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Benvenuto popolo di Ac

34 min 39 sec fa

Ci sono tutti. Davvero tutti. Benvenuto popolo di Ac. Mille delegati in questa XVIII Assemblea nazionale dell’Azione cattolica che hanno macinato chilometri per essere qui, a casa loro. Proprio tutti.

In rappresentanza di quei duecentoventunomila e passa soci (ma con i “simpatizzanti” si arriva a settecentocinquantamila: sono le cifre dell’ormai famoso Bilancio di sostenibilità dell’Ac, diventato una sorta di Bibbia aggiunta, che quest’anno è stato pure premiato dal Corriere della Sera come uno dei migliori bilanci di sostenibilità del Paese) che donano, ogni santo giorno, passione, ore, lavoro, gratuità, sorriso, amicizia, relazioni buone. Già, quarantaduemila educatori sparsi per l’Italia, dal più piccolo borgo alla grande metropoli, che ci sono, c’erano, e, per fortuna, ci saranno sempre.

Ci siamo perché amiamo il Paese e la Chiesa

I volti della XVIII Assemblea nazionale sono volti di chi non si arrende, di chi è resiliente, di chi crede che il servizio al Paese e alla Chiesa sia una cosa seria. Un impegno personale, certo, ma anche un attestato di fiducia per il bene comune, per la “cosa” pubblica che appassiona e rende forte e credibile il popolo di Ac.

I volti della XVIII Assemblea 

I volti della XVIII Assemblea profumano di nuovo. Ci sono i novizi e le novizie (ma non in senso religioso, eh…) della “prima” volta, emozionati/e come non mai. Non manca chi le assemblee le conosce già da un po’ di tempo. Ci sono quelli poi, che all’Assemblea nazionale vogliono starci a prescindere, e si inventano mille modi per esserci, invitati, “imbucati”, amici degli amici, compaesani, mogli, mariti e parenti, figli piccoli con carrozzine al seguito.

E tante belle ragazze, per fortuna (e anche bei ragazzi, s’intende): non se ne vedevano così dai tempi della Barelli e di Carretto. Il profumo di Dio è anche uno sguardo sorridente, giovanile, fresco, gioviale, pieno di entusiasmo. E sappiamo bene quanto di questo entusiasmo abbiamo bisogno, noi, oggi.

Ci sono i veterani/dipendenti del Centro nazionale, tipo soldati della Grande Guerra, che hanno superato gli “anta” (ma non i quaranta o i cinquanta…) e resistono stoicamente al super lavoro di queste quattro giornate sapendo che ogni tre anni gli tocca. Un sorriso è per tutti, ci mancherebbe.

Alla Fraterna Domus

Ci sono quelli venuti in pullman, in macchina, anche con il trattore – eh sì, perché arrivare in questa landa solitaria della Fraterna Domus a Sacrofano, in aperta campagna sulla direttrice Roma Nord, può succedere che il Gps dell’auto non piglia e quindi i contadini della zona vengono in soccorso –, quelli che arrivano in treno e poi provano il brivido del famoso trenino Roma-Viterbo, carrozze di altri tempi, con fermata obbligatoria a Montebello che magari non sanno che è la fermata del più grande cimitero d’Italia, quello di Prima Porta.

Quelli che arrivano trafelati…

Quelli che arrivano in bici, quelli in cammino, perché la strada che porta alla Fraterna Domus sembra uno dei sentieri del Cammino di Santiago di Compostela.

Ci sono quelli che non avevano previsto il freddo polare di questi giorni, e si sono presentati in t-shirt a manica corta. Poveri! Non sanno che già alla fermata di Prima Porta la temperatura, rispetto a Roma centro, è già di due gradi in meno, che poi scende in modo inesorabile quando ci si inoltra verso le valli oscure della Sacrofanese, altri tre gradi in meno. Ma per l’Ac, questo e altro!

Testimoni di tutte le cose da Lui compiute: il titolo di questa XVIII Assemblea è già un programma. Testimoni di questa bellezza di popolo che fa festa insieme. Per ognuno e ognuna. L’importante è esserci qui, ora, adesso.

Le ore si addossano l’una con l’altra, il riposo manco a pensarci, il sonno è un antico ricordo, le chitarre scordate abbondano e alla fine scappano pure fuori bottiglie di grappa clandestine – manco fossimo a un raduno degli Alpini – e sigari toscani d’anteguerra.

Il riparo preferito dal popolo di Ac, a scopo terapeutico, è quello di prendere d’assalto il banco Ave, luogo privilegiato delle delizie letterarie e non solo. Ci si scambia, qui, numeri di telefono, qui nascono amicizie, come al mercato ortofrutticolo sotto casa.

Insomma, ci sono, ci siamo. Già stanchi prima di iniziare, allegri ma non troppo, sospesi tra “il già e il non ancora”. 

Vaglielo a dire, a chi è rimasto a casa, che anche questa, a Dio piacendo, anche questa santissima e laicissima XVIII Assemblea nazionale, è e sarà sempre una lettera d’amore.

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25 aprile: una piazza in festa

3 ore 32 min fa

«È molto doloroso vedere come questa guerra abbia colpito l’animo di tutti nel credere che sia ancora possibile fare qualcosa nella deriva di violenza che sembra non esaurirsi mai. È importante parlare della Terra Santa, non lasciare cadere l’attenzione su questo conflitto che sta lacerando la vita di questi popoli, ma sta anche lacerando la vita della società in tante altre parti del mondo…. La realtà è così complicata e bisogna pregare per questa realtà, essere vicini, parlarne e cercare sempre di costruire relazioni».

Invita a non dimenticare il conflitto in Medio Oriente e a pregare il card. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, nel videomessaggio inviato al popolo di Azione cattolica riunito in Piazza San Pietro per l’incontro con papa Francesco del 25 aprile (in basso il pdf del videomessaggio).

25 aprile: una piazza in festa

Il tema dell’impegno e l’invito a seguire Cristo è stato il file rouge che ha accompagnato l’intera mattinata di A braccia aperte. Oltre 80.000 soci e simpatizzanti provenienti da tutta Italia e di ogni età: adulti, giovani, bambini si sono radunati, in un trionfo di striscioni e bandiere, con lo sguardo e il cuore rivolto al Papa. Una piazza gremita fino all’inizio di Via della Conciliazione con tanti religiosi e amici provenienti dal volontariato, dalle parrocchie, da quella società civile che ogni giorno si dedica alla sofferenza e al bisogno dei fratelli.

Sul sagrato i presentatori Antonella Ventre e Massimiliano Ossini hanno dato il benvenuto ai presenti invitandoli a darsi un abbraccio reciproco e aperto la diretta televisiva con il Rai1. Insieme a loro il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano e tutti vertici dell’Associazione.

Più che mai oggi in un tempo complesso da vivere e da decifrare, in cui sono tornati prepotentemente i temi della guerra, della povertà, del sopruso, c’è bisogno della “parola”. I conflitti in Israele e Ucraina, la globalizzazione senza regole, gli equilibri saltati tra gli Stati pretendono una scelta di responsabilità. Non ci si può sottrarre, non ci si può voltare dall’altra parte.

Ad aprire l’Incontro le parole di Mons. Claudio Giuliodori, assistente generale di Ac: «E’ in questo mondo e in questo tempo che siamo chiamati ad essere, in virtù del battesimo ricevuto, soggetti attivi di evangelizzazione. Siamo discepoli missionari di un Signore che per il mondo ha dato la vita. Anche la nostra non può che essere a sua volta donata.»

L’incontro poi è entrato nel vivo con l’intervento dell’attore Neri Marcorè che, imbracciando la chitarra, ha letto alcuni brani su figure della Resistenza cattolica e intonato la canzone di Fabrizio De André La guerra di Piero.

Il saluto di papa Francesco

Accolto dalle parole e musica dell’Inno A braccia aperte composto in occasione dell’incontro e dallo sventolio dei cappellini gialli e blu il Pontefice è entrato in piazza a bordo della papamobile scoperta e circondato da alcuni bambini di Ac. Francesco ha fatto due giri di piazza salutando e regalando sorrisi soprattutto ai più piccoli. Poi è salito sul sagrato e ha pronunciato il suo discorso rivolto al popolo dell’Azione cattolica ricordando l’importanza della cultura dell’abbraccio: «Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita». Francesco ha continuato stigmatizzando i comportamenti che portano alle guerre: la diffidenza nei confronti degli altri, il rifiuto e la contrapposizione che diventano violenza. Abbracci mancati o rifiutati, pregiudizi e incomprensioni che fanno vedere l’altro come nemico. E ha concluso con un invito: «Vedervi qui tutti insieme mi fa venire in mente il Sinodo e penso al sinodo in corso che giunge alla terza tappa quella profetica; ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio alla vita nuova e alla Chiesa del suo tempo. Vi invito a essere atleti e portabandiera di sinodalità nelle diocesi e nelle parrocchie.»

La festa è proseguita con la band di 60 elementi Rulli Frulli con i suoi strumenti riciclati e la sua verve instancabile. Si è poi esibito in un monologo sulla cura del creato il cantante Giovanni Caccamo che, accompagnato da appalusi scroscianti, ha intonato il brano La cura di Franco Battiato, un inno a prendersi cura del vicino e dell’altro. Intanto dalla piazza, al microfono, i giovani di Ac hanno reso testimonianza della loro esperienza associativa.

La mattinata si è conclusa con canti di ringraziamento, e tanti, tantissimi abbracci.

Videomessaggio Card. PizzaballaDownload

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Un abbraccio che si allarga all’umanità

6 ore 20 min fa

Cari amici e amiche dell’Azione Cattolica, buongiorno e benvenuti!
Grazie per la vostra presenza. Vi saluto con affetto, in particolare il Presidente nazionale e l’Assistente generale. Poco fa, passando in mezzo a voi, ho incrociato sguardi pieni di gioia e di speranza. Grazie per questo abbraccio così intenso e bello, che da qui vuole allargarsi a tutta l’umanità, specialmente a chi soffre.

Il titolo che avete scelto per il vostro incontro è infatti “A braccia aperte”. L’abbraccio è una delle espressioni più spontanee dell’esperienza umana. La vita dell’uomo si apre con un abbraccio, quello dei genitori, primo gesto di accoglienza, a cui ne seguono tanti altri, che danno senso e valore ai giorni e agli anni, fino all’ultimo, quello del congedo dal cammino terreno. E soprattutto è avvolta dal grande abbraccio di Dio, che ci ama per primo e non smette mai di stringerci a sé, specialmente quando ritorniamo dopo esserci perduti, come ci mostra la parabola del Padre misericordioso (cfr Lc 15,1-3.11-32). Cosa sarebbe la nostra vita, e come potrebbe realizzarsi la missione della Chiesa senza questi abbracci? Perciò vorrei proporvi, come spunti di riflessione, tre tipi di abbraccio: l’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita.

Primo: l’abbraccio che manca. Lo slancio che oggi esprimete in modo così festoso non è sempre accolto con favore nel nostro mondo: a volte incontra chiusure e resistenze, per cui le braccia si irrigidiscono e le mani si serrano minacciose, divenendo non più veicoli di fraternità, ma di rifiuto e contrapposizione, anche violenta, di diffidenza nei confronti degli altri, vicini e lontani, fino a portare al conflitto. Sì, all’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni e sospetti, fino a vedere nell’altro un nemico. E tutto ciò purtroppo, in questi giorni, è sotto i nostri occhi, in troppe parti del mondo! Con la vostra presenza e con il vostro lavoro, invece, voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.

Il che ci porta al secondo passaggio: l’abbraccio che salva. Già umanamente abbracciarsi significa esprimere valori positivi e fondamentali come l’affetto, la stima, la fiducia, l’incoraggiamento, la riconciliazione. Ma diventa ancora più vitale quando lo si vive nella dimensione della fede. Al centro della nostra esistenza, infatti, c’è proprio l’abbraccio misericordioso di Dio che salva, del Padre buono che si è rivelato in Gesù, e il cui volto è riflesso in ogni suo gesto – di perdono, di guarigione, di liberazione, di servizio (cfr Gv 13,1-15) – e il cui svelarsi raggiunge il suo culmine nell’Eucaristia e sulla Croce, quando Cristo offre la sua vita per la salvezza del mondo, per il bene di chiunque lo accolga con cuore sincero, perdonando anche ai suoi crocifissori (cfr Lc 23,34). E tutto questo ci è mostrato perché anche noi impariamo a fare lo stesso. Perciò, non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio (cfr Mt 5,44-48). Lasciamoci abbracciare da Lui, come bambini (cfr Mt 18,2-3; Mc 10,13-16), ognuno di noi ha qualcosa nel cuore di bambino, per poter abbracciare i fratelli e le sorelle con la stessa carità.


E così arriviamo all’ultimo passo: l’abbraccio che cambia la vita. Sono molti i santi nella cui esistenza un abbraccio ha segnato una svolta decisiva, come San Francesco, che lasciò tutto per seguire il Signore dopo aver stretto a sé un lebbroso, come lui stesso ricorda nel suo testamento (cfr FF 110, 1407-1408). E se questo è stato valido per loro, lo è anche per noi. Ad esempio per la vostra vita associativa, che è multiforme e trova il denominatore comune proprio nell’abbraccio della carità (cfr Col 3,14; Rm 13,10), unico contrassegno essenziale dei discepoli di Cristo (cfr Lumen gentium, 42), regola, forma e fine di ogni mezzo di santificazione e di apostolato. Lasciate che sia essa a plasmare ogni vostro sforzo e servizio, perché possiate vivere fedeli alla vostra vocazione e alla vostra storia (cfr Discorso all’Azione Cattolica, 30 aprile 2017).

Amici, voi sarete tanto più presenza di Cristo quanto più saprete stringere a voi e sorreggere ogni fratello bisognoso con braccia misericordiose e compassionevoli, da laici impegnati nelle vicende del mondo e della storia, ricchi di una grande tradizione, formati e competenti in ciò che riguarda le vostre responsabilità, e al tempo stesso umili e ferventi nella vita dello spirito. Così potrete porre segni concreti di cambiamento secondo il Vangelo a livello sociale, culturale, politico ed economico nei contesti in cui operate.

Allora la “cultura dell’abbraccio”, attraverso i vostri cammini personali e comunitari, crescerà nella Chiesa e nella società, rinnovando le relazioni familiari ed educative, i processi di riconciliazione e di giustizia, gli sforzi di comunione e di corresponsabilità, costruendo legami per un futuro di pace (cfr Discorso al Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).

E in proposito vorrei aggiungere un ultimo pensiero. Vedervi qui tutti insieme – ragazzi, famiglie, uomini e donne, studenti, lavoratori, giovani, adulti e “adultissimi” (come chiamate quelli della mia generazione) – mi fa venire in mente il Sinodo. E penso al Sinodo in corso, che giunge alla sua terza tappa, la più impegnativa e importante, quella profetica. Ora si tratta di tradurre il lavoro delle fasi precedenti in scelte che diano slancio e vita nuova alla missione della Chiesa nel nostro tempo. ma la cosa più importante di questo Sinodo è la sinodalità. Per questo c’è bisogno di gente forgiata dallo Spirito, di “pellegrini di speranza”, come dice il tema del Giubileo ormai vicino, capaci di tracciare e percorrere sentieri nuovi e impegnativi. Vi invito dunque ad essere “atleti e portabandiera di sinodalità” (cfr ibid.), nelle diocesi e nelle parrocchie di cui fate parte, per una piena attuazione del cammino fino ad oggi compiuto.

Nei mesi scorsi avete vissuto, nelle vostre comunità, momenti di intensa esperienza associativa, con il rinnovo dei responsabili a livello diocesano e parrocchiale, e questa sera inizierà la XVIII Assemblea nazionale. Vi auguro di vivere anche queste esperienze non come adempimenti formali, ma come momenti di comunione e corresponsabilità ecclesiale, in cui contagiarsi a vicenda con abbracci di affetto e di stima fraterna (cfr Rm 12,10).

Carissimi, grazie per quello che siete e per quello che fate! La Madonna vi accompagni sempre. Prego per voi e vi benedico. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

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Noi, artigiani di pace per un futuro di speranza

8 ore 35 min fa

Siamo oggi in piazza San Pietro tutti insieme per esprimere la nostra gratitudine e affermare che questo è il tempo opportuno per riconoscersi e contribuire a un “noi più grande”.

Il nostro grazie è in primo luogo rivolto al Santo Padre Francesco, il nostro primo grande abbraccio è per lui e attraverso lui vogliamo abbracciare tutta la Chiesa universale che oggi nel mondo soffre e spera perché ci sia pace e giustizia per ogni persona che patisce la violenza insensata della guerra.

La gioia di stare insieme è davvero grande, ma non possiamo non sentire la sofferenza che attraversa la vita di tanti fratelli e sorelle che oggi subiscono la distruzione e la devastazione di conflitti che appaiono privi di una via di uscita alternativa ispirata al bene di tutti.

Il nostro stare insieme, la nostra vita associativa, la vita democratica che stiamo sperimentando in questi mesi di itinerario assembleare di Azione cattolica vuole essere un umile segno di tale via alternativa, di un artigianato di pace, di un esercizio di partecipazione e corresponsabilità in ascolto del messaggio di pace che in questi giorni ci viene da Gesù Risorto.

Sulla strada indicata da papa Francesco

Papa Francesco ci scalda il cuore, ci invita sempre ad andare avanti e trovare nuovi impegni per il futuro, con umiltà e mitezza. «La Chiesa è grata all’Associazione a cui appartenete», ci aveva ricordato qualche anno fa il Papa, «perché la vostra presenza spesso non fa rumore – lasciate che il rumore lo faccia lo Spirito, voi non fate rumore -, ma è una presenza fedele, generosa, responsabile.

Umiltà e mitezza sono le chiavi per vivere il servizio, non per occupare spazi ma per avviare processi. Sono contento perché in questi anni avete preso sul serio la strada indicata da Evangelii gaudium. Continuate lungo questa strada: c’è tanto cammino da fare!».

Ci siamo perché l’Ac…

Ecco perché oggi siamo qui, in piazza insieme a papa Francesco. Ci siamo perché l’Ac sa costruire, custodire e valorizzare legami buoni di vita fra le persone e per le persone.

Perché l’Ac è a servizio della Chiesa e del Paese, con le sue tante esperienze di condivisione e solidarietà diffuse in tutto il territorio nazionale e le attività di formazione delle coscienze.

Ci siamo perché siamo un’Ac “in uscita”, che riconosce la gioia missionaria del Vangelo in ogni tempo, anche il più complesso.

Dalla parte degli scartati

E, come abbiamo voluto affermare con il nostro Progetto formativo aggiornato, vogliamo riconoscere che il primato della vita oggi rimette al centro la sfida esigente della formazione di coscienze credenti, di laici adulti capaci di abitare lo spazio pubblico sapendo che prendere posizione vuol dire essere dalla parte degli scartati, dei più fragili e di tutti i poveri.

Il primato della vita

Il primato della vita ci sprona a cercare di dare forma bella e concreta al grande progetto di Dio che si dischiude davanti a noi ogni giorno nella complessità quotidiana, fatta di contraddizioni e di conflitti, là dove le relazioni a volte sono difficili ma non smettono mai di essere occasioni di costruzione di un “noi più grande”.

In questo nostro abbraccio vogliamo ricordarci che la costruzione del bene richiede l’attivazione e l’animazione di percorsi fraterni, di alleanza di bene, di cammini solidali e di dialoghi aperti e franchi: vogliamo essere un’Ac capace di non fare mai preferenza di persone, perché sappiamo che il Vangelo è per tutti, e la vita buona che da esso nasce e rinasce continuamente è un dono che deve essere offerto a tutti.

Una “visione di futuro” che chiede anche un grande lavoro quotidiano, una tessitura di amicizie sociali, di cura e di accompagnamento nella quotidianità che riconosce la preziosa pratica della democrazia partecipativa nei territori; quel “ricominciare dal basso”, proprio là dove la politica con la “P” maiuscola soffre e lascia territori sconfinati dove l’ingiustizia e la rabbia sociale crescono. Riscopriamo il bene comune avendo cura dell’“altro”, degli altri.

Siamo profondamente grati a papa Francesco e, insieme a tutte le Ac del mondo, gli chiediamo di continuare a promuovere e incoraggiare il cammino di conversione intrapreso attraverso il Sinodo.

Vogliamo continuare a essere una “palestra di sinodalità”, e riconosciamo il percorso sinodale già iniziato, sia a livello della Chiesa universale che a livello di Chiese in Italia, come una straordinaria e preziosa occasione per tutta l’Azione cattolica per rigenerare la propria scelta di essere una forma inclusiva e popolare che accompagna ciascuna persona a scoprire la gioia del Vangelo.

Restituendo fiducia nell’uomo, nella sua capacità di bene, nella sua attitudine “generativa” e nella sua naturale propensione a “essere in relazione”.

Dalla parrocchia al mondo

Siamo in piazza San Pietro perché l’Ac è profondamente radicata nelle Chiese locali. È con i piedi e le mani nelle diocesi e nelle parrocchie, nella Chiesa che vive là dove le persone vivono. Ma allo stesso tempo è capace di camminare con la testa alzata, con lo sguardo volto al cammino della Chiesa universale.

Ci siamo, infine, perché amiamo incontrare il Vangelo sul ciglio della strada, negli incroci della vita, sul pianerottolo di un condominio, nelle ore di lavoro di un operaio in fabbrica, accanto ai giovani che tentano nuove sfide nel campo della ricerca e dell’impresa, in parrocchia, nelle Chiese locali, in famiglia, gustando la memoria dei “nostri” anziani e accompagnando il cammino di piccoli e ragazzi.

Racconteremo questo a papa Francesco. Con mitezza, nel lungo abbraccio di un popolo che gli vuole bene e che osa immaginare un futuro pieno di speranza.

*pubblicato il 25 aprile sull’inserto di Avvenire dedicato all’Incontro nazionale dell’Ac con papa Francesco

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Cei: «Voi in prima linea nella Chiesa»

Mar, 23/04/2024 - 12:05

Cari fratelli e sorelle dell’Azione cattolica, questo appuntamento eccezionalmente quadriennale (per via della pandemia) dell’Assemblea nazionale che avete titolato: Testimoni di tutte le cose da Lui compiute vede anche noi, pastori delle Chiese in Italia, coinvolti in un percorso che non riguarda solo l’Associazione, ma il futuro stesso di un cammino ecclesiale.

Il numero che accompagna l’Assemblea – XVIII – indica, nell’anagrafica, l’ingresso nella maggiore età: tempo opportuno per fare memoria e rendere grazie dei doni ricevuti in questi anni e in quelli che li hanno preceduti. L’Azione cattolica ha, infatti, una storia ricca che va accolta nel presente per poter progettare un avvenire che sia ancora frutto di adesione, partecipazione e testimonianza. Per questo, guardiamo all’Associazione con grande interesse: voi associati siete in prima linea nel realizzare nelle parrocchie e nel sociale il magistero della Chiesa. «Grazie per aver assunto decisamente la Evangelii gaudium come magna carta», affermava papa Francesco il 27 aprile 2017 al congresso del Forum internazionale dell’Azione cattolica (Fiac).

Vi chiediamo di riflettere: l’esortazione apostolica Evangelii gaudium è concretamente la magna carta del cammino associativo? In che modo l’Azione cattolica sta mettendo alla base della vita di ciascuno e dei gruppi i principi costitutivi della Evangelii gaudium? Quali frutti evangelici potete annoverare nella vostra vita in questo tempo di incertezza? Come, nel quotidiano, siete portatori di speranza evangelica?

Contiamo sul vostro contributo nella Chiesa e nel mondo, ci fidiamo del vostro costante impegno nel testimoniare in ogni ambiente Gesù Cristo e il Vangelo, attraverso i valori da voi incarnati. Le nostre Chiese vi riconoscono come persone responsabili, perciò continuate a curare la vita spirituale, perché vi aiuta a incontrare costantemente il Signore e, nello stesso tempo, ad amare tutti, anche i non credenti. Impegnatevi nella società e nella storia a livello personale e associativo.

Crediamo che la vostra vita si svolga tra la contemplazione e l’azione e, perciò, vi invitiamo ad essere autentici testimoni di Cristo nella ferialità. Come battezzati siete chiamati con la vostra esistenza ad annunciare Gesù sulle strade del mondo, nei crocicchi, nelle periferie, nei luoghi di marginalità, nel lavoro, nello studio, nel tempo di svago, nelle relazioni amicali e familiari… ovunque!

L’incontro nazionale certamente prevede un’analisi della situazione reale dell’Associazione. Ciò consentirà di verificare il cammino della vita spirituale dei soci, la loro formazione umana, la consapevolezza di appartenere alla Chiesa, la capacità di incarnare ovunque i valori evangelici, di essere persone in relazione per non cadere nell’individualismo, di non trascurare la vita fraterna e la cura del Creato, di approfondire la cultura a tutti i livelli. Una verifica, in tal senso, può aprire nuovi varchi per un progetto associativo cristiano veramente umano e divino.

Attendiamo da voi la testimonianza cristiana nell’ambito sociale e politico, ora tanto urgente. Ripercorrendo la storia dell’Azione Cattolica in Italia, molte conquiste sociali sono state ottenute proprio grazie ai vostri padri e alle vostre madri. Numerosi soci hanno lasciato una traccia umana e cristiana ancora valida per il nostro tempo. Basta ricordare la bellezza della vita del beato Pier Giorgio Frassati per capire che oggi bisogna coltivare la passione evangelica in ciascuno. «Ogni giorno di più – scriveva quasi cent’anni fa – comprendo quale grazia sia l’essere cattolici. Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere, ma vivacchiare… Anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordare che siamo gli unici che possediamo la Verità» ( Lettere, 1925).

La mediocrità non appartiene alla nostra fede. Frassati lascia questo messaggio forte: il Vangelo è vita in ciascuno di noi. Bisogna vivere la forza del lieto annuncio quotidianamente. « La sua vocazione di laico cristiano – ricordava san Giovanni Paolo II – si realizzava nei suoi molteplici impegni associativi e politici, in una società in fermento, indifferente e talora ostile alla Chiesa. (…) Nell’Azione cattolica egli visse la vocazione cristiana con letizia e fierezza e s’impegnò ad amare Gesù e a scorgere in lui i fratelli che incontrava nel suo sentiero o che cercava nei luoghi della sofferenza, dell’emarginazione e dell’abbandono per far sentire loro il calore della sua umana solidarietà e il conforto soprannaturale della fede in Cristo» (Omelia, Beatificazione di Pier Giorgio Frassati, 20 maggio 1990).

Guardate alla sua testimonianza, mentre percorriamo la strada della sinodalità nelle nostre comunità. Siamo consapevoli del supporto che date al Cammino sinodale delle Chiese in Italia e di questo vi siamo grati, così come per la cura con cui accompagnate la formazione di un laicato maturo e responsabile, capace di assumere le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo. Riecheggiano, però, le parole del beato Frassati: vivere, non vivacchiare! Nella fede accogliete il bisogno di relazioni, che appartiene al vostro vissuto associativo. È necessario l’incontro costante tra di voi e con gli altri, per ascoltare anche i loro silenzi. In tale circolarità si compia questo momento assembleare.

Vi accompagniamo con la nostra benedizione, certi che la vostra fede, l’impegno a vivere i valori evangelici nel quotidiano a livello personale e sociale, la cura della vita ecclesiale, fraterna, del Creato e la vostra gioia possano seminare ovunque semi di speranza.
Con queste intenzioni invochiamo lo Spirito Santo sulla vostra Assemblea.

La presidenza della Conferenza episcopale italiana

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La Resistenza dell’Azione cattolica italiana

Lun, 22/04/2024 - 13:18

La coincidenza dell’anniversario della Liberazione con l’Assemblea nazionale dell’Azione cattolica italiana, che inizia con l’incontro dell’associazione con papa Francesco, rappresenta anche un motivo per tornare a riflettere sul significato della Resistenza sotto un profilo storico, per quanto esso abbia anche inciso nella vita della comunità ecclesiale.

I cattolici che scelsero la lotta armata contro il nazi-fascismo non potevano avvalersi di pro­nunciamenti ufficiali da parte della Chiesa istituzionale, anzi, se si analizzano gli interventi dei vescovi nel 1943 vi troviamo per lo più indicazioni che andavano nella direzione contraria di chi scelse la Resistenza. Come potevano i cattolici che avevano deciso di imbracciare un’arma sentirsi sicuri nella loro scelta, quando anche la condanna della violenza continuava a essere il tratto distintivo, tanto più che iniziava una guerra civile? In effetti, su questo punto, si aprì uno dei casi di coscienza più angoscianti e tormentati per i cattolici, perché chi era convinto della necessità e della giu­stezza della causa resistenziale rimaneva, tuttavia, perplesso sull’uso della violenza che necessariamente la guerra partigiana implicava.

Inevitabilità dell’uso delle armi e il tentativo di umanizzare la guerra partigiana

Le risposte a tali interrogativi e dubbi non furono univoche all’interno del mondo resistenzia­le. Per rimanere a esponenti dell’Ac, Giuseppe Dossetti, ad esempio, fin dal settembre del 1943, si dichiarò personalmente contrario all’uso delle armi, senza per questo voler condizionare altri tipi di scelta. Il riminese Alberto Marvelli, beatificato nel 2004, fu contrario non solo alla violenza ma anche alla partecipazione alla Resistenza, prodigandosi per alleviare le sofferenze mate­riali e morali della popolazione. La maggior parte dei cattolici che fece la scelta dì militare nelle for­mazioni partigiane si convinse, comunque, dell’inevitabilità dell’uso delle armi, cercando, per quanto possibile, come avrebbe ricordato Ermanno Gorrieri, di umanizzare gli aspetti più crudi della guerra partigiana.

Le diverse scelte furono condotte in solitudine, andando contro anche alle indicazioni della gerarchia, la quale, come evidenzia una lettera di mons. Giovanni Cazzani, vescovo di Cremona, che si era op­posto durante il fascismo al gerarca Roberto Farinacci, al card. Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano, nella quale scrisse che non si assumeva «la responsabili­tà di consigliare una linea di condotta decisa», preferendo illustrare la situazione: «Dico a loro che si prospettino chiaramente i pericoli dall’una e dall’altra via, e facciano quello che vogliono».
La situazione non andava meglio, se Giulio Andreotti, allora presidente della Fuci, scrisse nell’ottobre del 1943 a mons. Evasio Colli, responsabile della Direzione nazionale dell’associazione, che «difficoltà materiali impedirono all’AC di dire subi­to, come urgeva, la sua parola e superiori direttive invano si attendevano da chi […] è uso rispondere ad ogni quesito con linguaggio non so se più sibillino o ponziopilatesco». Di fronte ai dilemmi che si aprivano, spesso i partigiani cattolici maturarono la scelta resistenziale confrontandosi con il proprio assistente di Ac o, comunque, venendo supportati dal gruppo di appartenenza, nella tela associativa che ancora reggeva.

La durezza e la sofferenza che derivava dall’uccidere

I cristiani che scelsero la lotta armata introdussero, dunque, altri criteri di discernimento nella difficile decisione di ricorrere alla violenza. Ad aiutare i partigiani cattolici in questa scelta, in molti casi, fu l’esperienza della guerra maturata prima del 1943. Chi aveva già combattuto, come accadde per molti, aveva metabolizzato nella propria coscienza la durezza e la sofferenza che derivava dall’uccidere, anche se la violenza esercitata in una guerra regolare come quella combattuta tra eserciti di nazioni contrapposte era comunque protetta dal diritto, dagli ordini e dalla disciplina militare, ma anche dalla riflessione teologica, a differenza di quella, invece, richiesta nella lotta partigiana, la quale esulava da riferimenti precisi, per cui addirittura ci si poteva trovare a do­ver uccidere conoscenti ed amici.

Il confronto tra coscienza dei singoli e dato storico concreto

Anche in questo caso fu il confronto faticoso e sofferto tra la coscienza dei singoli e il dato storico concreto a determinare la scelta di campo. Soltanto a questo livello e non sulla scorta di indicazioni dall’alto o di una prassi consolidata, dunque, potevano maturare scelte difficili come quelle richieste dopo l’armistizio.
Così Teresio Olivelli ebbe a scrivere parole giustamente rimaste famose: «Mai ci sentimmo così liberi come quando ritrovammo nel fondo della nostra coscienza la capacità di ribellarci». La scelta maturata portò poi a declinarla con modalità differenti. Per fare solo alcuni esempi tra i tanti:
Gino Pistoni, il quale aveva consapevolmente scelto di abbandonare l’esercito del rinato fascismo della Repubblica sociale italiana per i valori che incarnava e di unirsi alle formazioni partigiane, durante un combattimento si attardò per soccorrere un milite repubblichino e fu colpito a morte. Sulla tela del suo tascapane, il giovane di Ivrea scrisse con il sangue: «Offro mia vita per Azione cattolica e per Italia, Viva Cristo Re».
Odoardo Focherini, padre di sette figli, nonostante potesse preoccuparsi solo della famiglia, decise di aiutare gli ebrei per salvarli dalla deportazione, con il rischio di fare la loro fine, come prevedeva la nuova legislazione. Scoperto, iniziò la trafila che lo condusse al lager di Hersbruck, dove morì, assistito da Olivelli – gli incontri tra i soci dell’Ac si verificarono per strade inattese, anzi nei campi di concentramento furono improvvisate anche riunioni inaspettate – a cui lasciò detto che offriva la «vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo».

Il Vangelo nelle pieghe della storia

Se l’ex presidente dell’associazione di Carpi è stato riconosciuto beato come martire in odio alla fede, come il compagno fucino di Vigevano, ci sono tanti santi dell’Ac che non sono saliti agli altari, ma che ugualmente hanno speso la vita per una causa giusta. Traducendo il Vangelo nelle pieghe increspate della storia, come si può appurare in Biografie Resistenti, il portale dell’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI, che riporta molte schede.

Il prezzo pagato segno profondamente la storia della Chiesa

A ben guardare la volontà limpida di schierarsi e il prezzo pagato anche con la vita segnò profondamente la storia della Chiesa e per questo motivo si aprì la strada, culminata in un certo senso nel Concilio Vaticano II, a un differente protagonismo nella stessa missione della comunità ecclesiale.
Senza voler sovraccaricare la portata di processi storici lenti e tutt’altro che lineari, possiamo però avanzare l’ipotesi che attraverso la Resistenza sia passata una svolta nella più ampia storia religiosa, data dal fatto che all’interno della Chiesa si sia affiancato, senza sostituirlo almeno negli anni del dopoguerra, un metodo diverso di confrontarsi con la storia, incentrato non più soltanto su criteri deduttivi che discendevano dai principi immutabili della dottrina cristiana, ma più aperto anche agli interrogativi che la realtà poneva.

Non è senza significato che un gruppo di preti bresciani stese un memoriale per il proprio vescovo, mons. Giacinto Tredici, in cui sottolineavano che i cattolici dovevano «assumere le loro responsabilità civiche», necessariamente distinte da quelle dell’istituzione «docente». Con senso della laicità padre Luigi Rinaldini, fratello di Emiliano, già delegato diocesano Aspiranti dell’associazione, che sarebbe morto combattendo nelle Fiamme verdi, e gli altri suoi confratelli chiedevano alla gerarchia di ascoltarne la voce: «La Chiesa deve esigere dal laicato cattolico sincerità ed onestà nell’applicazione ai fatti dei principi di diritto naturale, ma deve poi accettare la relazione dei medesimi che esso ne dà».
Anche questa mi sembra che sia una feconda eredità della Resistenza, la quale per fortuna non è stata soltanto cattolica, ma che indubbiamente ha inciso anche nel tessuto ecclesiale.

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A braccia aperte con papa Francesco

Ven, 19/04/2024 - 12:25

A braccia aperte è l’invito che l’Azione cattolica rivolge a soci e amici in occasione dell’Incontro nazionale con papa Francesco che si terrà il 25 aprile 2024 in Piazza San Pietro. Oltre 50.000 persone, provenienti da tutte le diocesi d’Italia si riuniranno per ascoltare la parola del Santo Padre, pregare e fare festa. Persone di ogni fascia di età dagli studenti, agli adulti, ai bambini, con storie e percorsi diversi, uniti nella partecipazione alla costruzione del futuro del Paese. Una giornata di dialogo in seno alla Chiesa ma aperta alla partecipazione di tutti coloro che vorranno esserci per fare un’esperienza viva di Chiesa sinodale, in un giorno caro all’Ac e a tutti gli italiani. È, soprattutto, il modo dell’Azione cattolica italiana di vivere il suo impegno per l’oggi e per costruire il mondo di domani, avendo a cuore la pace e la cura della casa comune.

Le parole di Notarstefano e mons. Giuliodori

Alla Conferenza stampa di presentazione hanno partecipato il presidente nazionale  dell’Azione cattolica italiana Giuseppe Notarstefano e l’Assistente ecclesiastico generale dell’associazione mons. Claudio Giuliodori.

” Abbiamo voluto vivere questo incontro nella dimensione ordinaria, in un tempo in cui la questione della democrazia e delle sue sfide è sotto gli occhi di tutti – ha ricordato il presidente Notarstefano – Lo viviamo come un’espressione di vita democratica che coinvolge soprattutto i ragazzi. Ricordo che i nostri responsabili sono frutto di un percorso di elezione democratica che vedrà il suo culmine nell’elezione dei nuovi organi durante l’Assemblea generale che seguirà l’incontro con il Papa. In questo tempo complicato e difficile per l’intera vita della Chiesa, noi guadiamo con grande fiducia all’impegno che tutti noi di Ac possiamo porre verso la comunità. Siamo molto preoccupati per la guerra, alla quale ci stiamo forse rassegnando. Noi di Ac vogliamo ribadire che la pace deve essere il nostro obiettivo e che occorre tessere quell’artigianato di pace di cui parla papa Francesco” .

“Questo evento è frutto di una consuetudine che lega l’Ac ai pontefici. – sono state le parole di Mons. Giuliodori – Con papa Francesco la tradizione di legame con la Santa Sede si è consolidato attraverso tanti incontri; l’incontro per i 150 anni dell’Azione Cattolica. Siamo in attesa delle parole del Papa perché sono sempre parole che stimolano e provocano. Vogliamo esprimere la vicinanza al Pontefice sui temi a cui lui tiene molto. Vogliamo affiancarlo nel cammino sinodale della Chiesa in Italia e lo slogan, A braccia aperte, vuole essere traduzione plastica di questo camminare insieme come comunità consapevole di dover procedere in maniera sinergica valorizzando le diversità e andando incontro a uomini e donne di questo tempo. L’enciclica Fratelli Tutti è la piattaforma di questo evento di Piazza con il Papa.”

L’Incontro con papa Francesco è il prologo ai lavori della XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’Ac, Testimoni di tutte le cose da lui compiute, che si svolgerà a Sacrofano (RM), presso la Fraterna Domus, dal pomeriggio di giovedì 25 aprile alla mattina del 28 aprile 2024. 1000 i delegati provenienti da tutte le diocesi d’Italia riuniti per eleggere il Consiglio nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 2024-2027.

All’assemblea saranno presenti il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, il card. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana e il card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo.

Il Bilancio di sostenibilità 2024

Durante la conferenza stampa, inoltre, sono stati presentati i dati del Bilancio di sostenibilità 2024. Con un dato di rilievo su tutti. L’associazione è in crescita. Dopo il calo di soci/e dovuto alla pandemia di Covid 19, per il secondo anno consecutivo  si è registrato un + 3,7% di iscritti sull’anno precedente, superando di slancio quota 200mila (221.598). I responsabili associativi sono in tutto il Paese 38.111 per un totale stimato di 5 milioni di ore donate per l’associazione ogni anno.

Gli educatori e gli animatori dei ragazzi e giovani di Ac sono circa 42.000, per un totale di 7,5 milioni di ore donate.

Significativa poi la cifra dei soci impegnati nel volontariato (circa 20.000), nel sindacato e nelle associazioni (circa 1.500), in politica (circa 2.500) e il numero degli assistenti ecclesiastici sparsi nelle diocesi e nei territori (6.900, segno di vicinanza ai preti e al loro ministero).

Una realtà ecclesiale e civile con oltre un secolo e mezzo di storia che conta più di 221.000 tesserati di ogni età, presenti in più di 5000 parrocchie italiane.

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Un impegno per la pace

Mer, 17/04/2024 - 12:00

La Presidenza nazionale di Azione cattolica ha deciso, in occasione dell’incontro del 25 aprile A braccia aperte, di sostenere le iniziative di carità dell’Elemosineria apostolica della Santa Sede, quella che viene comunemente chiamata la Carità del papa.

*(qui il link diretto per tutti i soci e simpatizzanti che vogliano partecipare con una donazione ). 

L’incontro del 25 aprile con papa Francesco si colloca nel solco del percorso sinodale intrapreso dalla Chiesa universale e dalle Chiese che sono in Italia. E’ un’occasione per sostenere l’impegno capillare dell’associazione nelle parrocchie e nelle diocesi italiane, a servizio della costruzione di una Chiesa sinodale, popolare e missionaria.

L’Ac, inoltre, non dimentica chi soffre in altre parti del mondo. In questo senso si impegna, con l’aiuto dei suoi soci, per le necessità socio sanitarie delle popolazioni che vivono in Terra Santa.

Un impegno per la pace

In questo momento di sofferenza per tutta la Terra Santa , l’Ac è orientata a collaborare per progetti a favore della pace, a sostegno dei tanti, troppi civili, vittime inermi delle guerre che purtroppo insanguinano ancora il nostro pianeta. 

A braccia aperte per la Carità del Papa

L’Ac si augura, forte del tradizionale impegno dei suoi soci per le fragilità, le disuguaglianze e la pace, che si mantenga vivo questo interesse per la Carità del Papa.

A braccia aperte per la Carità del Papa è l’abbraccio che l’Ac vuole dare a chi, oggi, patisce il dramma della guerra, soprattutto in Terra Santa.

Perché ogni piccolo passo in direzione della pace è anche un grande passo verso un mondo più giusto.

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Un amore per il Paese che ci ha lasciato in eredità 

Mar, 16/04/2024 - 09:14

Si chiamerà Palazzo Bachelet (ex Palazzo dei Marescialli) la sede del Consiglio superiore della magistratura a piazza Indipendenza a Roma. Sarà intitolata oggi, martedì 16 aprile, alla sua memoria nel corso di una cerimonia alla presenza del Capo dello Stato. L’evento vedrà il disvelamento dell’opera d’arte commemorativa, il busto bronzeo del vicepresidente Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate rosse il 12 febbraio 1980 al termine di una lezione presso la Facoltà di Scienze politiche.

L’opera, dello scultore Giuseppe Ducrot, verrà installata nell’androne del Palazzo e la nuova targa intitolata alla sua memoria posta all’ingresso principale della sede del Csm, a Piazza Indipendenza, n.6.

Il Csm «intende oggi rendere un tributo stabile e duraturo alla Sua figura e alla Sua memoria, per celebrarne l’impegno civile ed istituzionale e rinnovare il tributo ai valori civili, sociali e democratici che la Sua vicenda umana e la sua tragica scomparsa evocano», si legge nella delibera approvata.

Per questo il Csm «intende intitolare a Vittorio Bachelet il palazzo in cui esercita le proprie funzioni, e in cui egli stesso, finché gli è stato consentito, ha svolto il ruolo di vicepresidente».

Un amore per il Paese che ci ha lasciato in eredità

«Una piccola notizia che piccola non è. Che ci fa essere felici e grati all’istituzione che ne è l’artefice». Sono le parole di Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, commentando la notizia che «Palazzo dei Marescialli, sede dal 1962 del Consiglio superiore della magistratura, cambia nome e sarà intitolato a Vittorio Bachelet, che fu presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana dal 1964 al 1973, artefice del nuovo Statuto associativo post-Concilio, e vicepresidente del Csm dal dicembre 1976 sino al 12 febbraio 1980. Giorno in cui fu assassinato da un commando delle Brigate rosse sulle scale della facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza, a Roma, a conclusione di una sua lezione di Diritto amministrativo».


Per Notarstefano, «Vittorio Bachelet ci ha testimoniato che è irrinunciabile impegnarsi per una società più giusta, più equa, più fraterna, senza mai trascendere nella sterile contrapposizione fine a sé stessa. Egli amava la sua famiglia, la sua comunità, la sua associazione, il suo Paese. Amava i valori della nostra Costituzione. Ed è questo amore che ci ha lasciato in eredità».

La cerimonia, prevista per le ore 11.00, sarà trasmessa in diretta dal canale YouTube del Csm https://www.youtube.com/@ConsiglioSuperioreMagistratura.

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In politica come “effetto” della fede

Lun, 15/04/2024 - 09:39

Un sacerdote che si dimostrò educatore e formatore anche in politica, pur non essendo un politico. Questo il tratto di don Primo Mazzolari descritto e approfondito nel corso del convegno “Don Primo Mazzolari, la politica, la Democrazia cristiana” che si è svolto sabato 13 aprile a Brescia, presso il Campus dell’Università Cattolica, per iniziativa della Fondazione Don Primo Mazzolari e dell’Archivio per la storia dell’educazione in Italia.

Le relazioni – proposte in mattinata da Daniela Saresella (Università di Milano), Paolo Trionfini (Università di Parma e direttore dell’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI”), Guido Formigoni (Università Iulm di Milano) e Anselmo Palini (storico e saggista), e nel pomeriggio da Daria Gabusi (Università degli Studi di Verona) e Matteo Truffelli (Università di Parma e presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari) – hanno messo in luce come il parroco di Bozzolo non si stancò mai nel richiamare, soprattutto la Democrazia cristiana e i suoi esponenti, ad una visione radicale della politica mossa da un’evangelica attenzione ai poveri e rivolta al perseguimento della giustizia sociale.

Mazzolari: un cristiano inquieto, attento e coinvolto

Anima democratica, Mazzolari è fin dalla gioventù un cristiano inquieto, attento e coinvolto nel dibattito politico. Interprete di una decisa opposizione all’ideologia fascista e ad ogni forma di ingiustizia e di violenza, partecipò attivamente alla lotta di liberazione. Fu un convinto repubblicano in un’epoca nella quale questa posizione generalmente non apparteneva al bagaglio cattolico.

Ancora una volta è emerso come i temi sui quali don Mazzolari non ha mai mancato di offrire la sua riflessione – la pace e il no alla guerra, l’obiezione di coscienza, i poveri, i diseredati, i carcerati… – siano di stringente attualità anche per l’Italia e il mondo di oggi. L’impegno in politica, per il “parroco d’Italia”, era effetto della fede; anche per questa ragione don Mazzolari non nascose le critiche – che non divennero mai antagonismo – alla lentezza dell’azione di governo, alla tendenza al rinvio, alla mancata realizzazione; elementi questi che lo portarono ad una crescente disillusione.

Un’eredità che parla ai cristiani impegnati

Nel corso dei lavori si sono esplorati anche i legami del sacerdote con la realtà bresciana, i suoi rapporti con esponenti del clero e del laicato, le sue frequentazioni, gli scambi epistolari, le amicizie, le collaborazioni editoriali.

La giornata si è conclusa con la tavola rotonda su “L’eredità di Mazzolari, i cattolici e la politica oggi”, guidata da Truffelli, nel corso della quale Daniela Mazzuconi, Fulvio De Giorgi e Flavia Piccoli Nardelli hanno cercato di attualizzare l’eredità della lezione mazzolariana per la politica e i cristiani impegnati nella realizzazione del bene comune.

“Sono diverse – ha sottolineato Truffelli – le motivazioni che hanno spinto la Fondazione Mazzolari a scegliere questo tema. Vale la pena ricordare, innanzitutto, che a cavallo tra il 2023 e il 2024 ricorre l’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, nonché il trentesimo del suo scioglimento. Al di là dei legittimi differenti giudizi che possono essere formulati su quella esperienza politica, è indubbio che essa abbia avuto un ruolo decisivo nel dare forma alla democrazia italiana e nell’indirizzare lo sviluppo sociale, culturale e politico non solo del nostro Paese, ma anche dell’Europa. Eppure, la storia della Dc necessita ancora di essere compresa e interpretata in maniera adeguata“.

Un lavoro che non può prescindere dall’apporto che a quella storia venne dato da don Mazzolari, “sia attraverso le sue pubbliche e spesso sferzanti prese di posizione, sia attraverso la fitta rete di relazioni che egli intrecciò con il partito e con molti suoi esponenti: un rapporto fatto di amicizia, sostegno personale e vicinanza spirituale, ma anche di serrati confronti sul piano politico“.

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La sicurezza non è un lusso è un dovere

Ven, 12/04/2024 - 12:44

«La sicurezza sul lavoro non è un lusso, è un dovere. Bisogna parlarne meno e promuoverla di più». Sono le parole a caldo del card. Matteo Zuppi all’indomani dell’incidente alla centrale idroelettrica di Suviana. Il presidente della Cei parla dal palco della manifestazione Cgil e Uil in quel territorio del Bolognese in cui per anni si è impegnato sul fronte della difesa del lavoro e di cui è ancora arcivescovo.

«Il lavoro è vita e deve far vivere – prosegue – è vocazione, dignità della persona, socialità. Se diventa morte, sfruttamento, ingiustizia ciò deve generare corale e convinta repulsione. Per questo oggi chiediamo responsabilità, perché le vittime del lavoro sono uno scandalo». 

Il pensiero va alle sei vittime e allo strazio dei familiari per giorni in attesa di una notizia. Ma va anche alle migliaia di morti sul lavoro di cui il calendario comincia a riempirsi all’inizio di ogni anno.

L’annus horribilis

Il 2024 per il momento si può già considerare un annus horribilis in tema denunce e infortuni. Secondo i dati Inail, in questi primi due mesi dell’anno i casi sono stati 92.711 (+7,2% rispetto a gennaio-febbraio 2023), 119 dei quali con esito mortale (+19,0%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 14.099 (+35,6%).

L’analisi territoriale mostra un aumento significativo delle denunce di infortunio, con la maggiore crescita registrata nella regione Nord-Ovest (+10,2%), seguita dal Centro (+7,5%), Nord-Est (+5,9%), Isole (+4,8%), e infine dal Sud (+4,2%).

Nonostante ciò bisognerà aspettate la fine dell’anno per una stima attendibile dal momento che negli ultimi anni il dato è comunque in calo. Nel 2023 le denunce sono state 585.356, in calo del 16,1% rispetto alle 697.773 del 2022. 

«Tra i fattori che stanno incidendo sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali – aveva detto il commissario straordinario Inail, Fabrizio d’Ascenzo, in occasione della relazione dello scorso anno – c’è l’invecchiamento della popolazione attiva. È aumentata l’esposizione al rischio nelle età più avanzate a causa di uno spostamento in avanti dell’età pensionabile e di un mancato ricambio generazionale: l’incidenza degli infortuni degli over 50enni è del 36,4%, che sale al 50,5% tra i casi mortali». 

L’albero della sicurezza del Mlac

Sulla linea del fronte della battaglia per la sicurezza e la dignità dell’operare, il Movimento dei Lavoratori di Ac (Mlac) da diversi sempre impegnato nella sensibilizzazione e nella conoscenza del fenomeno. Il suo Albero della sicurezza realizzato con caschetti da cantiere antinfortunistica allestiti in oltre 50 città italiane, ammonisce: la sicurezza passa attraverso una cultura del lavoro che deve potersi realizzare senza provocare danni, temporanei o permanenti, ai lavoratori volgendo al progresso e alla crescita umana e sociale.

Sotto accusa oggi è la politica tutta e il sistema di subappalti ormai strutturati per sottrarsi alle diverse voci di spesa e all’oneroso costo del lavoro. Una mala gestione che va a intaccare il sistema proprio nei suoi gangli più deboli. Operai pagati in nero, ditte e cooperative assoldate senza gli elementari parametri di sicurezza, controlli mancanti e tangenti per assicurarsi il silenzio.

Per il segretario della Cgil, Landini «leggi introdotte in questi anni stanno favorendo un modello di fare impresa basato sullo sfruttamento. Su appalti, subappalti e profitto a tutti i costi. Un modello che danneggia i lavoratori che muoiono ma danneggia anche il Paese».

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Migranti. Il fallimento della solidarietà europea

Gio, 11/04/2024 - 09:41

«L’Europa – mentre continuano le tragedie nel Mediterraneo – si chiude in se stessa, trascura i drammi dei migranti in fuga, sostituisce la vera accoglienza con un pagamento in denaro. E pretende ancora di più dai Paesi di frontiera, come l’Italia: controlli più veloci, ritorni nel primo Paese di sbarco di chi si muove in Europa senza un titolo di protezione internazionale, rimpatri facilitati in Paesi terzi non sicuri, chiudendo gli occhi su esternalizzazioni dei migranti. Indebolendo, non da ultimo, la tutela delle famiglie e dei minori». Lo denuncia l’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per la pastorale delle migrazioni e della Fondazione Migrantes della Cei.

Dalle buone intenzioni alla triste verità

Il presule commenta negativamente il voto con il quale il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza il “Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati”, un accordo che nelle intenzioni dei proponenti «avrebbe dovuto modificare le regole di Dublino, favorire la protezione internazionale in Europa di persone in fuga da disastri ambientali, guerre, vittime di tratta e di sfruttamento, persone schiacciate dalla miseria, con un impegno solidale di tutti i Paesi membri dell’Unione europea nell’accoglienza, il ritorno alla protezione temporanea come si era visto con gli 8 milioni di migranti in fuga dall’Ucraina, un monitoraggio condiviso tra società civili e Istituzioni del mar Mediterraneo per salvare vite nel Mediterraneo».

Invece questo Patto – afferma mons. Perego – segna «una deriva nella politica europea dell’asilo e il fallimento della solidarietà europea, che sembra infrangersi come le onde contro i barconi della speranza. Confidiamo che l’art. 10 della nostra Costituzione rimanga come presidio sicuro per tutelare i richiedenti asilo. Le prossime elezioni europee saranno un banco di prova importante per rigenerare l’Europa a partire dalle sue radici solidali e non piegarla a nazionalismi e populismi che rischiano di dimenticare la nostra comune storia europea».

Migranti: una pezza che pare peggio del buco

Facciamo nostre le critiche e le perplessità rispetto a “una pezza che pare peggio del buco”. Espressioni come «solidarietà obbligatoria ma flessibile» e poi rigidi controlli, prelievo delle impronte di tutti quelli che arrivano, procedure accelerate in vista del rimpatrio, appartengo più a una logica di esclusione che al suo opposto. Ma vediamo:

Solidarietà obbligatoria. Tutti gli Stati Ue sono obbligati a fornire solidarietà a quelli sotto pressione migratoria. Ma possono scegliere se accogliere migranti o invece pagare 20.000 euro a migrante non accolto. Ogni anno è previsto un “pool” di 30.000 posti di accoglienza (anzitutto richiedenti asilo, ma non solo) spostati dai Paesi di primo approdo. La Commissione può in caso di emergenza allargare questa cifra.

Procedura accelerata. Secondo la nuova normativa, gli Stati membri di primo approdo devono fare un vaglio dei migranti. Orientando quelli provenienti da Paesi che in media hanno meno del 20% delle domande di asilo accolte verso la procedura accelerata in prossimità della frontiera esterna. Entro 12 settimane dovrà essere deciso il loro destino, in linea di massima il rimpatrio. Attesa che sarà in centri «chiusi», anche per famiglie con bambini.

Il Paese d’ingresso rimane. Nonostante la promessa di «superare» Dublino, in realtà lo Stato di primo ingresso rimane responsabile del migrante irregolare, anche se la solidarietà obbligatoria attenua questo principio. Tradotto, se il migrante si sposta verso un altro Paese Ue questo potrà rispedirlo a quello di primo approdo. Responsabilità che dura in genere due anni. L’Italia ha ottenuto che sia solo di un anno per quelli arrivati attraverso operazioni di ricerca e salvataggio.

Il futuro dell’Europa si misura sulle persone

Il futuro dell’Europa non si misura solo in termini di politica di difesa e politica estera comune. In occasione di un convegno dedicato al Manifesto di Ventotene e alla Dichiarazione Schuman, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a proposito della costruzione di un’Europea unita ebbe a dire: «Io credo che il valore di base, quello cha ha condotto a questa svolta, che tuttora si sviluppa in maniera alle volte sofferta, ma costante, sia il valore della predominanza, dell’importanza preminente del valore della persona, di ogni singola persona».

Nel Manifesto di Ventotene, nelle prime righe, si apre con un’affermazione di grande significato: «L’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un centro autonomo di vita». Questa affermazione sul valore delle persone è quella che è stata al centro di questo capovolgimento di prospettiva degli europei subito dopo la guerra. E questo principio, da cui derivano tutti gli altri, si trasferisce poi nel principio democratico. Nei principi della democrazia che sono quelli che hanno condotto sedici anni dopo il Manifesto all’avvio concreto dell’integrazione europea.

In tal senso,  il voto del Parlamento Europeo è un passo indietro.

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Non mancare, anche questa è casa tua

Mer, 10/04/2024 - 07:00

Il giorno è di quelli buoni, maiuscolo e rosso svetta tra tutti sul calendario di casa; un aprile pieno di impegni, non c’è che dire.  Il tempo incerto come al solito, ma il sole si farà vedere certamente, e poi Roma in aprile… Comunque portiamo l’ombrello, o il kway meglio, o entrambi… Fondamentale vestirsi a cipolla, che se fa troppo caldo ci si toglie qualche strato, e mettiamo il caso faccia freddo… Non si sa mai.  Prima di un viaggio importante sarà meglio dormire bene, risparmiare un po’ di voce e puntare una sveglia “appuntita”, una di quelle che non lasciano scampo. Qualcuno comunque verrà a svegliarci, in fondo, perché il giorno è di quelli buoni e l’appuntamento è imperdibile.

Road to Rome

Per molti bambini e ragazzi dell’Acr A Braccia Aperte potrebbe essere il primo viaggio associativo della vita, la prima volta in Piazza San Pietro, il primo scoprire di essere parte di una comunità grande, che si sforza di non lasciare indietro nessuno. Tante prime volte tutte insieme, inserite in un bagaglio che ciascuno porterà in spalla più o meno figuratamente, alcuni con un po’ di fatica, altri con una disinvoltura innata, tale da potersi confondere con le guide di Roma sin da subito; tutti però immancabilmente fianco a fianco. Non solo gli amici di sempre, gli educatori, i genitori, ma tanti altri volti s’affolleranno, tante bandiere e tante magliette uscite dalla “cipolla” indenni, nella concitazione dell’ultimo strato. Perché c’è da sbracciarsi, si c’è molto da sbracciarsi, c’è qualcuno da salutare, qualcuno che ha invitato tutti noi, in questo splendido luogo.

Avviso ai “navigati”

All’apparire del Santo Padre i più esperti sapranno già dove guardare, accompagneranno lo sguardo dei più piccoli nella giusta direzione, scortandoli ancora un po’ in un sentiero che sarà presto familiare. Lo zaino comincerà a svuotarsi di qualcosa per far posto ad altro, in un passaggio spontaneo: non si è più quelli dell’arrivo alla spicciolata in una piazza forse ancora vuota, ma già si respira l’aria di un corpo unico. Come i viaggiatori esperti sanno, per quanto il luogo sia familiare e il percorso già più volte battuto, ogni viaggio rivela sorprese, emozioni e storie uniche. L’Acr vuol farsi “capace” di queste storie, di piccoli e grandi che scelgono di stare insieme alla sequela di Cristo, che scelgono di non fermarsi nei propri cortili ma di immaginare ogni luogo come casa.

Non mancare, anche questa è casa tua 

“Questa è casa tua!” è solo l’ultima tappa di un (Super) triennio in cui l’Acr si è sforzata ancora di più di abitare la vita dei ragazzi senza riserve, con cura e prossimità consci che accogliere tutti a braccia aperte è solo il primo passo per sentirsi corresponsabili. Siamo grati a tutti gli educatori per quanto ogni giorno fanno per accompagnare bambini, ragazzi e famiglie a coltivare la propria amicizia con il Signore. Non ospiti, ma abitanti appassionati e coinvolti sin da piccoli nella vicenda della Salvezza e nella storia della Chiesa, in un piccolo oratorio di provincia come in una Piazza San Pietro stracolma e festante, che gioiosa risponde all’invito di papa Francesco. Non mancare, anche questa è casa tua.

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Sostenibilità. La strada giusta

Mar, 09/04/2024 - 08:49

Nella mattinata di lunedì 8 aprile si è svolta a Milano – presso la Sala Dino Buzzati del Corriere della Sera – la premiazione del contest sui bilanci di sostenibilità promosso da Buone Notizie, l’inserto del Corriere che racconta da 7 anni le buone pratiche e il bene esistente in giro per il Paese, e da NeXt – Nuova Economia per Tutti, associazione nazionale di promozione sociale che ha l’ambiziosa mission di cambiare dal di dentro i modelli economici dominanti.

Sono state più di 250 le realtà iscritte alla terza edizione del premio (+ 49% al 2023), suddivise in varie categorie (grandi, medie, piccole aziende ed enti del Terzo Settore), a significare come il tema interessi sempre più realtà del Paese e come stia diventando importante raccontare e misurare il proprio impegno e i propri sforzi nell’azione non finanziaria.
I pilastri della rendicontazione restano quelli ormai riconosciuti a livello internazionale, gli ESG, che delineano in maniera dettagliata il concetto di sostenibilità: l’attenzione verso l’ambiente (environmental), il sociale (social) e la governance.
I documenti pervenuti sono stati valutati su 30 linee d’azione, dieci per ognuno dei pilastri.

Grande gioia e soddisfazione per l’Azione cattolica italiana, che con il suo V bilancio di sostenibilità (quello 2023 su dati 2022) si posiziona al secondo posto del podio relativo agli enti del Terzo Settore.
Ha ritirato il premio il vicepresidente nazionale per il settore adulti, Paolo Seghedoni, che si è detto particolarmente orgoglioso e soddisfatto del traguardo raggiunto: “Siamo molto contenti perché l’Ac ha cominciato tempo fa questo percorso sulla strada della sostenibilità. Il miglioramento che c’è stato nel documento premiato quest’anno non riguarda solo la rendicontazione, ma soprattutto il dinamismo che ci ha portati ad uscire dalla nostra zona di comfort e che sta diventando sempre di più radicato nei territori in cui abitiamo e in cui viviamo”.

Un cammino lungo un quinquennio

Possiamo dire che la dimensione della sostenibilità, tramite la rendicontazione e il racconto di quello che si realizza e viene messo in atto a livello locale, sta spingendo l’Associazione ad essere più presente nel Paese, oltre che nelle realtà ecclesiali.
Il bilancio di sostenibilità dell’Ac premiato quest’anno (Qui il pdf) è frutto di un processo cominciato tra il 2018 e 2019, che ha visto raccogliere e pubblicare con trasparenza una serie di dati per aiutare chiunque a conoscere meglio l’associazione in tutti i suoi aspetti più vitali e significativi.

Le linee guida della GRI (Global Reporting Initiative), nella versione “Standards”, sono state adoperate per la creazione dei bilanci di sostenibilità associativi; l’Azione cattolica Italiana ha scelto allora di utilizzare questo metodo di rendicontazione integrando una varietà di esperienze e storie che caratterizzano l’organizzazione e ne testimoniano concretamente l’azione.
La metodologia si è rivelata efficace e confermata in tutte le edizioni del bilancio.
Tutti i principali portatori di interesse nell’organizzazione sono stati coinvolti in processi di coinvolgimento (stakeholder engagement) grazie all’adozione di questa metodologia.

L’impatto sociale delle esperienze

Nel processo di rendicontazione degli ultimi anni, in particolare, è stato inserito ed è diventato rilevante l’elemento della valutazione di impatto su alcune esperienze significative, nazionali e locali. Questo ha certamente permesso un miglioramento generalizzato nel bilancio e una maggiore comparabilità di anno in anno. È stato così realizzato un set di indicatori specifici (in gergo kpi, indicatori chiave di prestazione) per ogni valutazione di impatto che l’associazione intende continuare a monitorare rispetto alle proprie attività e ai propri progetti futuri.

La scelta di dotarsi di indicatori per misurare l’impatto sociale di alcune iniziative ha avuto e continua ad avere due obiettivi: in primo luogo creare uno strumento chiaro verso l’interno che possa trasmettere l’essenza e il valore dell’Ac; in secondo luogo, far maturare una maggiore consapevolezza dell’associazione stessa e del suo impegno a servizio della comunità, così che nei territori si possa percepire cosa potrebbe accadere in negativo se non ci fosse più l’Azione cattolica.

Promuovere processi generativi

Come è stato segnalato nel corso della premiazione, l’Azione cattolica Italiana offre lo strumento del bilancio di sostenibilità a tutti coloro che vogliono condividere insieme un percorso o un cammino. La condivisione di progetti e lo scambio di esperienze, infatti, promuove l’amicizia sociale che rigenera il tessuto ecclesiale e civile dell’Italia.
“Il bilancio di sostenibilità – ha scritto il presidente Giuseppe Notarstefano nella lettera introduttiva – è a disposizione per tutti coloro che sostengono e promuovono una comunicazione generativa, che non rinuncia all’interrogazione critica e alla possibilità di condividere e far circolare esperienze positive, che mostrano la forza e la gentilezza di un Bene che è di tutti e per tutti”.

Il nuovo bilancio di sostenibilità, giunto alla sesta edizione (2024 su dati 2023), verrà ultimato e confezionato in queste settimane e presentato ai soci e alle socie in occasione della XVIII Assemblea nazionale, a fine aprile.

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Vent’anni di vantaggio

Dom, 07/04/2024 - 15:30

«Di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l’università se ne è occupata
venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l’università sarà riportato dai mass media tra
vent’anni. Frequentare bene l’università vuol dire avere vent’anni di vantaggio. È la stessa
ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi
assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il
Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con
Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità»
(Umberto Eco).

Tra i tantissimi corsi universitari, ce n’è qualcuno che oltre ad assegnare materiale da studiare
dia anche spazio alla ragione per cui farlo, offrendo l’occasione per discutere le motivazioni
personali che ci appassionano all’approccio con il tema? Che senso ha l’Università oggi? E’
ancora un luogo generativo per la generazione di giovani che sogna di contribuire in maniera
qualificata alla società dell’oggi e del domani?
La stessa parola studium racchiude un significato ben più profondo dell’applicarsi in una
disciplina, come se le conoscenze dovessero attaccarsi in testa come post-it, poi. Nel termine
è racchiuso tutto il senso di cura, della diligenza e dell’impegno, uniti all’entusiasmo, alla
passione e all’amore per il sapere, per ciò che si potrà così saper fare per e con gli altri.

Che tu sia studente, laureato, o curioso di fare un affondo nel mondo dell’Università, questi
articoli saranno l’occasione per dare spazio e spunti a questa costruzione di senso. Chiunque
vorrà potrà riflettere sull’esperienza vissuta o che stai vivendo, guardando alla disciplina che
ha preso a cuore e chiedendosi: che cosa ho colto di questa disciplina? quali chiavi di lettura e
strumenti per stare e agire nel mondo mi può dare? a che cosa potrebbe servire per il
miglioramento della società?

Si troverà così a rileggere la propria storia personale in relazione all’impegno nello studio,
con gli entusiasmi e le fatiche, gli incontri che hanno chiarito o hanno aiutato nel cammino, le
scoperte entusiasmanti e il senso di un percorso in continua evoluzione. Si tratta di una
grande ricchezza, spesso sommersa perché non illuminata da uno sforzo di consapevolezza,
perché non trova posto tra le voci del libretto universitario o del curriculum vitae. Noi
vogliamo darle attenzione perché crediamo che sia la struttura portante della formazione
personale, senza la quale quella professionale si rivelerebbe un guscio vuoto. Lo studio ti ha
fatto e ti fa crescere personalmente? come?

Ogni storia ha una trama, è tessuta di fili che con continuità attraversano i singoli episodi
mostrandosi in modi differenti, evolvendo nelle forme, garantendo l’originalità, ovvero il
collegamento con l’origine. L’esercizio di connettere le tappe della nostra storia presente e
passata, riconoscendo ciò che più ci ha colpito – è stato significativo perché ha lasciato un
segno – è un modo per imparare a scegliere nel futuro. È ascoltando ciò che risuona più
vivamente in noi che distinguiamo i desideri profondi del nostro cuore e ci orientiamo a
realizzare i sogni che vanno maturando in noi. Perché un ragazzo, una ragazza ha scelto di
fare l’università, e questo percorso di studi? come si è evoluta la sua motivazione? quali
progetti di vita li hanno spinti in questa direzione? quali elementi l’hanno confermata o
disconfermata?

Guardando a distanza di tempo i moti del cuore che abbiamo sperimentato, scorgiamo oltre le
emozioni che ci hanno attraversato e ci addentriamo nello spazio della volontà, dei valori, dei
desideri. È la dimensione spirituale della persona, cioè della vita interiore, che accomuna
credenti e non. Come la ricerca esistenziale ed intellettuale si intersecano? Chi vive o ha
vissuto questo percorso di crescita in una dimensione di fede, poi, si pone ulteriori domande
etiche, ontologiche, pragmatiche.

L’esperienza dello studio universitario, in qualunque ambito si collochi, è un’esperienza
determinante per un giovane. Per la sua identità, per la sua maturazione, per la costruzione di
una personale visione del mondo e del futuro, per la sua capacità di collocarsi
relazionalmente, socialmente, culturalmente. Essa mette alla prova la capacità del giovane di
attrezzarsi adeguatamente, di sperimentare atteggiamenti determinanti, come la
programmazione realistica, la capacità di organizzarsi, di motivarsi, di vivere la fatica e
l’impegno, l’incontro con i propri limiti, ma anche la gioia della scoperta, l’uso
dell’immaginazione, l’accostamento al mistero. E la capacità di immaginare il futuro.
Tutto questo passa attraverso storie personali di vita, incontri-scontri con la realtà dello studio
e dell’università, delle persone che ne fanno parte e delle esperienze in cui ci immergiamo,
del contesto del piccolo e grande mondo in cui siamo immersi.

Alla luce di tutto ciò, questa rubrica nasce con l’intento di dare voce a questa ricchezza,
celata nel percorso di formazione di ciascuno e troppo spesso nascosta all’ombra delle tappe
ufficiali nell’università, che fatichiamo a riconoscere e valorizzare anche in prima persona.
Non si tratta infatti di fare uno studio sociologico o una raccolta di saggi dotti sul tema dei
giovani, le loro prospettive, del futuro del lavoro ecc. Diversamente da quanto spesso accade,
la rubrica è uno spazio pensato da giovani in cui i giovani stessi raccontano la propria
prospettiva “dall’interno”. Un “interno” che significa sia senza uno sguardo adulto che si
avvicina con una prospettiva diversa, sia con l’attenzione alla vita interiore di ciascuno, in
prima persona.

Diamo spazio quindi ai racconti di come diversi giovani hanno vissuto questo periodo e di
speranze/disillusioni, in cosa è mutato cammin facendo, e se e come è stata un’esperienza “di
vita vera” (Etty Hillesum)1.

1 «Quando, in passato, sedevo alla mia scrivania, ero presa da irrequietezza al pensiero di
perdermi qualcosa fuori, qualcosa della “vera” vita. E così non riuscivo mai a concentrarmi
sui miei studi. E quando ero immersa nella “vita vera#”, in mezzo alle persone, provavo
sempre il desiderio disperato di tornare a quella scrivania e non ero affatto allegra insieme
agli altri. Quella distinzione artificiale tra studio e “vita vera” adesso è scomparsa. Adesso
“vivo” davvero dietro alla mia scrivania. Lo studio è diventato una “vera” esperienza di vita
e non è più solo qualcosa che riguardi la mente. Alla mia scrivania io sono completamente
immersa nella vita, e trasporto nella “vita vera” la tranquillità interiore e l’equilibrio che mi
sono conquistata nell’intimo. Prima dovevo ogni volta ritirarmi dal mondo esterno, perché le
molte impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice. Dovevo rifugiarmi in una stanza
silenziosa. Adesso quella “stanza silenziosa”, per dir così, la porto sempre con me, e mi ci
posso ritirare a ogni istante, sia che mi trovi in un tram pieno di gente sia nel mezzo della
confusione in città» (Etty Hillesum).

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Il rischio è una sanità a pagamento

Sab, 06/04/2024 - 07:00

«Se non interveniamo il rischio è una sanità a pagamento, come negli Usa». L’espressione forte, ma largamente condivisa da chi ogni giorno ha a che fare con la sanità pubblica, è dell’oncologo e ricercatore Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (qui l’intervista rilasciata a Segno nel mondo). Il dibattito, o forse bisognerebbe ammettere, presa di coscienza di una realtà che è sotto gli occhi di tutti, ha preso di nuovo vigore in questi giorni con la pubblicazione di una lettera che quattordici simboli della scienza italiana – tra i firmatari proprio Silvio Garattini – hanno scritto per chiedere maggiori investimenti in favore della sanità pubblica.

Eccellenze e problemi

Il Servizio sanitario nazionale oggi ha eccellenze nel campo della ricerca, della prevenzione e della cura. Ma soffre, nella maggior parte dei casi, soprattutto nelle regioni del sud, di mali endemici e “istituzionali” che vanno a minare quelle che sono le fondamenta stesse del Servizio sanitario, e cioè la possibilità di cura e di prevenzione per tutti i cittadini, nessuno escluso. Soprattutto di quelli – e sono la maggioranza – che non hanno possibilità di accedere alla sanità privata.

Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito, spiegano i ricercatori nella lettera. Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali.

I problemi sono noti. Le aspettative per ottenere una visita ospedaliera o per la diagnostica sono interminabili. La prevenzione, spesso, ne paga il prezzo. Gli anziani monoreddito sono quelli che più subiscono la mancanza di efficienza di un servizio di cura pubblico previsto dalla Costituzione. Senza contare che anche la sanità pubblica costa. Il ticket per l’acquisto di medicinali è importante e ormai gran parte dei farmaci sono stati sostituiti dai cosiddetti “integratori”, che hanno un costo altissimo.

Pochi soldi per il Ssn

Il Ssn è sottofinanziato: nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa). «Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato». 

«Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’art. 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni)». 

Il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute si è, con gli anni, notevolmente ampliato.  «È dunque necessario – spiegano i ricercatori – un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. Ancora, l’Ssn deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute».

L’assistenza è a rischio

Il futuro appare fosco. Tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli. In più, la spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, «il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». 

Come rivitalizzare allora il nostro Servizio sanitario nazionale? 

Partendo dalla percentuale di spesa sociale che lo Stato destina a esso. «La vera emergenza è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL)».

Un Ssn che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale.

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Le frontiere nella storia e nel tempo presente 

Gio, 04/04/2024 - 10:00

Nel corso dei millenni il modo di intendere le frontiere ha subito profondi cambiamenti. Da scopi prevalentemente amministrativi a una funzione di controllo e di separazione, fino alla deriva nazionalistica nel tempo della globalizzazione.

Il futuro dell’umanità esige invece che si affrontino insieme le sfide globali. Solo frontiere permeabili possono assicurare una pace e una prosperità condivisa.

Scrive sul tema il Presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Toniolo, Sandro Calvani sulla rivista Dialoghi n. 1/2024.

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Istat Italia. Si aggrava l’inverno demografico

Gio, 04/04/2024 - 07:00

La sfida da vincere è economica e culturale, ad un tempo. Servono bonus e assegni, certo. Ma serve innanzitutto un cambiamento di mentalità. Il passaggio da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”. Del resto, i dati Istat per l’anno 2023 non lasciano dubbi e si confermano una accelerazione della tendenza in corso da anni: i nati residenti in Italia sono stati 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (6,7 nel 2022). La diminuzione di nascite rispetto al 2022 è di 14 mila unità (-3,6%).

Dal 2008, ultimo anno con un aumento delle nascite, il calo è di 197mila (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023. Molto vicino al minimo storico di 1,19 figli nel lontano 1995. E in 10 anni le donne in età fertile sono diminuite di 2 milioni a quota 11,5 milioni, difficile dunque sperare in una ripresa.

L’immigrazione è una risorsa imprescindibile per l’Italia

L’immigrazione conferma il ruolo importante nel contesto demografico. Gli stranieri nel 2023, oltre a frenare il calo della popolazione con un saldo migratorio che compensa quasi del tutto il saldo naturale negativo, contribuiscono a rallentare l’invecchiamento. Nel 2023 il saldo migratorio con l’estero è pari a +274mila unità, un guadagno di popolazione effetto di due dinamiche opposte. Da un lato l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (360mila), esiguo il numero di partenze di stranieri (34mila). Dall’altro, l’emigrazione all’estero degli italiani (108mila) non è rimpiazzato da altrettanti rimpatri (55mila). Il risultato è un guadagno di popolazione straniera (+326mila) e una perdita di cittadini italiani (-53mila).

I prossimi Stati generali della natalità

Vengono in mente i non troppo lontani appelli di papa Francesco, i suoi tentativi di mettere al centro della nostra attenzione il tema della natalità. Sottolineando, ma meglio sarebbe dire denunciando, che è «urgente» e «basilare» invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia: «a partire dalla vita, a partire dall’essere umano», come ebbe a dire in occasione del suo intervento alla prima edizione degli Stati generali della natalità, promosso dal Forum delle famiglie nel maggio 2021 a Roma. (Ricordiamo che la quarta edizione degli Stati generali della natalità è il programma  il 9 e 10 maggio 2024).

L’Italia per nascite è fanalino di coda in Europa

L’Italia si trova così da anni con il numero più basso di nascite in Europa, in quello che sta diventando il vecchio Continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata. Con un’immagine, in questo nostro Paese ogni anno è come se scomparisse una città di oltre duecentomila abitanti.

Conosciamo già le cause della scarsa natalità: tardivo raggiungimento dell’indipendenza economica e abitativa, carriere che sacrificano la famiglia, scarse politiche di conciliazione famiglia-lavoro, cultura familiare svilita. Senza dimenticare che fare un figlio costa.

La denuncia del Forum delle famiglie

Come denunciato più volte da Adriano Bordignon, presidente del Forum delle famiglie, in Italia, Paese sviluppato e strategico del G20, più di una famiglia su quattro entra nella soglia di povertà relativa alla nascita del terzogenito e il terzo figlio è la seconda causa di povertà dopo la perdita del lavoro. «Di fronte a tutto ciò – sostiene Bordignon – serve un Piano shock di rilancio di cui deve farsi immediatamente carico la politica nazionale, ma anche europea e locale. Non possiamo più perdere tempo altrimenti verremo ricordati come quelli che sapevano e non hanno agito».

Un figlio è evento che incide profondamente sull’economia familiare e non stupisce la contrazione di nascite in anni di crisi economica e di impoverimento dei salari che hanno prostrato l’umore e il portafoglio della popolazione.

Serve una cultura della natalità

La denatalità impone, dunque, di riconsiderare i paradigmi socioeconomici. Tuttavia non servono paroloni tecnici per rimboccarsi le maniche. Una comparazione ad ampio spettro permette anche di rinvenire quanto possa essere determinante, nel favorire una cultura della natalità (perché è di questo che parliamo), l’efficacia delle politiche a sostegno della famiglia: la certezza di poter usufruire di sussidi e servizi per i propri figli gioca un ruolo fondamentale nel tenere in armonia la condizione di lavoratore con quella di genitore.
Da questa semplice considerazione potrebbe partire una riflessione più ampia sulla famiglia. Perché oggi, in Italia, uno dei fattori che contribuisce a dissuadere molti giovani dalla scommessa su una famiglia propria è la configurazione stessa della famiglia come uno svantaggio: legarsi in un tempo di cose effimere, assumersi la responsabilità di una nuova creatura davanti a modelli politici, istituzionali e sociali che fanno la corsa alla deresponsabilizzazione, darsi una regola di vita mentre il mondo viene deregolamentato; tutto questo appare sconveniente, anacronistico, forse addirittura inutile.

Da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”

La sfida da vincere è economica e culturale, ad un tempo. Servono bonus e assegni, certo (anche se in verità è ancora ben poco quello che la politica ha deciso di destinare alle famiglie, “Assegno unico” compreso). Serve innanzitutto un cambiamento di mentalità, di priorità da parte di tutti, singoli e comunità. Il passaggio da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”.
Non è una trasformazione da poco. Per i credenti è ricordarsi che la famiglia è la «cellula fondamentale della società» (Evangelii gaudium, 66); che il matrimonio è realmente un progetto di costruzione della «cultura dell’incontro» (Fratelli tutti, 216). È per questo che alle famiglie spetta la sfida di gettare ponti tra le generazioni per trasmettere i valori che costruiscono l’umanità. Insomma, c’è bisogno da parte delle famiglie di una nuova generatività e creatività per esprimere nelle sfide attuali i valori che ci costituiscono come popolo di Dio nelle nostre società e nella Chiesa.

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Democrazia: un bene da proteggere

Mer, 03/04/2024 - 09:23

Noi che amiamo la democrazia, vogliamo ricordare i cento anni dall’assalto squadrista alla canonica di Sandrigo, al suo parroco don Giuseppe Arena, e a due giovani sacerdoti, don Federico Mistrorigo e don Francesco Regretti, la notte del 7 aprile 1924.

Nel vicentino le elezioni politiche del 6 aprile 1924 – le ultime prima del 1946 – non diedero al Partito fascista i risultati che esso si aspettava. A Sandrigo, in particolare, forse unico caso in Italia, vi fu una clamorosa affermazione del Partito popolare: 492 voti contro i 264 del Partito fascista.
All’indomani di questo risultato, i capi fascisti locali misero in atto una spedizione punitiva contro colui che ai loro occhi era il responsabile della sconfitta, il parroco don Giuseppe Arena. Uomo di studio e d’azione, era stato delegato vescovile per l’Azione cattolica e direttore dell’Ufficio cattolico del lavoro; soprattutto era stato e continuava ad essere in diocesi e nella sua parrocchia sostenitore e animatore dell’associazionismo cattolico, delle organizzazioni operaie, della dottrina sociale della Chiesa e della cultura scientifica, infaticabile difensore della giustizia sociale. Grazie alla collaborazione dei due cappellani aveva visto fiorire i circoli della Società della Gioventù cattolica, gli Esploratori, la Scuola di cultura cattolica.

In trecento per il vile l’assalto alla canonica

Nella notte tra il 7 e l’8 aprile, trecento squadristi, fatti venire da fuori, perché non fossero riconoscibili, presero d’assalto la canonica. Nel frattempo una soffiata aveva consentito di mettere al sicuro l’arciprete. Gli squadristi, invasa la canonica, schiaffeggiarono la sorella dell’arciprete, bastonarono a sangue il cappellano don Federico Mistrorigo e lo trascinarono a pugni e calci in piazza davanti al loro capo, che riconobbe non essere lui l’arciprete. S’impadronirono delle chiavi dei cancelli della canonica, affermando che sarebbero servite per un’altra volta, e si diressero al Patronato Ruffini, sperando di trovarvi lì don Arena.
Trovarono l’altro cappellano, il direttore del patronato, don Francesco Regretti: lo fecero uscire col pretesto della richiesta di un malato, trascinarono anche lui in piazza, lo strapparono dalle mani dei carabinieri presso i quali si era accostato, lo caricarono a forza in un automezzo e lo trasportarono a 26 chilometri di distanza, dove lo abbandonarono tramortito e sconvolto in aperta campagna, non senza prima avergli orinato addosso. Il trauma psicologico e una sofferenza cardiaca lo segnarono per tutta la vita. Con minacce gli fu imposto di non denunciare alla giustizia né di diffondere la notizia.

Il coraggio di costituirsi parte civile

Ma i tre preti si costituirono parte civile contro il capo fascista e contro la banda di ignoti capeggiata, sembra, dallo stesso squadrista accusato dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Questo, almeno, è quanto risulta da una lettera indirizzata molti anni dopo, nel ’47, per dovere di giustizia, dallo stesso don Mistrorigo al presidente della Corte d’Assise di Roma dove si celebrava il processo per il delitto Matteotti.

Il vescovo Ferdinando Rodolfi la domenica successiva all’assalto scomunicava davanti alla popolazione riunita in Chiesa gli organizzatori e gli esecutori della spedizione.

Questi i fatti, a lungo tristemente noti anche fuori dal circondario. A cento anni di distanza, quando ormai non ci sono più testimoni diretti, e al tempo stesso sembra messo talvolta in discussione, nelle parole e nei fatti, l’antifascismo, è sembrato doveroso all’Azione cattolica parrocchiale di Sandrigo di ricordare quella notte di terrore, con l’aiuto degli storici Alba Lazzaretto e Mariano Nardello, accademici olimpici, e rendere omaggio ai giovani sacerdoti brutalmente colpiti.

Questi sono tempi diversi, ma la democrazia è un bene da proteggere

Che cosa dice oggi a noi questa vicenda? Oltre alla commozione e al ribrezzo che suscita la lettura delle cronache dei fatti, risulta evidente che, pur tra tante contraddizioni, nel nostro Paese viviamo ora tempi decisamente più sereni. Ci pensiamo? Trecento squadristi, non tre, all’assalto di un prete! Cosa avrà provato in quei 26 chilometri don Regretti, lui che aveva studiato a Bergamo, alla Scuola di Cultura sociale, con don Giovani Minzoni, assassinato proprio l’estate precedente ad Argenta dai fascisti? E poi c’è il valore della testimonianza: quei tre preti ebbero il coraggio di costituirsi parte civile; il vescovo ebbe la forza di prendere ripetutamente posizione. E ancora, i cittadini di Sandrigo erano riusciti ad opporsi alla propaganda violenta e ad esprimere un voto diverso. Esempio di resistenza e democrazia.

Don Federico e don Francesco portarono i segni dell’aggressione per tutta la vita, che, però, spesero a fare grandi cose anche negli anni successivi. A don Regretti, tra l’altro, deve gratitudine l’Ac nazionale: egli diresse tra il 1930 e il 1940 le riviste dell’Associazione e ideò il mitico Vittorioso. Gli attestati di affetto e ammirazione inviati alla sua morte, avvenuta nel 1957, da personalità come il cardinale Dalla Costa, monsignor Montini, Giorgio La Pira, Vittorino Veronese e da Francesca De Gasperi dicono la statura dell’uomo. Noi ad entrambi i cappellani dobbiamo il dono della democrazia e della libertà su cui vigilare ogni giorno.

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Buona Pasqua!

Ven, 29/03/2024 - 08:00

«Nel giorno di Pasqua germoglia in maniera delicatissima e segreta una speranza» (D. Bonhoeffer)

Vedere Cristo risorto significa esattamente vedere come Dio ama l’umanità dall’eternità, come tutto ciò che è umano – incluse le sue piaghe – sia illuminato da questo amore divino che apre alla speranza.

Auguri di Santa Pasqua dalla Presidenza nazionale di Ac

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