo grande padre del monachesimo, recita così: “Togli le tentazioni e nessuno sarà salvato”. I santi non sono uomini a cui è stata risparmiata la tentazione, bensì persone ben coscienti del fatto che nella vita si affacciano ripetutamente le seduzioni del male, da smascherare e da respingere. Tutti noi abbiamo esperienza di questo, tutti noi: che ti viene un cattivo pensiero, che ti viene un desiderio di fare questo o di sparlare dell’altro… Tutti, tutti siamo tentati, e dobbiamo lottare per non cadere in queste tentazioni. Se qualcuno di voi non ha tentazioni lo dica, perché sarebbe una cosa straordinaria! Tutti abbiamo tentazioni, e tutti dobbiamo imparare come comportarci in queste situazioni.

Ci sono tante persone che si autoassolvono, che reputano di essere “a posto” – “No, io sono bravo, sono brava, io non ho questi problemi”. Ma nessuno di noi è a posto; se qualcuno si sente a posto, sta sognando; ognuno di noi ha tante cose da aggiustare, e ha pure da vigilare. E a volte succede che andiamo al sacramento della Riconciliazione e diciamo, con sincerità: “Padre, io non ricordo, non so se ho dei peccati…”. Ma questo è mancanza di conoscenza di ciò che succede nel cuore. Tutti siamo peccatori, tutti. E un po’ di esame di coscienza, un po’ di sguardo interiore ci farà bene. Altrimenti rischiamo di vivere nelle tenebre, perché ormai ci siamo assuefatti al buio e non sappiamo più distinguere il bene dal male. Isacco di Ninive diceva che nella Chiesa chi conosce i propri peccati e li piange è più grande di chi risuscita un morto. Tutti dobbiamo chiedere a Dio la grazia di riconoscerci poveri peccatori, bisognosi di conversione, conservando nel cuore la fiducia che nessun peccato è troppo grande per l’infinita misericordia di Dio Padre. Questa è la lezione inaugurale che Gesù ci regala.

Lo vediamo nelle prime pagine dei Vangeli, anzitutto quando ci viene raccontato il battesimo del Messia nelle acque del fiume Giordano. L’episodio ha in sé qualcosa di sconcertante: perché Gesù si sottomette a un simile rito di purificazione? Lui è Dio, è perfetto! Di quale peccato deve mai pentirsi Gesù? Nessuno! Anche il Battista è scandalizzato, al punto che il testo dice: «Giovanni voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”» (Mt 3,15). Ma Gesù è un Messia molto diverso da come Giovanni lo aveva presentato e la gente lo immaginava: Egli non incarna il Dio adirato e non convoca per il giudizio, ma, al contrario, si mette in coda con i peccatori. Come mai? Sì, Gesù ci accompagna, tutti noi peccatori. Lui non è peccatore, ma è fra noi. E questa è una cosa bella. “Padre, ho tanti peccati!” – “Ma Gesù è con te: parlane, Lui ti aiuterà a uscirne”. Gesù mai ci lascia da soli, mai! Pensate bene questo. “Oh, Padre, io ne ho fatte delle grosse!” – “Ma Gesù ti capisce e ti accompagna: capisce il tuo peccato e lo perdona”. Mai dimenticare questo! Nei momenti più brutti, nei momenti in cui scivoliamo sui peccati, Gesù è accanto a noi per aiutarci a sollevarci. Questo dà consolazione. Non dobbiamo perdere questa certezza: Gesù è accanto a noi per aiutarci, per proteggerci, anche per rialzarci dopo il peccato. “Ma, Padre, è vero che Gesù perdona tutto?” – “Tutto. Lui è venuto per perdonare, per salvare. Soltanto, Gesù vuole il tuo cuore aperto”. Mai Lui si dimentica di perdonare: siamo noi, tante volte, che perdiamo la capacità di chiedere perdono. Riprendiamo questa capacità di chiedere perdono. Ognuno di noi ha tante cose per cui chiedere perdono: ognuno la pensi dentro di sé, e oggi ne parli con Gesù. Parli con Gesù su questo: “Signore, io non so se questo è vero o no, ma io sono certo che Tu non ti allontani da me. Sono certo che Tu mi perdoni. Signore, io sono peccatore, peccatrice, ma per favore non allontanarti”. Questa sarebbe oggi una bella preghiera a Gesù: “Signore, non allontanarti da me”.

E subito dopo l’episodio del battesimo, i Vangeli raccontano che Gesù si ritira nel deserto, dove viene tentato da Satana. Anche in questo caso ci si chiede: per quale ragione il Figlio di Dio deve conoscere la tentazione? Anche in questo caso, Gesù si mostra solidale con la nostra fragile natura umana e diventa il nostro grande exemplum: le tentazioni che attraversa e che vince tra le pietre aride del deserto sono la prima istruzione che consegna alla nostra vita di discepoli. Egli ha sperimentato ciò che anche noi dobbiamo sempre prepararci ad affrontare: la vita è fatta di sfide, di prove, di bivi, di visioni che si contrappongono, di seduzioni nascoste, di voci contraddittorie. Qualche voce è perfino suadente, tant’è vero che Satana tenta Gesù facendo ricorso alle parole della Scrittura. Bisogna custodire la lucidità interiore per scegliere la strada che ci conduce davvero alla felicità, e poi impegnarsi per non fermarsi lungo il cammino.

Ricordiamoci che siamo sempre combattuti tra estremi opposti: la superbia sfida l’umiltà; l’odio contrasta la carità; la tristezza osteggia la vera gioia dello Spirito; l’indurimento del cuore respinge la misericordia. I cristiani camminano di continuo su questi crinali. Perciò è importante riflettere sui vizi e sulle virtù: ci aiuta a vincere la cultura nichilista in cui i contorni tra il bene e il male rimangono sfumati e, al contempo, ci ricorda che l’essere umano, a differenza di ogni altra creatura, può sempre trascendere sé stesso, aprendosi a Dio e camminando verso la santità.

Il combattimento spirituale, allora, ci conduce a guardare da vicino quei vizi che ci incatenano e a camminare, con la grazia di Dio, verso quelle virtù che possono fiorire in noi, portando la primavera dello Spirito nella nostra vita.

____________________________________________

Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française. Je souhaite à chacun de vous et aux personnes qui vous sont chères une heureuse année riche de la présence du Seigneur Jésus, afin de mener une vie belle et bonne sous le regard de Dieu. Que Dieu vous bénisse.

[Porgo i miei più cordiali saluti ai pellegrini di lingua francese. Auguro a ciascuno di voi e ai vostri cari un felice anno nuovo, ricco della presenza del Signore Gesù per condurre una vita buona e bella al cospetto di Dio. Dio vi benedica.]

I extend a warm welcome to the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially the groups from Malta and the United States of America. I renew my spiritual closeness to all affected by the recent earthquake in Japan, and likewise to the victims of the collision of two aircraft yesterday at Tokyo’s airport.  I also pray for their families and for the emergency personnel. May you and your families cherish the joy of this Christmas season, and draw near in prayer to the Saviour who has come to dwell among us. God bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente ai gruppi provenienti da Malta e dagli Stati Uniti d’America. Rinnovo la mia vicinanza spirituale a quanti sono stati colpiti dal recente terremoto in Giappone, come pure alle vittime della collisione di due aerei avvenuta ieri all’aeroporto di Tokyo. Prego anche per i loro familiari e per i soccorritori. A voi e alle vostre famiglie auguro di custodire la gioia di questo tempo di Natale, incontrando nella preghiera il Salvatore che desidera farsi vicino a tutti. Dio vi benedica!]

Von Herzen grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Im Vertrauen auf die Fürsprache der Mutter Gottes, die auch unsere Mutter ist, erbitte ich euch Gottes Schutz und Weggeleit im neuen Jahr!

[Saluto di cuore i pellegrini e i visitatori di lingua tedesca. Confidando nell’intercessione della Madre di Dio, che è anche nostra Madre, prego affinché il Signore vi protegga e vi accompagni sul vostro cammino nel nuovo anno!]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Hoy recordamos la fiesta del Santo Nombre de Jesús, pidamos al Señor luz para mantenernos en el camino del bien y su gracia para perseverar en él, sin temer los desafíos y las pruebas. Que Dios los bendiga y la Virgen santa los cuide. Muchas gracias.

Caros peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos. O Senhor Jesus não se cansa de nos apontar os caminhos da felicidade, conduzindo-nos ao Pai. Juntos com Ele, conseguiremos vencer as seduções do mal e guardar em nós a alegria do Espírito Santo. Deus vos abençoe!

[Cari pellegrini di lingua portoghese, benvenuti. Il Signore Gesù non si stanca di indicarci le vie della felicità, guidandoci al Padre. Insieme a Lui, riusciremo a vincere le seduzioni del male e a custodire in noi la gioia dello Spirito Santo. Dio vi benedica!]

أُحَيِّي المؤمِنينَ النَّاطِقينَ باللّغَةِ العربِيَّة. معَ بدايةِ السَّنةِ الجديدة، أدعوكُم إلى أنْ تُحافِظُوا على الصَّلاةِ والتَّوبةِ في حياتِكِم، حتَّى تَجِدُوا فيها السَّلامَ والفرحَ اللذَين يُريدُهما اللهُ لنا. باركَكُم الرّبُّ جَميعًا وحَماكُم دائِمًا مِن كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Con l’inizio del nuovo anno, vi invito a mantenere la preghiera e la penitenza nella vostra vita, affinché possiate trovare in essa la pace e la gioia che Dio vuole per noi. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎‎‎‏!]

Serdecznie pozdrawiam pielgrzymów polskich. Bracia i siostry, na progu nowego roku oddajmy swe życie Bogu. Prośmy, by obdarzył nas sercem wrażliwym na potrzeby biednych, uchodźców i ofiar wojen. Przez wstawiennictwo Maryi, Bożej Rodzicielki, proszę Pana o dar pokoju, i z serca wam błogosławię!

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Fratelli e sorelle, alla soglia di un nuovo anno, doniamo la nostra vita a Dio. Preghiamo che ci conceda un cuore sensibile alle necessità dei poveri, rifugiati e vittime della guerra. Per intercessione di Maria, Madre di Dio, chiedo al Signore il dono della pace, e vi benedico di cuore!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Con particolare affetto saluto i cresimandi e gli adolescenti della diocesi di Latina – ecco il Vescovo, lì –: cari ragazzi, come Maria, sappiate custodire, meditare e seguire il Verbo che a Betlemme si è fatto carne, per diffonderne tra i vostri amici e compagni il messaggio di bontà e di pace. Avete capito bene?

Saluto i sacerdoti di Modena che ricordano il 40° di ordinazione, incoraggiandoli a perseverare nel cammino di fedeltà al Signore.

Un pensiero speciale va poi ai vari gruppi parrocchiali, in particolare al Comitato festa della Madonna della Libera, di Pratola Peligna e ai fedeli di Vieste e Osteria Nuova.

E non dimentichiamo i popoli che sono in guerra. La guerra è una pazzia, sempre la guerra è una sconfitta! Preghiamo. Preghiamo per la gente in Palestina, in Israele, in Ucraina e in tanti altri posti dove c’è la guerra. E non dimentichiamo i nostri fratelli Rohingya, che sono perseguitati.

Mi rivolgo infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli: tutti esorto a proseguire nella fedele adesione a Cristo Gesù e nel generoso sostegno alla diffusione del suo Vangelo.

A tutti voi la mia Benedizione! Grazie.

Angelus, 1° gennaio 2024, Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio

Lun, 01/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buon anno!

In questo giorno, nel quale celebriamo Maria Santissima Madre di Dio, poniamo sotto il suo sguardo premuroso il nuovo tempo che ci è donato. Che lei ci custodisca in quest’anno.

Oggi il Vangelo ci svela che la grandezza di Maria non consiste nel compiere qualche azione straordinaria; piuttosto, mentre i pastori, ricevuto l’annuncio dagli angeli, si affrettano verso Betlemme (cfr Lc 2,15-16), lei rimane in silenzio. È un bel tratto il silenzio della Madre. Non si tratta di una semplice assenza di parole, ma di un silenzio colmo di stupore e di adorazione per le meraviglie che Dio sta operando. «Maria – annota San Luca – […] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (2,19). In tal modo ella fa spazio in sé a Colui che è nato; nel silenzio e nell’adorazione, mette Gesù al centro e lo testimonia come Salvatore. Maria, la Madre del silenzio; Maria, la Madre dell’adorazione.

Così è Madre non solo perché ha portato Gesù in grembo e lo ha partorito, ma perché lo mette in luce, senza occuparne il posto. Starà in silenzio anche sotto la croce, nell’ora più buia, e continuerà a fare spazio a Lui e a generarlo per noi. Un religioso e poeta del Novecento ha scritto: «Vergine, cattedrale del Silenzio / […] tu porti la nostra carne in paradiso / e Dio nella carne» (D.M. Turoldo, Laudario alla Vergine. «Via pulchritudinis», Bologna 1980, 35). Cattedrale del silenzio: è una bella immagine. Col suo silenzio e la sua umiltà, Maria è la prima “cattedrale” di Dio, il luogo in cui Lui e l’uomo possono incontrarsi.

Ma anche le nostre mamme, con la loro cura nascosta, con la loro premura, sono spesso magnifiche cattedrali del silenzio. Ci mettono al mondo e poi continuano a seguirci, tante volte inosservate, perché noi possiamo crescere. Ricordiamoci questo: l’amore non soffoca mai, l’amore fa spazio all’altro. L’amore ci fa crescere.

Fratelli e sorelle, all’inizio del nuovo anno guardiamo a Maria e, con il cuore grato, pensiamo e guardiamo anche alle madri, per imparare quell’amore che si coltiva soprattutto nel silenzio, che sa fare spazio all’altro, rispettando la sua dignità, lasciando la libertà di esprimersi, rigettando ogni forma di possesso, sopraffazione e violenza. C’è tanto bisogno di questo oggi, tanto! Tanto bisogno di silenzio per ascoltarsi. Come ricorda il Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale della Pace: «La libertà e la convivenza pacifica sono minacciate quando gli esseri umani cedono alla tentazione dell’egoismo, dell’interesse personale, della brama di profitto e della sete di potere». L’amore, invece, è fatto di rispetto, è fatto di gentilezza: in questo modo abbatte le barriere e aiuta a vivere relazioni fraterne, a edificare società più giuste, più umane, più pacifiche.

Preghiamo oggi la Santa Madre di Dio e Madre nostra, perché nel nuovo anno possiamo crescere in questo amore mite, silenzioso e discreto che genera vita, e aprire nel mondo sentieri di pace e di riconciliazione.

_______________________

Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

ringrazio il Signor Presidente della Repubblica Italiana per le espressioni augurali che mi ha indirizzato nel suo Messaggio di fine anno; le ricambio di cuore invocando la benedizione del Signore sul suo servizio al Paese.

Seguo con viva preoccupazione quanto sta avvenendo in Nicaragua, dove Vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà. Esprimo ad essi, alle loro famiglie e all’intera Chiesa nel Paese la mia vicinanza nella preghiera. Alla preghiera insistente invito pure tutti voi qui presenti e tutto il Popolo di Dio, mentre auspico che si cerchi sempre il cammino del dialogo per superare le difficoltà. Preghiamo per il Nicaragua oggi.

I miei auguri sono in particolare per voi, cari romani e pellegrini che oggi siete qui in Piazza San Pietro. Saluto i partecipanti alla manifestazione “Pace in tutte le terre”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, anche in altre città del mondo; come pure il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta. E ricordo con gratitudine le innumerevoli iniziative di preghiera e di impegno per la pace che in questa Giornata si svolgono in tutti i continenti, promosse dalle comunità ecclesiali; in particolare menziono quella a livello nazionale che ieri sera ha avuto luogo a Gorizia.

E per favore, non dimentichiamo l’Ucraina, la Palestina, Israele, che sono in guerra. Preghiamo affinché avvenga la pace, tutti insieme.

Saluto il coro dei ragazzi polacchi e ucraini che hanno portato un messaggio di pace nei santuari francescani di Toscana, Umbria e Lazio; così come gli studenti del “Manhattan College” di New York, il gruppo della Fraterna Domus e i fedeli di La Valletta Brianza e Casatenovo.

La Vergine Maria, la Santa Madre di Dio, sostenga con la sua materna intercessione il proposito e l’impegno di essere operatori di pace ogni giorno, in ogni giorno del nuovo anno: tutti i giorni operatori di pace, portare pace. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 

Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio (1° gennaio 2024)

Lun, 01/01/2024 - 10:00

Le parole dell’apostolo Paolo illuminano l’inizio del nuovo anno: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Colpisce l’espressione “pienezza del tempo”. Anticamente si usava misurare il tempo svuotando e riempiendo delle anfore: quando erano vuote cominciava un nuovo lasso di tempo, che terminava quando erano piene. Ecco la pienezza del tempo: quando l’anfora della storia è colma, la grazia divina trabocca: Dio si fa uomo e lo fa nel segno di una donna, Maria. Lei è la via scelta da Dio; lei è il punto di arrivo di tante persone e generazioni che, “goccia dopo goccia”, hanno preparato la venuta del Signore nel mondo. La Madre sta così al cuore del tempo: a Dio è piaciuto far svoltare la storia attraverso di lei, la donna. Con questa parola la Scrittura ci rimanda alle origini, alla Genesi, e ci suggerisce che la Madre con il Bambino segna una nuova creazione, un nuovo inizio. Al principio del tempo della salvezza c’è dunque la Santa Madre di Dio, la nostra Madre santa.

È bello allora che l’anno si apra invocandola; è bello che il Popolo fedele, come un tempo a Efeso – erano coraggiosi quei cristiani! – proclami con gioia la Santa Madre di Dio. Le parole Madre di Dio esprimono infatti la gioiosa certezza che il Signore, tenero Bimbo in braccio alla mamma, si è unito per sempre alla nostra umanità, al punto che essa non è più solo nostra, ma sua. Madre di Dio: poche parole per confessare l’alleanza eterna del Signore con noi. Madre di Dio: è un dogma di fede, ma è pure un “dogma di speranza”: Dio nell’uomo e l’uomo in Dio, per sempre. La Santa Madre di Dio.

Nella pienezza del tempo il Padre mandò il suo Figlio nato da donna; ma il testo di San Paolo aggiunge un secondo invio: «Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). E anche nell’invio dello Spirito la Madre è protagonista: lo Spirito Santo comincia a posarsi su di lei nell’Annunciazione (cfr Lc 1,35), poi agli inizi della Chiesa discende sugli Apostoli riuniti in preghiera «con Maria, la Madre» (At 1,14). Così l’accoglienza di Maria ci ha portato i doni più grandi: lei ha «reso nostro fratello il Signore della maestà» (Tommaso da Celano, Vita seconda, CL, 198: FF 786) e ha permesso allo Spirito di gridare nei nostri cuori: “Abbà, Papà!”. La maternità di Maria è la via per incontrare la tenerezza paterna di Dio, la via più vicina, più diretta, più facile. Questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. La Madre, infatti, ci conduce all’inizio e al cuore della fede, che non è una teoria o un impegno, ma un dono immenso, che ci fa figli amati, dimore dell’amore del Padre. Perciò accogliere nella propria vita la Madre non è una scelta di devozione, ma è un’esigenza di fede: «Se vogliamo essere cristiani, dobbiamo essere mariani» (S. Paolo VI, Omelia a Cagliari, 24 aprile 1970), cioè figli di Maria.

Di Maria la Chiesa ha bisogno per riscoprire il proprio volto femminile: per assomigliare maggiormente a lei che, donna, Vergine e Madre, ne rappresenta il modello e la figura perfetta (cfr Lumen gentium, 63); per fare spazio alle donne ed essere generativa attraverso una pastorale fatta di cura e di sollecitudine, di pazienza e di coraggio materno. Ma anche il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono. E ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna.

Maria, la donna, come è decisiva nella pienezza del tempo, così è determinante per la vita di ognuno; perché nessuno meglio della Madre conosce i tempi e le urgenze dei figli. Ce lo mostra ancora una volta un “inizio”, il primo segno compiuto da Gesù, alle nozze di Cana. Lì è proprio Maria ad accorgersi che manca il vino e a rivolgersi a Lui (cfr Gv 2,3). Sono i bisogni dei figli che muovono lei, la Madre, a spingere Gesù a intervenire. E a Cana Gesù dice: «Riempite d’acqua le anfore; e le riempirono fino all’orlo» (Gv 2,7). Maria, che conosce le nostre necessità, affretta anche per noi i traboccamenti della grazia e porta le nostre vite verso la pienezza. Fratelli, sorelle, noi tutti abbiamo delle mancanze, delle solitudini, dei vuoti che chiedono di essere colmati. Ognuno di noi conosce i propri. Chi può colmarli se non Maria, Madre della pienezza? Quando siamo tentati di chiuderci in noi stessi, andiamo da lei; quando non riusciamo a districarci tra i nodi della vita, cerchiamo rifugio in lei. I nostri tempi, vuoti di pace, hanno bisogno di una Madre che ricompatti la famiglia umana. Guardiamo a Maria per diventare costruttori di unità, e facciamolo con la sua creatività di Madre, che si prende cura dei figli: li raduna e li consola, ne ascolta le pene e ne asciuga le lacrime. E guardiamo quell’icona così tenera della Virgo lactans [dell’Abbazia di Montevergine]. Così è la mamma: con quanta tenerezza ci accudisce ed è vicina a noi. Ci accudisce ed è vicina a noi.

Affidiamo il nuovo anno alla Madre di Dio. Consacriamole le nostre vite. Lei, con tenerezza, saprà dischiuderne la pienezza. Perché ci condurrà a Gesù e Gesù è la pienezza del tempo, di ogni tempo, del nostro tempo, del tempo di ognuno di noi. Infatti, come è stato scritto, “non è stata la pienezza dei tempi a far sì che il Figlio di Dio fosse inviato, ma al contrario, l’invio del Figlio ha fatto scaturire la pienezza dei tempi” (cfr M. Lutero, Vorlesung über den Galaterbrief 1516-1517, 18). Fratelli e sorelle, sia quest’anno pieno della consolazione del Signore; sia quest’anno colmo della tenerezza materna di Maria, la Santa Madre di Dio.

E vi invito adesso a proclamare tutti insieme, per tre volte: Santa Madre di Dio! Insieme: Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio!

Celebrazione dei Vespri e Te Deum in ringraziamento per l'anno trascorso (31 dicembre 2023)

Dom, 31/12/2023 - 17:00

La fede ci permette di vivere quest’ora in modo diverso rispetto a una mentalità mondana. La fede in Gesù Cristo, Dio incarnato, nato dalla Vergine Maria, dona un modo nuovo di sentire il tempo e la vita. Lo riassumerei in due parole: gratitudine e speranza.

Qualcuno potrebbe dire: “Ma non è quello che fanno tutti in quest’ultima sera dell’anno? Tutti ringraziano, tutti sperano, credenti o non credenti”. Forse può sembrare che sia così, e magari lo fosse! Ma, in realtà, la gratitudine mondana, la speranza mondana sono apparenti; mancano della dimensione essenziale che è quella della relazione con l’Altro e con gli altri, con Dio e con i fratelli. Sono appiattite sull’io, sui suoi interessi, e così hanno il fiato corto, non vanno oltre la soddisfazione e l’ottimismo.

Invece in questa Liturgia si respira tutta un’altra atmosfera: quella della lode, dello stupore, della riconoscenza. E ciò accade non per la maestosità della Basilica, non per le luci e per i canti – queste cose ne sono piuttosto la conseguenza –, ma per il Mistero che l’antifona al primo salmo ha espresso così: «Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; […] ci dona la sua divinità». Questo meraviglioso scambio!

La liturgia ci fa entrare nei sentimenti della Chiesa; e la Chiesa, per così dire, li impara dalla Vergine Madre.

Pensiamo a quale sarà stata la gratitudine nel cuore di Maria mentre guardava Gesù appena nato. È un’esperienza che solo una mamma può fare, e che tuttavia in lei, nella Madre di Dio, ha una profondità unica, incomparabile. Maria sa, lei sola insieme a Giuseppe, da dove viene quel Bambino. Eppure è lì, respira, piange, ha bisogno di mangiare, di essere coperto, accudito. Il Mistero dà spazio alla gratitudine, che affiora nella contemplazione del dono, nella gratuità, mentre soffoca nell’ansia dell’avere e dell’apparire.

La Chiesa impara dalla Vergine Madre la gratitudine. E impara anche la speranza. Viene da pensare che Dio abbia scelto lei, Maria di Nazaret, perché nel suo cuore ha visto rispecchiata la propria speranza. Quella che Lui stesso aveva infuso in lei con il suo Spirito. Maria è da sempre colmata di amore, colmata di grazia, e per questo è anche colmata di fiducia e di speranza.

Quello di Maria e della Chiesa non è ottimismo, è un’altra cosa: è fede nel Dio fedele alle sue promesse (cfr Lc 1,55); e questa fede assume la forma della speranza nella dimensione del tempo, potremmo dire “in cammino”. Il cristiano, come Maria, è un pellegrino di speranza. E proprio questo sarà il tema del Giubileo del 2025: “Pellegrini di speranza”.

Cari fratelli e sorelle, possiamo chiederci: Roma si sta preparando a diventare nell’Anno Santo “città della speranza”? Tutti sappiamo che da tempo è in atto l’organizzazione del Giubileo. Ma comprendiamo bene che, nella prospettiva che qui assumiamo, non si tratta principalmente di questo; si tratta piuttosto della testimonianza della comunità ecclesiale e civile; testimonianza che, più che negli eventi, consiste nello stile di vita, nella qualità etica e spirituale della convivenza. E allora la domanda si può formulare così: stiamo operando, ciascuno nel proprio ambito, affinché questa città sia segno di speranza per chi vi abita e per quanti la visitano?

Un esempio. Entrare in Piazza San Pietro e vedere che, nell’abbraccio del Colonnato, si muovono liberamente e serenamente persone di ogni nazionalità, di ogni cultura e religione, è un’esperienza che infonde speranza; ma è importante che essa sia confermata da una buona accoglienza nella visita alla Basilica, come pure nei servizi di informazione. Un altro esempio: il fascino del centro storico di Roma è perenne e universale; ma bisogna che possano goderlo anche le persone anziane o con qualche disabilità motoria; e occorre che alla “grande bellezza” corrispondano il semplice decoro e la normale funzionalità nei luoghi e nelle situazioni della vita ordinaria, feriale. Perché una città più vivibile per i suoi cittadini è anche più accogliente per tutti.

Cari fratelli e sorelle, un pellegrinaggio, specialmente se impegnativo, richiede una buona preparazione. Per questo l’anno prossimo, che precede il Giubileo, è dedicato alla preghiera. Tutto un anno dedicato alla preghiera. E quale maestra migliore potremmo avere della nostra Santa Madre? Mettiamoci alla sua scuola: impariamo da lei a vivere ogni giorno, ogni momento, ogni occupazione con lo sguardo interiore rivolto a Gesù. Gioie e dolori, soddisfazioni e problemi. Tutto alla presenza e con la grazia di Gesù, il Signore. Tutto con gratitudine e speranza.

Angelus, 31 dicembre 2023

Dom, 31/12/2023 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi celebriamo la festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Il Vangelo ce la mostra al tempio di Gerusalemme, per la presentazione del Bambino al Signore (cfr Lc 2,22-40).

Arriva al tempio e lì porta in dono l’offerta più umile e semplice tra quelle previste, a testimonianza della sua povertà. Infine, Maria riceve una profezia: «A te una spada trafiggerà l’anima» (v. 35). Arrivano nella povertà e ripartono con un carico di sofferenza. Ciò desta sorpresa: ma come, la Famiglia di Gesù, l’unica famiglia della storia che può vantare in sé stessa la presenza di Dio in carne e ossa, anziché essere ricca è povera! Anziché essere agevolata, sembra ostacolata! Anziché essere priva di fatiche, è immersa in grandi dolori!

Che cosa dice questo alle nostre famiglie, questo modo di vivere, la storia della Santa Famiglia, povera, ostacolata, con grandi dolori? Ci dice una cosa molto bella: Dio, che spesso immaginiamo stia al di là dei problemi, è venuto ad abitare la nostra vita con i suoi problemi. Lui ci ha salvato così: non è venuto già adulto, ma piccolissimo; ha vissuto in famiglia, figlio di una mamma e di un papà; lì ha trascorso la maggior parte del suo tempo, crescendo, imparando, in una vita fatta di quotidianità, nascondimento e silenzio. E non ha evitato le difficoltà, anzi, scegliendo una famiglia, una famiglia “esperta nel soffrire”, e dice alle nostre famiglie: “Se vi trovate in difficoltà, io so che cosa provate, l’ho vissuto: io, mia madre e mio padre l’abbiamo provato per dire anche alla vostra famiglia: non siete soli!”.

Giuseppe e Maria “si stupivano delle cose che si dicevano di Gesù” (cfr Lc 2,33), perché non pensavano che ci fossero il vecchio Simeone e la profetessa Anna a dire queste cose. Si stupivano. E voglio fermarmi su questo oggi: sulla capacità di stupore. La capacità di stupore è un segreto per andare avanti bene in famiglia. Non abituarsi all’ordinarietà delle cose. Sapersi anzitutto stupire di Dio, che ci accompagna. E poi, stupirsi in famiglia. Penso che è bene nella coppia sapersi stupire del proprio coniuge, ad esempio prendendolo per mano e guardandolo negli occhi alla sera per qualche istante, con tenerezza: lo stupore ti porta alla tenerezza, sempre. È bella la tenerezza nel matrimonio. E poi stupirsi del miracolo della vita, dei figli, trovando il tempo per giocare con loro e per ascoltarli. Domando a voi, padri e madri: trovate del tempo per giocare con i figli? Per portarli a passeggiare? Ieri ho sentito al telefono una persona e le ho chiesto: “Dove sei?” – “Sono in piazza, ho portato a passeggiare i miei figli”. È una bella paternità e maternità, questa. E poi, stupirsi della saggezza dei nonni. Tante volte, noi i nonni li tiriamo fuori dalla vita. No, i nonni sono fonti di saggezza. Impariamo a stupirci della saggezza dei nonni, della loro storia. I nonni che riportano la vita all’essenziale. E stupirsi, infine, della propria storia d’amore – ognuno di noi ha la propria: il Signore ci ha fatto camminare con amore, stupirsi di questo. La nostra vita ha sicuramente degli aspetti negativi, ma stupirsi anche della bontà di Dio di camminare con noi, anche se noi siamo così inesperti.

Maria, Regina della famiglia, ci aiuti a stupirci: chiediamo oggi la grazia dello stupore. La Madonna ci aiuti a stupirci ogni giorno del bene e a sapere insegnare agli altri la bellezza dello stupore.

_________________________

Dopo l’Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Purtroppo la celebrazione del Natale in Nigeria è stata segnata da gravi violenze nello Stato di Plateau, con molte vittime. Prego per loro e per le loro famiglie. Che Dio liberi la Nigeria da questi orrori! E prego anche per quanti hanno perso la vita nell’esplosione di un camion-cisterna in Liberia.

Continuiamo a pregare per i popoli che soffrono a causa delle guerre: il martoriato popolo ucraino, i popoli palestinese e israeliano, il popolo sudanese e tanti altri. Al termine di un anno, si abbia il coraggio di chiedersi: quante vite umane sono state spezzate dai conflitti armati? Quanti morti? E quante distruzioni, quanta sofferenza, quanta povertà? Chi ha interessi in questi conflitti, ascolti la voce della coscienza. E non dimentichiamo i martoriati Rohingya!

Un anno fa Papa Benedetto XVI concludeva il suo cammino terreno, dopo aver servito con amore e sapienza la Chiesa. Sentiamo per lui tanto affetto, tanta gratitudine, tanta ammirazione. Dal Cielo ci benedica e ci accompagni. Un applauso a Benedetto XVI!

Saluto tutti i romani, i pellegrini, i gruppi parrocchiali, le associazioni e i giovani. Oggi rivolgo un saluto speciale alle famiglie qui presenti e a quelle collegate mediante la televisione e gli altri mezzi di comunicazione. Non dimentichiamo che la famiglia è la cellula fondamentale della società: bisogna sempre difenderla e sostenerla, sempre!

Saluto la squadra nazionale italiana maschile di pallavolo under 18; e saluto i figuranti del Presepe vivente di Marcellano, in Umbria.

E a tutti auguro una buona domenica. Una benedizione alle vostre famiglie! E auguro anche un fine anno sereno. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Pagine