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Aggiornato: 10 min 47 sec fa

Angelus, 14 gennaio 2024

Dom, 14/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buona domenica!

Il Vangelo oggi presenta l’incontro di Gesù con i primi discepoli (cfr Gv 1,35-42). Questa scena ci invita a fare memoria del nostro primo incontro con Gesù. Ognuno di noi ha avuto il suo primo incontro con Gesù; da bambino, da adolescente, da giovane, da adulto, adulta… Quando ho incontrato Gesù per la prima volta? Possiamo fare un po’ di memoria. E dopo questo pensiero, questo ricordo, a rinnovare la gioia di seguirlo e a chiederci: che cosa significa essere discepoli di Gesù Secondo il Vangelo di oggi possiamo prendere tre parole: cercare Gesù, dimorare con Gesù, annunciare Gesù.

Anzitutto cercare. Due discepoli, grazie alla testimonianza del Battista, cominciarono a seguire Gesù e Lui, «osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”» (v. 38). Sono le prime parole che Gesù rivolge loro: anzitutto li invita a guardarsi dentro, a interrogarsi sui desideri che portano nel cuore. “Cosa stai cercando?”. Il Signore non vuole fare proseliti, non vuole “followers” superficiali, il Signore vuole persone che si interrogano e si lasciano interpellare dalla sua Parola. Pertanto, per essere discepoli di Gesù bisogna prima di tutto cercarlo, avere un cuore aperto, in ricerca, non un cuore sazio o appagato.

Cosa cercavano quei primi discepoli? Lo vediamo attraverso il secondo verbo: dimorare. Essi non cercavano notizie o informazioni su Dio, oppure segni o miracoli, ma desideravano incontrare il Messia, parlare con Lui, stare con Lui, ascoltarlo. La prima domanda che fanno qual è? «Dove dimori?» (v. 38). E Cristo li invita a stare con Lui: «Venite e vedrete» (v. 39). Stare con Lui, rimanere con Lui, questa è la cosa più importante per il discepolo del Signore. La fede, insomma, non è una teoria, no, è un incontro –, è andare a vedere dove abita il Signore e dimorare con Lui. Incontrare il Signore e dimorare con Lui.

Cercare, dimorare e, infine, annunciare. I discepoli cercavano Gesù, poi sono andati con Lui e sono stati tutta la serata con Lui. E adesso annunciare. Tornano e annunciano. Cercare, dimorare, annunciare. Io cerco Gesù? Dimoro in Gesù? Ho il coraggio di annunciare Gesù? Quel primo incontro con Gesù fu un’esperienza talmente forte, che i due discepoli ne ricordarono per sempre l’ora: «erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). Questo fa vedere la forza di quell’incontro. E i loro cuori erano così pieni di gioia che sentirono subito il bisogno di comunicare il dono ricevuto. Infatti, uno dei due, Andrea, si affretta a condividerlo con suo fratello. Fratelli e sorelle, anche noi oggi facciamo memoria del nostro primo incontro col Signore. Ognuno di noi ha avuto il primo incontro, sia in famiglia sia fuori… Quando io ho incontrato il Signore? Quando il Signore ha toccato il mio cuore? E ci chiediamo: siamo ancora discepoli innamorati del Signore, cerchiamo il Signore, oppure ci siamo accomodati in una fede fatta di abitudini? Dimoriamo con Lui nella preghiera, sappiamo stare in silenzio con Lui? Io so dimorare in preghiera con il Signore, stare in silenzio con Lui? E poi sentiamo il desiderio di condividere, di annunciare questa bellezza dell’incontro con il Signore?

Maria Santissima, prima discepola di Gesù, ci doni il desiderio di cercarlo, di stare con Lui e di annunciarlo.

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Dopo l'Angelus

       Rivolgo il mio saluto a tutti voi, romani e pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo. In particolare saluto i membri della Hermandad Sacramental de Nuestra Señora de los Remedios, di Villarrasa (Spagna).

Non dimentichiamo di pregare per le vittime della frana avvenuta in Colombia, che ha provocato numerose vittime.

E non dimentichiamo quanti soffrono la crudeltà della guerra in tante parti del mondo, specialmente in Ucraina, in Palestina e in Israele. All’inizio dell’anno ci siamo scambiati auguri di pace, ma le armi hanno continuato ad uccidere e distruggere. Preghiamo affinché quanti hanno potere su questi conflitti riflettano sul fatto che la guerra non è la via per risolverli, perché semina morte tra i civili e distrugge città e infrastrutture. In altre parole, oggi la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità. Non dimentichiamo questo: la guerra è in sé stessa un crimine contro l’umanità. I popoli hanno bisogno di pace! Il mondo ha bisogno di pace! Ho sentito, pochi minuti fa, nel programma “A Sua Immagine”, padre Faltas, Vicario della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme: lui parlava di educare alla pace. Dobbiamo educare alla pace. Si vede che non siamo ancora – l’umanità intera – con un’educazione tale da fermare ogni guerra. Preghiamo sempre per questa grazia: educare alla pace.

Auguro a tutti voi una buona domenica. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Ai membri dell'Associazione sportiva "Athletica Vaticana" (13 gennaio 2024)

Sab, 13/01/2024 - 08:15

Eminenza, Eccellenza,
care amiche e cari amici di Athletica Vaticana,

buongiorno e benvenuti, anche con le vostre famiglie! È bello stare con le famiglie, anche con i bambini.

Saluto il Cardinale José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, al quale, con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, ho chiesto di curare il dialogo con i cultori dello sport perché anch’essi «si sappiano e si sentano riconosciuti dalla Chiesa come persone a servizio della ricerca sincera del vero, del buono e del bello» (n. 154). Esprimo la mia gioia per la presenza di Athletica Vaticana sulle strade, nelle piste e nei campi da gioco, e per la vostra testimonianza cristiana nel grande mondo dello sport, che oggi rappresenta la più diffusa espressione culturale, a patto che si mantenga sempre quella amatorialità che custodisce lo sport.

Il mio saluto riconoscente va anche alle Autorità sportive internazionali e italiane che, con la loro presenza, testimoniano la vivacità del dialogo e della collaborazione con la Santa Sede.

È significativo che questo nostro incontro avvenga nei primi giorni del 2024, che è Anno Olimpico e Paralimpico. Ripensando al valore della “tregua olimpica”, la mia speranza è che, nel momento storico particolarmente buio che stiamo vivendo, lo sport possa gettare ponti, abbattere barriere, favorire relazioni di pace.

Con uno stile improntato alla semplicità, esattamente da cinque anni, Athletica Vaticana si impegna a promuovere la fraternità, l’inclusione e la solidarietà, testimoniando la fede cristiana tra le donne e gli uomini di sport, amatori e professionisti.

Care amiche e cari amici, è molto significativo che voi proviate a fare tutto ciò condividendo la vita degli altri sportivi, correndo o pedalando o giocando insieme con loro. Le iniziative di Athletica Vaticana – da quelle più semplici e spontanee alla partecipazione ad eventi sportivi internazionali – acquistano il loro pieno senso in quanto espressione di una comunità formata da donne e uomini che, legati dal comune servizio alla Santa Sede, vivono la loro passione sportiva come esperienza di evangelizzazione.

Per questo, oltre all’attività sportiva, la vostra associazione propone anche momenti di preghiera e di servizio ai più bisognosi. Rientra in pieno nella vostra missione la vicinanza – parola-chiave – concreta ai più fragili: penso alle iniziative con i giovani con disabilità fisica o intellettiva, con le detenute e i detenuti, con i migranti, con le famiglie più povere. Ed è bello che a questi incontri partecipino tutti con la stessa dignità, compresi campioni olimpici e paralimpici, diplomatici e membri della Curia. Riprendo la parola “vicinanza”, una vicinanza che con lo sport si fa tenera. Come Dio con noi: Dio è vicino ed è tenero, e per questo è compassionevole. Vicinanza e tenerezza.

Lo sport è un mezzo per esprimere i propri talenti, ma anche per costruire la società. Lo sport, infatti, ci insegna il valore della fraternità. Non siamo isole: in campo, non importa la provenienza, la lingua o la cultura di una persona. Ciò che conta è l’impegno e l’obiettivo comune. Questa unione nello sport è una metafora potente per la nostra vita. Ci ricorda che, nonostante le nostre differenze, siamo tutti membri della stessa famiglia umana. Lo sport ha il potere di unire le persone, al di là dalle loro abilità fisiche, economiche o sociali. È uno strumento di inclusione che rompe le barriere e celebra la diversità. Anche il Concilio Vaticano II ha evidenziato che lo sport può offrire «un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni o di razze diverse» (Cost. past. Gaudium et spes, 61).

Il gioco poi è fatto di regole da rispettare. Vincere con umiltà e accettare la sconfitta con dignità sono valori che lo sport insegna e che devono essere vissuti nella vita di ogni giorno per costruire una società più giusta e fraterna. «Lo sport – come disse il Venerabile Pio XII – è una scuola di lealtà, di coraggio, di sopportazione, di risolutezza, di fratellanza universale, tutte virtù naturali, ma che forniscono alle virtù soprannaturali un fondamento solido» (Agli sportivi italiani, 25 maggio 1945).

Lo sport ci mostra pure che possiamo affrontare con pazienza e determinazione i nostri limiti. Ogni atleta, attraverso la disciplina e l’impegno, ci insegna che con la fede e la perseveranza possiamo raggiungere traguardi che mai avremmo pensato possibili. Questo messaggio di speranza e coraggio è cruciale, specialmente per i giovani.

Incoraggio ciascuno di voi a vedere lo sport come un percorso di vita che vi aiuti a costruire una comunità più solidale e per portare avanti i valori della vita cristiana: lealtà, sacrificio, spirito di gruppo, impegno, inclusione, ascesi, riscatto. Avanti, care amiche e amici di Athletica Vaticana! E non dimenticatevi dell’amatorialità, che è come il succo che dà vita all’attività sportiva. Date sempre il meglio di voi stessi! Vi benedico di cuore. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!

Ai Partecipanti al Simposio "Université des Communicants en Église" (12 gennaio 2024)

Ven, 12/01/2024 - 11:15

Cari fratelli e sorelle!

Do il mio benvenuto a voi che in Francia siete responsabili della comunicazione di diocesi, congregazioni religiose, associazioni e movimenti cattolici, nuove comunità e parrocchie. Vi ringrazio di essere venuti. Vorrei leggere tutto il discorso ma ho un problema, ho un po’ di bronchite, e non posso parlare bene. Se voi non vi offendete, consegnerò la copia del discorso. Scusatemi. La consegnerò perché la diano a tutti voi, ma faccio tanta fatica a parlare. Grazie della vostra comprensione. E grazie di essere venuti. Grazie tante del vostro lavoro, perché non è facile comunicare, ma la prima cosa che fa una persona è comunicare. Da Adamo quando vide Eva, comunicò. Comunicare è la cosa più umana che esiste. Andate avanti su questo.

E adesso vi darò la benedizione e poi saluterò a uno a uno, perché per salutare non devo parlare. Lo faccio di cuore.

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Testo consegnato

La comunicazione è la vostra missione. Una grande missione, in un mondo così iperconnesso e bombardato di notizie. Per questo avete deciso di fare ogni tanto una sosta – questa volta a Roma – per condividere, per pregare, per ascoltare. Quanto ne abbiamo bisogno! Lo dico in prima persona, perché anche il ministero del Papa oggi è dentro il mondo della comunicazione. E allora questi momenti servono a ritrovare la radice di quello che comunichiamo, la verità che siamo chiamati a testimoniare, la comunione che ci unisce in Gesù Cristo; ci aiutano a non cadere nell’errore di pensare che l’oggetto della nostra comunicazione siano le nostre strategie o imprese individuali; a non chiuderci nelle nostre solitudini, nelle nostre paure o ambizioni; a non puntare tutto sul progresso tecnologico.

La sfida della buona comunicazione è oggi più complessa che mai, e il rischio è di affrontarla con una mentalità mondana: con l’ossessione del controllo, del potere, del successo; con l’idea che i problemi siano innanzitutto materiali, tecnologici, organizzativi, economici.

So che il primo incontro lo avete tenuto a Paray-le-Monial, la città del Sacro Cuore, di Santa Margherita Maria Alacoque. Un luogo che richiama al centro, alla sorgente da cui è sgorgata e continuamente sgorga la salvezza per l’umanità. E che ci dice anche l’importanza di comunicare con il cuore, di ascoltare con il cuore, di vedere con il cuore cose che gli altri non vedono; per condividerle e raccontarle, rovesciando la prospettiva e le categorie del mondo. C’è tanto bisogno di questo. Ripartire dal cuore.

Siete stati anche a Lisieux, la città di Santa Teresina, testimone di una radicalità evangelica che è salutare anche per il comunicare del nostro tempo, così inquinato da parole roboanti, da sogni di potere e di grandezza. Comunicare per noi non è sovrastare con la nostra voce quella degli altri, non è fare propaganda; a volte è anche tacere; non è nascondersi dietro slogan o frasi fatte. Comunicare per noi non è puntare tutto sull’organizzazione, non è questione di marketing; non è solo adottare questa o quella tecnica. Per noi comunicare è stare nel mondo per farsi carico dell’altro, degli altri, è farsi tutto a tutti; è condividere una lettura cristiana degli avvenimenti; è non arrendersi alla cultura dell’aggressività e della denigrazione; è costruire una rete di condivisione del bene, del vero e del bello fatta di relazioni sincere; è coinvolgere nella nostra comunicazione i giovani.

Come non ricordare la celebre frase di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e dei comunicatori cattolici: «Le bruit fait peu de bien, le bien fait peu de bruit».

Cari amici, pensando al vostro lavoro, vorrei lasciarvi tre parole come tracce di cammino: testimonianza, coraggio e sguardo largo.

La prima. Ricordare che la comunicazione è soprattutto testimonianza. E quando è fatta di parole, di immagini, è un modo per condividere questa testimonianza. È questo che ci rende credibili nella relazione con i media secolari; ed è questo anche che rende sempre più attrattiva e fa crescere giorno dopo giorno, da persona a persona, la nostra rete di comunicazione. So che, dopo la vergogna per lo scandalo degli abusi, la Chiesa in Francia sta vivendo un cammino di purificazione. Andate avanti. I momenti più bui sono spesso quelli che precedono la luce. A Marsiglia ho potuto vedere quanta vitalità c’è nella Chiesa di Francia. Non esitate a condividere attraverso la comunicazione tutto il bene che c’è nelle vostre diocesi, nelle congregazioni, nei movimenti. Non esitate a costruire con la comunicazione la comunione nella Chiesa e la fratellanza nel mondo. Siate creativi. Siate accoglienti. La società vuole e ha bisogno di sentire la parola della Chiesa come Madre amorevole di tutti.

La seconda traccia: non abbiate paura, ma coraggio. Un coraggio diverso da quello di chi crede di essere lui o lei il centro. Il coraggio che viene dall’umiltà e dalla serietà professionale, e che fa della vostra comunicazione una rete coesa e nello stesso tempo aperta, estroversa. Lo so, non è facile. Ma questa è la vostra, la nostra missione. E anche se i destinatari possono sembrarvi indifferenti, scettici, a volte critici, addirittura ostili, non scoraggiatevi. Non giudicateli. Condividete la gioia del Vangelo, l’amore che ci fa conoscere Dio e capire il mondo. Anche gli uomini e le donne del nostro tempo hanno sete di Dio, cercano un incontro con Lui e lo cercano anche attraverso di voi.

La terza parola è sguardo largo. Guardare lontano. Guardare al mondo intero nella sua bellezza e complessità. In mezzo alle mormorazioni del nostro tempo, all’incapacità di vedere l’essenziale, scoprire che ciò che ci unisce è sempre più grande di quello che ci divide; e che va comunicato, con la creatività che nasce dall’amore. Ricordiamolo sempre. È una verità ignorata, ma è la carità che spiega tutto. Tutto diventa più chiaro – anche la nostra comunicazione – a partire da un cuore che vede con amore.

Cari fratelli e sorelle, grazie per quello che fate! Benedico voi e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me.

Al Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse e le Chiese Ortodosse Orientali (12 gennaio 2024)

Ven, 12/01/2024 - 10:45

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Saluto il Cardinale Koch, il Segretario del Dicastero, e tutti voi, dandovi il benvenuto! È bello incontrarvi nell’imminenza della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e all’inizio di quest’anno, in cui ricorre il 60° anniversario dell’istituzione del Comitato Cattolico per la Collaborazione Culturale.

Con il continuo e generoso sostegno dei benefattori, ai quali desidero esprimere viva gratitudine, il vostro Comitato offre a studenti provenienti dalle Chiese ortodosse e ortodosse orientali l’opportunità di perfezionare la formazione presso istituti accademici cattolici, per poi ritornare nelle proprie comunità e mettere a disposizione le competenze acquisite. In questo modo svolgete, a nome di tutta la Chiesa cattolica, un servizio concreto e disinteressato a favore delle Chiese sorelle di Oriente, contribuendo alla preparazione di chierici e di laici che, grazie ai loro studi, potranno servire la missione dell’unico Corpo di Cristo.

Vorrei perciò esprimere riconoscenza a quanti sono coinvolti in questo percorso di amore per la Chiesa, in modo speciale ai responsabili del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, sotto la cui direzione il Comitato realizza la sua attività, e ai Rettori dei Collegi ecclesiastici che ospitano gli studenti borsisti, per lo spirito di apertura e per la cura con la quale li accolgono e li seguono.

In tal modo, accanto al percorso accademico, è possibile conoscere personalmente l’itinerario formativo, spirituale e liturgico di giovani studenti cattolici e soprattutto condividere con loro l’esperienza della vita comunitaria nei collegi ecclesiastici. Questo contatto vivo e diretto con comunità concrete, nelle quali si sperimenta lo stesso desiderio di seguire l’unico Maestro, il Signore Gesù Cristo, e di servire la sua Chiesa, aiuta non solo gli studenti ortodossi e ortodossi orientali, ma anche quelli cattolici, a superare pregiudizi, ad abbattere barriere e a costruire ponti di dialogo e di amicizia.

È tanto importante questo e mi fa pensare alla comunità delle origini, a quei primi discepoli diventati poi apostoli, e ai quali si rifanno le nostre tradizioni. Se guardiamo a loro, vediamo che erano davvero molto diversi: c’era chi era stato discepolo del Battista e chi zelota, chi pescatore e chi pubblicano; quante differenze di provenienza, carattere, affinità! Eppure è difficile pensare a un gruppo più unito. Hanno trovato la loro coesione in Gesù: camminando dietro a Lui hanno camminato insieme fra di loro. E a cementare questa unità nella carità è stato lo Spirito Santo, che li ha inviati ovunque, legandoli ancora di più tra loro.

Carissimi, anche per voi la via è questa: camminare insieme dietro a Gesù, animati dallo stesso Spirito. Ed è una grande opportunità che qui a Roma, mentre studiate, possiate condividere tra voi chi è Cristo per voi: dove l’avete incontrato, in che modo ha conquistato i vostri cuori, come ha afferrato le vostre vite, secondo quali tradizioni lo lodate e lo riconoscete vostro Signore. Se alla base c’è la condivisione fraterna di quest’esperienza, credo che le nostre storie passate, viziate da sbagli e incomprensioni, da peccati e stereotipi, possano essere gradualmente risanate, in quanto ricomprese all’interno di una storia molto più grande, quella della fedeltà di Cristo che «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25). Questo è il mio auspicio: che a lode e gloria del Signore, questi anni siano, attraverso l’accoglienza e il rispetto fraterno, l’ascolto e la condivisione, profezia di carità e germi di unità, per il bene di tutti i cristiani nel mondo, e del mondo stesso, che ha bisogno di veder sbocciare nuovi semi di pace e di comunione.

Vi ringrazio per la vostra visita e vi auguro di proseguire fruttuosamente gli studi, senza mai trascurare la dimensione spirituale e quella pastorale, essenziali per la formazione. Vi benedico di cuore, vi assicuro la mia preghiera e chiedo la vostra per me. E vi invito, tutti insieme, a pregare, ognuno nella propria lingua, la preghiera che il Signore ci ha insegnato. “Padre Nostro…”.

Ai Partecipanti all'incontro promosso dalla "Toniolo Young Professional Association" (12 gennaio 2024)

Ven, 12/01/2024 - 10:30

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

La collaborazione dell’Istituto Toniolo con i Dicasteri della Curia e con le Rappresentanze Pontificie impegnate nell’ambito delle Nazioni Unite è già giunta al decimo anno, ed è molto preziosa. Grazie, dunque, per il vostro servizio e per il vostro impegno, e grazie a tutti coloro che lo promuovono e sostengono; so che di recente anche la Fondazione Arvedi partecipa a questo progetto di fondamentale importanza, permettendo di aumentare il numero dei borsisti. Grazie!

È bello che ognuno di voi possa fare esperienza a contatto con il ministero petrino, attraverso il lavoro con le Istituzioni internazionali e maturando un’esperienza di fede vissuta, di vita cristiana che si confronta con le sfide attuali del mondo. Ma la vostra presenza fa tanto bene anche alle nostre istituzioni, nelle quali portate una ventata di novità, la capacità di sognare, il desiderio di guardare lontano.

Oggi, invece, sembra diffondersi quello che alcuni chiamano “pensiero breve”: un pensiero fatto di pochi caratteri, che si brucia subito; un pensiero che non guarda in alto e avanti, ma soltanto qui e ora, frutto dei bisogni del momento; un pensiero che non guarda alla storia, che non ha un’eredità storica dentro di sé; un pensiero che si muove per istinto e si misura per istanti; che, fatto di emozioni e compresso in poche parole, sembra sostituire il pensiero già “debole” del post-modernismo. E questo è il dramma del post-modernismo: il pensiero debole. Dinanzi alla complessità della vita e del mondo, questo pensiero “breve” porta a generalizzare e a criticare, a semplificare e a truccare la realtà, nella ricerca dei propri interessi immediati anziché del bene degli altri e del futuro di tutti. Sono preoccupato quando sento di giovani barricati dietro a uno schermo, con gli occhi che riflettono luci artificiali anziché far brillare la loro creatività. Sì, perché esser giovani non è pensare di tenere il mondo in mano, ma sporcarsi le mani per il mondo; è avere davanti una vita da spendere, non da conservare o da archiviare.

Vedo voi e credo che la vostra passione e il vostro impegno siano antidoti al pensiero breve; perché voi, contro la tentazione di adeguarvi alle cose che passano, avete in animo di coltivare uno sguardo alto, che cerca le stelle, non la polvere. È lo sguardo vero dei giovani. Ma tanti di loro sembrano, permettetemi l’espressione, “spremuti”: fatti oggetto di prestazioni sempre più esigenti, rischiano di veder inaridire il succo della vita, quel sognare inquieto che chiede di sprigionarsi dai loro cuori. Sognare inquieto. Vi domando – ma non rispondete ad alta voce –: voi sognate? Avete inquietudine nel vostro pensiero, nel vostro cuore? Siete inquieti o siete giovani già “in pensione”? Non dimenticatevi: sognare inquieto. È triste vedere giovani abulici e anestetizzati, distesi sui divani anziché impegnate nelle scuole e nelle strade, ripiegati sul proprio schermo anziché su un libro o su un fratello bisognoso. È triste. Giovani professionali fuori e spenti dentro, che spremuti dal dovere si rifugiano nella ricerca del piacere. Tutti abbiamo bisogno della creatività e dello slancio che solo voi giovani potete darci – nelle vostre mani stanno la creatività e lo slancio –, della vostra sete di verità, del vostro grido di pace, del vostro intuito sul futuro, dei vostri sorrisi speranzosi. Abbiamo bisogno di queste cose! Vorrei dirvi: portate questo dove operate, mettendovi in gioco senza paura. Perché i giovani sono le leve che rinnovano i sistemi, non gli ingranaggi che devono mantenerli in vita.

Allora non trattenete il bene che siete, non abbiate timore di rischiare, per favore, rischiate, se non rischiate voi chi lo farà? Perché è facendovi dono che vi scoprirete doni, doni unici e preziosi. Nel contesto occidentale si vive circondati da doni e regali, da tante cose spesso inutili, immersi in prodotti fatti dall’uomo che fanno perdere lo stupore per la bellezza che ci circonda. Pensate un po’: io ho perso la capacità di stupirmi? Lo stupore… Quando un giovane perde la capacità di stupirsi, è già in pensione! Il creato invita piuttosto a essere a nostra volta creatori di armonia e di bellezza; a uscire dalla dipendenza dal virtuale, dal mondo ipnotico dei social che anestetizza l’anima, per offrire agli altri qualcosa di nuovo e di bello. Una ricerca che vi appassiona, una preghiera fatta col cuore, un’inchiesta che vi scuote, una pagina che donate agli altri, un sogno da realizzare, un gesto d’amore per chi non può ricambiare… Questo è creare, questo è assimilare lo stile con cui Dio ha fatto il mondo, lo stile della gratuità, che fa uscire dalla logica del “faccio per avere” e “lavoro per guadagnare”. Creativi per aprire squarci di novità in un mondo che si accontenta di profitti. Così sarete rivoluzionari.

La vita chiede di essere donata, non gestita. In questo vi può aiutare la testimonianza del Beato Giuseppe Toniolo, che attingeva la bellezza del vivere dalla fede e si confrontava senza paura coi problemi del suo tempo per dare un volto umano all’economia. È bello che anche voi vi lasciate interrogare dalla realtà, riscoprendo e ripensando la fede così da trarne ricchezze inedite per un avvenire migliore.

Vorrei concretizzare queste idee attorno a un tema urgente, quello della pace. Uno sguardo sull’oggi fa apparire lontana  quell’aspirazione al bene, alla concordia, alla pacifica coesistenza tra i popoli di cui l’attività diplomatica è sempre stata veicolo. Eppure tanta diplomazia sembra aver dimenticato la sua natura di risorsa chiamata a colmare il fossato sempre più profondo dei rapporti tra le nazioni. La si vede rincorrere i fatti senza quella forza preventiva, quel sognare-dialogare-rischiare per la pace che argina il ricorso alle armi. E così le guerre sono il frutto di rapporti di forza prolungati, senza un preciso inizio e senza una fine certa. Ma dove sono le imprese audaci, le visione ardite? Dove sono? Questa politica – diciamo così – del distruggere, quella della guerra… Facciamoci la domanda:dove sono le imprese audaci, le visioni ardite? E da chi possono venire, se non da cuori giovani e impavidi, che accolgono il bene dentro di sé e impugnano il Vangelo così com’è, per scrivere pagine nuove di fraternità e di speranza? Questo è il vostro mestiere, la vostra vocazione.

Quanti altri aspetti, come l’economia, la lotta alla fame, alla produzione e al commercio delle armi – questo è brutto! – la questione climatica, la comunicazione, il mondo del lavoro, e tanti altri, hanno bisogno di rinnovamento e di creatività? Vi affido questi sogni di anziano che si entusiasma nel vedere i vostri volti giovani; e penso a quanto più si entusiasma nel guardarvi Gesù, Lui che ha sempre il cuore giovane e che ha chiamato dei giovani a seguirlo. In Lui vi rinnovo il grazie per il vostro servizio e vi benedico. E vi chiedo, per favore, di pregare per me, a favore, non contro! Grazie.

Ai Membri del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Scientifico della Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo (12 gennaio 2024)

Ven, 12/01/2024 - 10:00

Mi è gradito rivolgermi nuovamente a voi, dopo il messaggio in occasione dell'istituzione della Fondazione Memorie audiovisive del Cattolicesimo, per esprimere il mio vivo apprezzamento per il lavoro che è stato svolto in questi mesi di attività per la tutela e 1a valorizzazione della memoria del patrimonio audiovisivo.

L'avvio di iniziative di largo respiro come il progetto dedicato al censimento e alla descrizione delle fonti audiovisive relative ai Giubilei del Novecento e i progetti tesi a riscoprire e diffondere il patrimonio audiovisivo di istituzioni e soggetti rilevanti per la storia della Chiesa, come quelli dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e della Fondazione Don Carlo Gnocchi, testimoniano la bontà dei vostri obiettivi e l'efficacia del vostro metodo.

Come recentemente ho già avuto modo di ricordare, la mancanza di un'istituzione centrale dedicata specificamente a conservare e a tramandare alle future generazioni la memoria audiovisiva dei Pontificati e della Chiesa, ha generato una situazione senza un punto di riferimento capace di orientare rispetto alle più idonee acquisizioni della dottrina archivistica e di convogliare gli interventi culturali verso un comune orizzonte.

La Fondazione Memorie Audiovisive del Cattolicesimo è la risposta nata nel solco delle mie indicazioni e traccia oggi una strada che merita di essere ulteriormente sviluppata: il coinvolgimento di importanti Università, Centri di Ricerca e partner tecnologici nei progetti, così come il concreto svilupparsi di un coordinamento con gli istituti preposti alla conservazione del patrimonio audiovisivo della Chiesa, delineano un modello da seguire, ulteriormente valorizzato e autorevolmente convalidato dalla collaborazione che la Fondazione ha strutturato con la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Apostolico Vaticano.

Il lavoro della Fondazione MAC richiama altresì la necessità di una svolta culturale riguardo al generale approccio degli archivi ecclesiastici alle fonti audiovisive che li metta in grado di incoraggiare anche la stessa maturazione storiografica di taluni centrali aspetti della vita della Chiesa dal periodo otto-novecentesco in avanti. È noto, infatti, che, a causa delle proprie specificità, la documentazione audiovisiva ha costi di gestione ai quali molte istituzioni archivistiche faticano a far fronte, sia in termini di tempo che di risorse economiche e umane, per cui l'elaborazione di un indirizzo di lavoro unitario e la prospettiva di soluzioni condivise rispetto a problemi comuni appare oggi l'unica via percorribile. L'urgenza di investire e programmare azioni specifiche in questo campo è dunque impellente, perché i costi economici saranno certamente minori di quelli che si pagheranno dal punto di vista storico, culturale e religioso con la perdita irrimediabile di tanto patrimonio audiovisivo cattolico.

Per questi motivi mi sento di incoraggiare con forza il proseguimento delle iniziative intraprese e, se me lo consentite, di chiedervi di iniziare a ordinare, secondo i criteri scientifici aggiornati alla più recente dottrina archivistica, il patrimonio della Filmoteca Vaticana che, per quanto modesto nella sua estensione quantitativa, in questo quadro assume oggi particolare valore in virtù dell’interesse che rivestono dal punto di vista storico-culturale le modalità di acquisizione della documentazione audiovisiva che vi è conservata secondo le linee dettate dai miei Predecessori. In questo senso accolgo con particolare favore, il progetto di restauro da parte della Fondazione MAC dei film sui Giubilei depositati presso la Filmoteca Vaticana, che coinvolgerà importanti istituzioni, Centri di Ricerca e sponsor istituzionali. In vista dell'Anno Santo 2025, mi sembra questo un modo virtuoso per indicare a tutti un percorso possibile e necessario di valorizzazione del nostro ricco ma fragile patrimonio audiovisivo ecclesiastico.

Vi auguro un sempre più fruttuoso lavoro e vi ringrazio per ciò che realizzate. Portate avanti con generosità e passione questo prezioso servizio culturale. Vi benedico di cuore.

Ai Membri del Sodalizio "Facchini di Santa Rosa" da Viterbo (11 gennaio 2024)

Gio, 11/01/2024 - 10:30

Discorso consegnato

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono contento di dare il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio di essere venuti così numerosi. [Saluto il Vescovo e le Autorità civili.]

Il vostro è un Sodalizio di fondazione relativamente recente, ma raccoglie un’eredità molto antica, risalente alla traslazione della salma di Santa Rosa, avvenuta a Viterbo nel 1258 per disposizione di Papa Alessandro IV, dalla chiesa di Santa Maria in Poggio a quella di Santa Maria delle Rose, oggi Santuario di Santa Rosa. Da allora, la celebrazione della Festa ha assunto la forma solenne che poi, continuando a svilupparsi nel tempo, è giunta fino a noi.

Le radici della vostra storia ci portano ai giorni in cui la Santa visse a Viterbo, dove ebbe un’esperienza mistica che la rese promotrice di devozione e di vitalità cristiana per tutta la città. Giovanissima, fece una scelta di povertà assoluta e di dedizione alla carità, e fu una vera trascinatrice, coinvolgendo con il suo amore per Gesù molti altri, al punto da diventare una presenza scomoda per le autorità, che la esiliarono assieme alla sua famiglia. Una “santa agitata”, potremmo dire, ma dallo Spirito Santo, così che la sua esperienza interiore non poté restare nascosta, ma si propagò come la luce di una lampada che illumina tutta la casa (cfr Mt 5,14-16). Abbiamo bisogno di santi così, anche oggi: persone che non stanno in pantofole sul divano ma che, ardenti del desiderio incontenibile di vivere e annunciare il Vangelo, con passione diventano contagiose nella santità (cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 129; 138).

E voi continuate a trasmettere questa memoria con il vostro servizio e con il vostro impegno di vita cristiana. Durante le celebrazioni della Festa, trasportate una “macchina” alta circa trenta metri e dal peso medio di più di cinquanta quintali, sulla cui cima è posta la statua della Santa. Si tratta di un segno spettacolare, che catalizza attorno a sé tutta la città e che attira dal mondo intero folle di pellegrini e visitatori, al punto che dal 2013 la macchina di Santa Rosa ha ricevuto dall’UNESCO il riconoscimento di “patrimonio immateriale dell’umanità”. Ricordatevi, però, che ciò che fate è molto più importante di questo, perché voi, mostrando a tutti col “Trasporto” quanto è grande l’esempio di Santa Rosa, attraverso di lei fate conoscere il Vangelo di Gesù. Ecco la cosa più importante: far conoscere il Vangelo attraverso Santa Rosa; e farlo insieme, uniti e solidali, vivendone i valori con “fede, forza e volontà”, “rispetto e umiltà”, perché, in processione e nella vita, un’impresa così grande nessuno può realizzarla da solo, proprio come dicono i vostri statuti e come ricorda uno dei motti che scandite insieme durante il cammino: «Semo tutti den sentimento».

Grazie per ciò che fate, e per le tante attività assistenziali, culturali e morali con cui so che rendete operativo e concreto nella vita delle persone, specialmente le più bisognose, ciò che rappresentate in occasione della Festa. Vi incoraggio a tenere viva questa tradizione e di cuore vi benedico. E vi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me.

Ai Membri dell'Istituto Secolare Sacerdoti Missionari della Regalità di Cristo (11 gennaio 2024)

Gio, 11/01/2024 - 10:00

Discorso consegnato

Cari fratelli, buongiorno e benvenuti!

Do il mio benvenuto a voi che siete una nutrita rappresentanza dell’Istituto Secolare dei Sacerdoti Missionari della Regalità di Cristo, fondato da padre Agostino Gemelli nel 1953, poco più di 70 anni fa. Tra voi oggi c’è un confratello africano, perché negli ultimi tempi i nuovi membri sono soprattutto preti della Guinea, del Burundi, del Rwanda e di altri Paesi africani. E in Burundi state realizzando un Centro di formazione intitolato a Mons. Courtney, Nunzio Apostolico ucciso in quel Paese. Inoltre avete alcuni sodali in Germania e in Polonia.

Vi ringrazio perché questo incontro mi offre l’occasione di sottolineare il valore della secolarità nella vita e nel ministero dei presbiteri. In effetti, secolarità non è sinonimo di laicità. La secolarità è una dimensione della Chiesa, chiamata a servire e testimoniare il Regno di Dio in questo mondo. E la consacrazione viene a radicalizzare questa dimensione, che chiaramente non è l’unica, ma è complementare a quella escatologica. La Chiesa, ogni battezzato, è nel mondo, è per il mondo, ma non è del mondo.

Se dunque la secolarità è una dimensione della Chiesa, sia i laici che i chierici sono chiamati a viverla e ad esprimerla, sia pure in maniera differente. Ciascuno la realizza secondo la propria condizione nella linea del mistero dell’Incarnazione. In questi decenni, voi sacerdoti avete fatto il vostro cammino, sperimentando “sul campo” questa vostra identità, arricchiti anche dal confronto con le sorelle Missionarie e i fratelli Missionari della Regalità di Cristo.

Siete preti diocesani, e volete essere pienamente partecipi nel presbiterio, in comunione con il Vescovo e i confratelli. L’Istituto vi aiuta in questo. Lo fa secondo il carisma francescano, che è quello della minorità: così vi forma al servizio umile, disponibile, fraterno. E lo fa secondo il modello della regalità di Cristo, che consiste nel servire, nel donarsi con generosità, nel pagare di persona, nella solidarietà con i poveri e gli esclusi. Regalità e minorità: in Cristo sono una cosa sola, e San Francesco lo testimonia.

Mi piace un’espressione della vostra preghiera al Sacro Cuore di Gesù, là dove dice: «Fa’ che siamo solidali e amici della gente, apostoli di simpatia e di verità, perché il Vangelo diventi cuore del mondo». “Apostoli di simpatia e di verità”. Bella espressione, che voi ripetete ogni giorno per confermare il vostro voto di apostolato, convinti che, uniti a Cristo nello Spirito Santo, si è apostoli anzitutto con la propria umanità, con quelle virtù umane che il Concilio Vaticano II descrive: la sincerità, il rispetto della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza, la discrezione, la fermezza d’animo, la ponderazione, la rettitudine (cfr Decr. Optatam totius, 11).

Cari fratelli, la fedeltà a questa vostra vocazione vi preservi da due tendenze oggi diffuse, anche tra i preti: l’autoreferenzialità e la mondanità. Nessuno di noi ne è del tutto immune. Bisogna riconoscerlo e reagire con la grazia del Signore. Dal Cielo vi aiutino e vi accompagnino la Madonna e San Francesco d’Assisi. Vi benedico tutti di cuore. E vi chiedo per favore di pregare per me. Grazie.

Alla Delegazione delle "Sentinelle della Santa Famiglia" (11 gennaio 2024)

Gio, 11/01/2024 - 09:30

Gentili Signore, care “Sentinelle”, buongiorno!

Con gioia do il benvenuto a voi, Sentinelles de la Sainte Famille, e saluto Sua Altezza Reale la Principessa Sibilla di Lussemburgo.  

La vostra è una rete di preghiera mariana – pregare con la Madonna è bello – fondata dieci anni fa, che ha la vocazione di presentare alla nostra Santa Madre le intenzioni della Chiesa e del mondo. Apprezzo la semplicità e l’umiltà del vostro movimento, sorto spontaneamente nella preghiera comune delle prime tra voi. L’impegno richiesto a colei che vuole diventare una “sentinella” è semplice, potrebbe sembrare anche risibile: recitare ogni giorno una decina del Rosario. Molto semplice. È poco agli occhi degli uomini, ma è molto agli occhi di Dio, se è fatto con fedeltà nel tempo, con fede e con fervore e in spirito di comunione tra voi. Dio ama ciò che è piccolo e fa sì che porti frutto.

Il fatto che il vostro movimento sia composto soltanto da donne mette in luce la vostra vocazione specifica e insostituibile nella Chiesa, ad immagine della Vergine Maria. Voi non solo pregate la Madonna chiedendole di intercedere, ma avete ancor più la disposizione a conformarvi a lei, alla sua maternità, a unirvi alla sua preghiera di intercessione di madre per tutti i figli della Chiesa e per il mondo. Così, qualunque sia il vostro stato di vita, con Maria siete tutte madri. La vostra preghiera e il vostro impegno di “sentinelle” sono orientati secondo il modello di Maria, con alcune caratteristiche.

Penso anzitutto allo sguardo che rivolgete sugli altri e sulle realtà del mondo. Che sia sempre come quello della Vergine Maria, uno sguardo di madre, paziente, comprensivo, compassionevole. E vi invito a impregnare tutta la vostra vita e tutte le vostre relazioni di questo sguardo, non solo quando vi ritrovate tra voi come “sentinelle” e nei momenti di preghiera, ma nella vita quotidiana, in famiglia, in parrocchia, nei vostri ambienti di lavoro.

Inoltre, abbiamo ascoltato anche recentemente nella Liturgia, che Maria “custodiva e meditava gli avvenimenti nel suo cuore”. Voi portate certamente nella vostra preghiera avvenimenti che possono essere dolorosi, a titolo personale oppure affidativi da altri. Portate pure le intenzioni del mondo attraversato da tanti conflitti, tante violenze e tanta indifferenza; e anche quelle di molte persone sofferenti, abbandonate, rifiutate o in grande difficoltà. Tutto ciò potrebbe suscitare incomprensione, scoraggiamento. Ma Maria, vedendo Gesù bambino patire la povertà, non si scoraggia, non si lamenta. Rimane in silenzio; custodisce nel suo cuore e medita (cfr Omelia1° gennaio 2022). «Questo fanno le madri: sanno superare ostacoli e conflitti, sanno infondere pace. Così riescono a trasformare le avversità in opportunità di rinascita e in opportunità di crescita» (ibid.). Vi auguro di poter aiutare le persone a scoprire il senso di ciò che vivono, e a conservare sempre la speranza e la fiducia nel futuro.

Infine, la tenerezza. Il nostro mondo, come anche i nostri fratelli e sorelle, hanno più che mai bisogno di tenerezza: una parola che qualcuno forse vorrebbe togliere dal dizionario! (cfr Omelia1° gennaio 2019). Com’è duro a volte oggi il mondo, implacabile, sordo e indifferente alle sofferenze e ai bisogni del prossimo. Maria è stata tenerezza per Gesù; e lo è per la Chiesa e per il mondo. Questa è certamente anche la vocazione di una “sentinella”: incarnare in qualche modo la tenerezza di Maria per la Chiesa e per il mondo.

Vi ringrazio ancora per la vostra visita e per la vostra dedizione. Vi auguro di perseverare con coraggio. La vostra crescita, numerica e geografica, non vi faccia perdere la semplicità e la piccolezza di cuore. Vi benedico, e vi chiedo di non dimenticarvi di me nella preghiera. Grazie.

XXXII Giornata Mondiale del Malato, 2024

Mer, 10/01/2024 - 12:00

«Non è bene che l’uomo sia solo».
Curare il malato curando le relazioni

 

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18). Fin dal principio, Dio, che è amore, ha creato l’essere umano per la comunione, inscrivendo nel suo essere la dimensione delle relazioni. Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzare pienamente sé stessa nel dinamismo delle relazioni, dell’amicizia e dell’amore vicendevole. Siamo creati per stare insieme, non da soli. E proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria.

Penso ad esempio a quanti sono stati terribilmente soli, durante la pandemia da Covid-19: pazienti che non potevano ricevere visite, ma anche infermieri, medici e personale di supporto, tutti sovraccarichi di lavoro e chiusi nei reparti di isolamento. E naturalmente non dimentichiamo quanti hanno dovuto affrontare l’ora della morte da soli, assistiti dal personale sanitario ma lontani dalle proprie famiglie.

Allo stesso tempo, partecipo con dolore alla condizione di sofferenza e di solitudine di quanti, a causa della guerra e delle sue tragiche conseguenze, si trovano senza sostegno e senza assistenza: la guerra è la più terribile delle malattie sociali e le persone più fragili ne pagano il prezzo più alto.

Occorre tuttavia sottolineare che, anche nei Paesi che godono della pace e di maggiori risorse, il tempo dell’anzianità e della malattia è spesso vissuto nella solitudine e, talvolta, addirittura nell’abbandono. Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui «le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri –, o “non servono più” – come gli anziani» (Enc. Fratelli tutti, 18). Questa logica pervade purtroppo anche certe scelte politiche, che non riescono a mettere al centro la dignità della persona umana e dei suoi bisogni, e non sempre favoriscono strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure. Allo stesso tempo, l’abbandono dei fragili e la loro solitudine sono favoriti anche dalla riduzione delle cure alle sole prestazioni sanitarie, senza che esse siano saggiamente accompagnate da una “alleanza terapeutica” tra medico, paziente e familiare.

Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento. Esso colpisce la persona in tutte le sue relazioni: con Dio, con sé stessa, con l’altro, col creato. Tale isolamento ci fa perdere il significato dell’esistenza, ci toglie la gioia dell’amore e ci fa sperimentare un oppressivo senso di solitudine in tutti i passaggi cruciali della vita.

Fratelli e sorelle, la prima cura di cui abbiamo bisogno nella malattia è la vicinanza piena di compassione e di tenerezza. Per questo, prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10,25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre.

Ricordiamo questa verità centrale della nostra vita: siamo venuti al mondo perché qualcuno ci ha accolti, siamo fatti per l’amore, siamo chiamati alla comunione e alla fraternità. Questa dimensione del nostro essere ci sostiene soprattutto nel tempo della malattia e della fragilità, ed è la prima terapia che tutti insieme dobbiamo adottare per guarire le malattie della società in cui viviamo.

A voi, che state vivendo la malattia, passeggera o cronica, vorrei dire: non abbiate vergogna del vostro desiderio di vicinanza e di tenerezza! Non nascondetelo e non pensate mai di essere un peso per gli altri. La condizione dei malati invita tutti a frenare i ritmi esasperati in cui siamo immersi e a ritrovare noi stessi.

In questo cambiamento d’epoca che viviamo, specialmente noi cristiani siamo chiamati ad adottare lo sguardo compassionevole di Gesù. Prendiamoci cura di chi soffre ed è solo, magari emarginato e scartato. Con l’amore vicendevole, che Cristo Signore ci dona nella preghiera, specialmente nell’Eucaristia, curiamo le ferite della solitudine e dell’isolamento. E così cooperiamo a contrastare la cultura dell’individualismo, dell’indifferenza, dello scarto e a far crescere la cultura della tenerezza e della compassione.

Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo! E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne.

Roma, San Giovanni in Laterano, 10 gennaio 2024

FRANCESCO

Lettera del Santo Padre di Conferma dell’Elezione dell’Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly dei Siro-Malabaresi (9 gennaio 2024)

Mer, 10/01/2024 - 12:00

A Sua Beatitudine
Mar Raphael Thattil
Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly

Ho ricevuto la lettera con la quale, conformemente al canone 153 §2 del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, chiede al Romano Pontefice di confermare la sua elezione canonica da parte del Sinodo dei Vescovi della Chiesa siro-malabarese come Arcivescovo Maggiore di Ernakulam-Angamaly, Padre e Capo di questa amata Chiesa sui iuris.

Sappia che concedo volentieri la conferma da lei richiesta, ed esprimo fraterni buoni auspici in Gesù Cristo, nostro Signore e Dio. Prego perché, seguendo l’esempio dei suoi venerabili predecessori, lei possa adoperarsi per offrire un ministero pastorale generoso e fecondo al gregge affidato alle sue cure. La esorto inoltre a ricordare in modo particolare i poveri e i più bisognosi. Che lo Spirito Santo favorisca l’unità, la fedeltà e la missione della Chiesa siro-malabarese, di modo che possa crescere e prosperare sotto la sua guida paterna.

Nell’estendere i miei cordiali saluti ai Fratelli Membri del Sinodo, al clero, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e ai candidati alla vita consacrata e ai fedeli laici della Chiesa siro-malabarese, invoco l’intercessione della Santa Madre di Dio, del Santo Patriarca san Giuseppe e dell’Apostolo san Tommaso. A tutti voi imparto la mia Benedizione, mentre vi assicuro della mia vicinanza spirituale e vi chiedo, per favore, di pregare per me.

Roma, da San Giovanni in Laterano, 9 gennaio 2024

Francesco

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L'Osservatore Romano, Anno CLXIV n. 6, mercoledì 10 gennaio 2024.

Udienza Generale del 10 gennaio 2024 - Catechesi. I vizi e le virtù. 3. La gola

Mer, 10/01/2024 - 09:00

Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate:
 

Catechesi. I vizi e le virtù. 3. La gola

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questo nostro cammino di catechesi che stiamo facendo sui vizi e le virtù, oggi ci soffermiamo sul vizio della gola.

Cosa ci dice il Vangelo a questo riguardo? Guardiamo a Gesù. Il suo primo miracolo, alle nozze di Cana, rivela la sua simpatia nei confronti delle gioie umane: Egli si preoccupa che la festa finisca bene e regala agli sposi una gran quantità di vino buonissimo. In tutto il suo ministero Gesù appare come un profeta molto diverso dal Battista: se Giovanni è ricordato per la sua ascesi – mangiava quello che trovava nel deserto –, Gesù è invece il Messia che spesso vediamo a tavola. Il suo comportamento suscita scandalo in alcuni, perché non solo Egli è benevolo verso i peccatori, ma addirittura mangia con loro; e questo gesto dimostrava la sua volontà di comunione e vicinanza con tutti.

Ma c’è anche dell’altro. Mentre l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei precetti ebraici ci rivela la sua piena sottomissione alla Legge, Egli però si dimostra comprensivo con i suoi discepoli: quando questi vengono colti in fallo, perché avendo fame colgono delle spighe di grano in giorno di sabato, Lui li giustifica, ricordando che anche il re Davide e i suoi compagni, trovandosi nel bisogno, avevano mangiato dei pani sacri (cfr Mc 2,23-26). E Gesù afferma un nuovo principio: gli invitati a nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro; digiuneranno quando lo sposo verrà loro tolto. Ormai tutto è relativo a Gesù. Quando Lui è in mezzo a noi, non possiamo essere in lutto; ma nell’ora della sua passione, allora sì, digiuniamo (cfr Mc 2,18-20). Gesù vuole che siamo nella gioia in sua compagnia – Lui è lo Sposo della Chiesa –; ma vuole anche che partecipiamo alle sue sofferenze, che sono anche le sofferenze dei piccoli e dei poveri.

Un altro aspetto importante. Gesù fa cadere la distinzione tra cibi puri e cibi impuri, che era una distinzione fatta dalla legge ebraica. In realtà – insegna Gesù – non è ciò che entra nell’uomo a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore. E così dicendo «rendeva puri tutti gli alimenti» (Mc 7,19). Per questo il cristianesimo non contempla cibi impuri. Ma l’attenzione che dobbiamo avere è quella interiore: dunque non sul cibo in sé, ma sulla nostra relazione con esso. E Gesù su questo dice chiaramente che quello che fa la bontà o la cattiveria, diciamo così, di un cibo, non è il cibo in sé ma la relazione che noi abbiamo con esso. E noi lo vediamo, quando una persona ha una relazione non ordinata con il cibo, guardiamo come mangia, mangia di fretta, come con la voglia di saziarsi e mai si sazia, non ha un rapporto buono con il cibo, è schiavo del cibo.

Questo rapporto sereno che Gesù ha stabilito nei confronti dell’alimentazione dovrebbe essere riscoperto e valorizzato, specialmente nelle società del cosiddetto benessere, dove si manifestano tanti squilibri e tante patologie. Si mangia troppo, oppure troppo poco. Spesso si mangia nella solitudine. Si diffondono i disturbi dell’alimentazione: anoressia, bulimia, obesità… E la medicina e la psicologia cercano di affrontare la cattiva relazione con il cibo. Una cattiva relazione con il cibo produce tutte queste malattie.

Si tratta di malattie, spesso dolorosissime, che per lo più sono legate ai tormenti della psiche e dell’anima. L’alimentazione è la manifestazione di qualcosa di interiore: la predisposizione all’equilibrio o la smodatezza; la capacità di ringraziare oppure l’arrogante pretesa di autonomia; l’empatia di chi sa condividere il cibo con il bisognoso, oppure l’egoismo di chi accumula tutto per sé. Questa domanda è tanto importante: dimmi come mangi, e ti dirò che anima possiedi. Nel modo di mangiare si rivela la nostra interiorità, le nostre abitudini, i nostri atteggiamenti psichici.

Gli antichi Padri chiamavano il vizio della gola con il nome di “gastrimargia”, termine che si può tradurre con “follia del ventre”. La gola è una “follia del ventre”. E c’è anche questo proverbio: che noi dobbiamo mangiare per vivere, non vivere per mangiare. La gola è un vizio che si innesta proprio in una nostra necessità vitale, come l’alimentazione. Stiamo attenti a questo.

Se lo leggiamo da un punto di vista sociale, la gola è forse il vizio più pericoloso, che sta uccidendo il pianeta. Perché il peccato di chi cede davanti ad una fetta di torta, tutto sommato non provoca grandi danni, ma la voracità con cui ci siamo scatenati, da qualche secolo a questa parte, verso i beni del pianeta sta compromettendo il futuro di tutti. Ci siamo avventati su tutto, per diventare padroni di ogni cosa, mentre ogni cosa era stata consegnata alla nostra custodia, non al nostro sfruttamento! Ecco dunque il grande peccato, la furia del ventre: abbiamo abiurato il nome di uomini, per assumerne un altro, “consumatori”. E oggi si dice così nella vita sociale: i “consumatori”. Non ci siamo nemmeno accorti che qualcuno ha cominciato a chiamarci così. Siamo fatti per essere uomini e donne “eucaristici”, capaci di ringraziamento, discreti nell’uso della terra, e invece il pericolo è di trasformarsi in predatori, e adesso ci stiamo rendendo conto che questa forma di “gola” ha fatto molto male al mondo. Chiediamo al Signore che ci aiuti nella strada della sobrietà, e che le varie forme di gola non si impadroniscano della nostra vita.

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Saluti

Je salue cordialement les personnes de langue française, en particulier:  les séminaristes du séminaire de Paris, le Collège Saint Joseph d’Aumale, et l’Aumônerie nationale des Artisans de la Fête. Que le Seigneur soit notre unique véritable faim. Que Dieu vous bénisse.

[Saluto cordialmente le persone di lingua francese, in particolare i seminaristi del seminario di Parigi, il Collegio San Giuseppe di Aumale e la Capellania nazionale degli Artigiani della Festa. Il Signore sia la nostra vera unica fame. Dio vi benedica.]

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, especially those coming from Korea and the United States of America. 
I also welcome the priests from the Institute for Continuing Theological Education at the Pontifical North American College.  Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of Our Lord Jesus Christ.  God bless you!  

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente ai gruppi provenienti dalla Corea e dagli Stati Uniti d’America. Saluto inoltre i sacerdoti dell’Istituto di Formazione Teologica Permanente del Pontificio Collegio Americano del Nord. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo! Dio vi benedica!]

Liebe Brüder und Schwestern, der Herr hat sich in der Eucharistie zu unserer himmlischen Speise gemacht. Er gebe uns die notwendige Kraft, um auf dem Weg der Tugenden fortzuschreiten und ihm ähnlicher zu werden.

[Cari fratelli e sorelle, il Signore nell’Eucaristia si è fatto il nostro cibo celeste. Egli ci dia la forza necessaria per progredire nel cammino delle virtù e conformarci a Lui.]

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. Pidamos al Señor recuperar el sentido eucarístico del comer, en lo que tiene de acción de gracias a Dios por lo que nos da y de comunión con el hermano, con el compartinos la alegría de la fraternidad. Que Dios los bendiga. Muchas gracias.

Saúdo os peregrinos de língua portuguesa, com votos de que sempre possais dar-vos conta do dom maravilhoso que é a vida. Vele sobre o vosso caminho a Virgem Maria e vos ajude a ser, por todo o lado, sinal de confiança e esperança. Sobre vós e vossas famílias desça a Bênção de Deus.

[Saluto i pellegrini di lingua portoghese, augurando di rendervi sempre conto di quanto la vita sia davvero un dono meraviglioso. Vegli sul vostro cammino la Vergine Maria e vi aiuti ad essere dovunque segno di fiducia e di speranza. Su di voi e sulle vostre famiglie scenda la Benedizione di Dio.]

أُحيِّي المُؤمِنِينَ النَّاطِقِينَ باللُغَةِ العربِيَّة. المسيحِيُّونَ الَّذينَ "لَبِسُوا المَسِيحَ" (راجع غلاطية 3، 27) في المعموديَّة، مَدعُوونَ إلى أنْ يَعِيشُوا "المحبَّةَ والفرحَ والسَّلامَ والصَّبرَ واللُّطفَ وكَرَمَ الأَخلاقِ والإِيمانَ والوداعَةَ والعَفاف" (غلاطية 5، 22) حتَّى يَبقَوا أُمَناءَ لِدَعوَتِهِم. بارَكَكُم الرَّبُّ جَميعًا وَحَماكُم دائِمًا مِنْ كُلِّ شَرّ!

[Saluto i fedeli di lingua araba. Per rimanere fedeli alla loro vocazione, i cristiani che nel battesimo si sono «rivestiti di Cristo» (Gal 3,27), sono chiamati a vivere «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Il Signore vi benedica tutti e vi protegga ‎sempre da ogni male‎!]

Pozdrawiam serdecznie Polaków. Na początku Nowego Roku ważne jest, aby pamiętać, że pokój, którego tak wszyscy pragniemy, rodzi się w sercu człowieka. Niech Maryja, Królowa pokoju, wspiera was, by wasze plany i decyzje wypływały z pragnienia dobra swojego, waszych rodzin, Ojczyzny i całego świata. Z serca Wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i polacchi. All'inizio del nuovo anno, è importante ricordare che la pace, tanto voluta da tutti, nasce nel cuore dell'uomo. Maria, Regina della Pace, vi sostenga affinché i vostri progetti e le vostre decisioni nascano dal desiderio di bene per voi stessi, per le vostre famiglie, per la vostra Patria e per il mondo intero. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli di Terracina, quelli di Canosa di Puglia e gli studenti di Frosinone.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli - sono tanti! -: tutti invito ad operare sempre nella novità di vita che ci indica il Figlio di Dio, incarnatosi per salvare l’uomo.

Rinnoviamo la nostra vicinanza con la preghiera alla cara popolazione Ucraina così provata e a quanti soffrono l’orrore della guerra in Palestina e Israele, come pure in altre parti del mondo. Preghiamo, preghiamo per questa gente che è sotto la guerra e preghiamo il Signore perché semini nel cuore delle Autorità dei Paesi il seme della pace.

A tutti la mia Benedizione!

Alla Delegazione del Gruppo DIALOP (Transversal Dialogue Project) (10 gennaio 2024)

Mer, 10/01/2024 - 08:30

Cari amici, buongiorno!

Do il benvenuto a voi, rappresentanti di DIALOP, da molti anni impegnati per la promozione del bene comune attraverso il dialogo tra socialisti/marxisti e cristiani. Un bel programma!

Uno scrittore latinoamericano ha detto che gli uomini hanno due occhi, ma uno di carne e un altro di vetro. Col primo vedono ciò che guardano, con l’altro ciò che sognano. Non perdere la capacità di sognare! Oggi, in un mondo diviso da guerre e polarizzazioni, corriamo il rischio di perdere la capacità di sognare. Ma noi argentini diciamo: «no te arrugues», un’espressione che significa “non tirarti indietro”. E questo è l’invito che faccio anche a voi: non tiratevi indietro, non arrendetevi, non smettete di sognare un mondo migliore. È nell’immaginazione, infatti, che intelligenza, intuizione, esperienza e memoria storica si incontrano per creare, avventurarsi e rischiare. Quante volte, lungo i secoli, sono stati proprio dei grandi sogni di libertà e di uguaglianza, di dignità e di fraternità, uno specchio del sogno di Dio, a produrre svolte e progressi. In quest’ottica, vorrei raccomandarvi tre atteggiamenti che ritengo validi per il vostro impegno: il coraggio di rompere gli schemi, l’attenzione ai deboli e la promozione della legalità.

Primo: avere il coraggio di rompere gli schemi per aprirsi, nel dialogo, a vie nuove. In un tempo segnato a vari livelli da conflitti e spaccature, non perdiamo di vista ciò che ancora si può fare per invertire la rotta. Contro gli approcci rigidi che separano, coltiviamo con cuore aperto il confronto e l’ascolto, non escludendo nessuno, a livello politico, sociale e religioso, perché il contributo di ciascuno possa, nella sua concreta peculiarità, essere accolto positivamente nei processi di cambiamento cui è legato il nostro futuro.

Secondo: l’attenzione ai deboli. La misura di una civiltà si vede da come vengono trattati i più vulnerabili – non dimentichiamo che le grandi dittature, pensiamo al nazismo, scartavano i vulnerabili, li uccidevano, li scartavano –: poveri, disoccupati, senza tetto, immigrati, sfruttati e tutti coloro che la cultura dello scarto trasforma in rifiuti. E questa è una delle cose più brutte. Una politica veramente al servizio dell’uomo non può lasciarsi dettar legge dalla finanza e dai meccanismi di mercato. No. La solidarietà, oltre che virtù morale, è esigenza di giustizia, che richiede di correggere le distorsioni e purificare le intenzioni dei sistemi iniqui, anche attraverso radicali cambiamenti di prospettiva nella condivisione di sfide e risorse tra gli uomini e tra i popoli. Per questo mi piace chiamare “poeta sociale” chi si impegna in questo campo, perché poesia è creatività, e qui si tratta di mettere la creatività al servizio della società, perché sia più umana e fraterna. Non avere paura della poesia, la poesia è creatività. Non dimentichiamo questa capacità di sognare.

Infine la legalità. Quanto abbiamo detto finora implica l’impegno a contrastare la piaga della corruzione, degli abusi di potere e dell’illegalità. Solo nell’onestà, infatti, si possono instaurare relazioni sane e si può cooperare con fiducia ed efficacia alla costruzione di un avvenire migliore.

Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno nel dialogo. C’è sempre tanto bisogno di dialogare, non abbiate paura! Prego per voi e vi auguro saggezza e coraggio nel vostro lavoro per un mondo più giusto e pacifico. Il Vangelo di Gesù Cristo possa sempre ispirare e illuminare la vostra ricerca e le vostre azioni. Grazie.

Ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno (8 gennaio 2024)

Lun, 08/01/2024 - 10:00

Eccellenze,
Signore e Signori!

Sono lieto di accogliervi stamani per salutarvi personalmente e porgervi gli auguri per il nuovo anno. Ringrazio, in modo particolare, Sua Eccellenza l’Ambasciatore George Poulides, Decano del Corpo Diplomatico, per le sue gentili parole, che bene esprimono le preoccupazioni della comunità internazionale all’inizio di un anno che vorremmo di pace e che invece si apre all’insegna di conflitti e divisioni.

L’occasione mi è gradita anche per ringraziarvi per l’impegno che profondete per favorire le relazioni tra la Santa Sede e i vostri Paesi. Lo scorso anno, la nostra “famiglia diplomatica” si è ulteriormente allargata grazie all’allacciamento dei rapporti diplomatici con il Sultanato dell’Oman e la nomina del primo Ambasciatore, qui presente.

In pari tempo, desidero ricordare che la Santa Sede ha proceduto alla nomina di un Rappresentante Pontificio Residente ad Ha Noi, dopo che, nel luglio scorso, è stato concluso con il Vietnam il relativo Accordo sullo statuto del Rappresentante Pontificio. Ciò al fine di continuare insieme il cammino sin qui percorso, nel segno del reciproco rispetto e della fiducia, grazie alle frequenti relazioni a livello istituzionale e alla collaborazione della Chiesa locale.

Nel 2023 si è anche ratificato l’Accordo Supplementare all’Accordo tra la Santa Sede e il Kazakhstan sulle relazioni mutue del 24 settembre 1998, che agevola la presenza e l’impiego degli operatori pastorali nel Paese; e vi è stata inoltre l’occasione di celebrare quattro significativi anniversari: il centenario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Panama, il settantesimo di quelle con la Repubblica Islamica dell’Iran, il sessantesimo di quelle con la Repubblica di Corea e il cinquantesimo di quelle con l’Australia.

Cari Ambasciatori

c’è una parola che risuona in modo particolare nelle due principali feste cristiane. La udiamo nel canto degli angeli che annunciano nella notte la nascita del Salvatore e la intendiamo dalla voce di Gesù risorto: è la parola “pace”. Essa è primariamente un dono di Dio: è Lui che ci lascia la sua pace (cfr Gv 14,27); ma nello stesso tempo è una nostra responsabilità: «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Lavorare per la pace. Parola tanto fragile e nel contempo impegnativa e densa di significato. Ad essa vorrei dedicare la nostra riflessione odierna, in un momento storico in cui è sempre più minacciata, indebolita e in parte perduta. D’altronde, è compito della Santa Sede, in seno alla comunità internazionale, essere voce profetica e richiamo della coscienza.

Alla vigilia di Natale del 1944, Pio XII pronunciò un celebre Radiomessaggio ai popoli del mondo intero. La seconda guerra mondiale stava avvicinandosi alla conclusione dopo oltre cinque anni di conflitto e l’umanità – disse il Pontefice – avvertiva «una volontà sempre più chiara e ferma: fare di questa guerra mondiale, di questo universale sconvolgimento, il punto da cui prenda le mosse un’era novella per il rinnovamento profondo» [1]. Ottant’anni dopo, la spinta a quel “rinnovamento profondo” sembra essersi esaurita e il mondo è attraversato da un crescente numero di conflitti che lentamente trasformano quella che ho più volte definito “terza guerra mondiale a pezzi” in un vero e proprio conflitto globale.

Non posso in questa sede non ribadire la mia preoccupazione per quanto sta avvenendo in Palestina e Israele. Tutti siamo rimasti scioccati dall’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro la popolazione in Israele, dove sono stati feriti, torturati e uccisi in maniera atroce tanti innocenti e molti sono stati presi in ostaggio. Ripeto la mia condanna per tale azione e per ogni forma di terrorismo ed estremismo: in questo modo non si risolvono le questioni tra i popoli, anzi esse diventano più difficili, causando sofferenza per tutti. Infatti, ciò ha provocato una forte risposta militare israeliana a Gaza che ha portato la morte di decine di migliaia di palestinesi, in maggioranza civili, tra cui tanti bambini, ragazzi e giovani, e ha causato una situazione umanitaria gravissima con sofferenze inimmaginabili.

Ribadisco il mio appello a tutte le parti coinvolte per un cessate-il-fuoco su tutti i fronti, incluso il Libano, e per l’immediata liberazione di tutti gli ostaggi a Gaza. Chiedo che la popolazione palestinese riceva gli aiuti umanitari e che gli ospedali, le scuole e i luoghi di culto abbiano tutta la protezione necessaria.

Auspico che la Comunità internazionale percorra con determinazione la soluzione di due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme, affinché israeliani e palestinesi possano finalmente vivere in pace e sicurezza.

Il conflitto in corso a Gaza destabilizza ulteriormente una regione fragile e carica di tensioni. In particolare, non si può dimenticare il popolo siriano, che vive nell’instabilità economica e politica, aggravata dal terremoto del febbraio scorso. La Comunità internazionale incoraggi le Parti coinvolte a intraprendere un dialogo costruttivo e serio e a cercare soluzioni nuove, perché il popolo siriano non abbia più a soffrire a causa delle sanzioni internazionali. Inoltre, esprimo la mia sofferenza per i milioni di rifugiati siriani che ancora si trovano nei Paesi vicini, come la Giordania e il Libano.

A quest’ultimo rivolgo un particolare pensiero, esprimendo preoccupazione per la situazione sociale ed economica in cui versa il caro popolo libanese, e auspico che lo stallo istituzionale che lo sta mettendo ancora più in ginocchio venga risolto e che il Paese dei Cedri abbia presto un Presidente.

Rimanendo nel continente asiatico, desidero richiamare l’attenzione della Comunità internazionale pure sul Myanmar, chiedendo che vengano messi in campo tutti gli sforzi per dare speranza a quella terra e un futuro degno alle giovani generazioni, senza dimenticare l’emergenza umanitaria che ancora colpisce i Rohingya.

Accanto a queste situazioni complesse, non mancano anche segni di speranza, come ho potuto sperimentare nel corso del viaggio in Mongolia, alle cui Autorità rinnovo la mia gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. Allo stesso modo, desidero ringraziare le Autorità ungheresi per l’ospitalità durante la mia visita al Paese nell’aprile scorso. È stato un viaggio nel cuore dell’Europa, dove si respirano storia e cultura e dove ho saggiato il calore di molte persone, ma dove si avverte anche la vicinanza di un conflitto che non avremmo ritenuto possibile nell’Europa del XXI secolo.

Purtroppo, dopo quasi due anni di guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, la tanto desiderata pace non è ancora riuscita a trovare posto nelle menti e nei cuori, nonostante le numerosissime vittime e l’enorme distruzione. Non si può lasciare protrarre un conflitto che va incancrenendosi sempre di più, a detrimento di milioni di persone, ma occorre che si ponga fine alla tragedia in atto attraverso il negoziato, nel rispetto del diritto internazionale.

Esprimo preoccupazione anche per la tesa situazione nel Caucaso Meridionale tra l’Armenia e l’Azerbaigian, esortando le parti ad arrivare alla firma di un Trattato di pace. È urgente trovare una soluzione alla drammatica situazione umanitaria degli abitanti di quella regione, favorire il ritorno degli sfollati alle proprie case in legalità e sicurezza e rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose ivi presenti. Tali passi potranno contribuire alla creazione di un clima di fiducia tra i due Paesi in vista della tanto desiderata pace.

Se volgiamo ora lo sguardo all’Africa, abbiamo davanti agli occhi la sofferenza di milioni di persone per le molteplici crisi umanitarie in cui versano vari Paesi sub-sahariani, a causa del terrorismo internazionale, dei complessi problemi socio-politici, e degli effetti devastanti provocati dal cambiamento climatico, ai quali si sommano le conseguenze dei colpi di stato militari occorsi in alcuni Paesi e di certi processi elettorali caratterizzati da corruzione, intimidazioni e violenza.

In pari tempo, rinnovo un appello per un serio impegno da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’applicazione dell’Accordo di Pretoria del novembre 2022, che ha messo fine ai combattimenti nel Tigray, e nella ricerca di soluzioni pacifiche alle tensioni e alle violenze che assillano l’Etiopia, nonché per il dialogo, la pace e la stabilità tra i Paesi del Corno d’Africa.

Vorrei pure ricordare i drammatici eventi in Sudan, dove purtroppo, dopo mesi di guerra civile, non si vede ancora una via di uscita; nonché le situazioni degli sfollati in Camerun, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Proprio questi due ultimi Paesi ho avuto la gioia di visitare all’inizio dello scorso anno, per portare un segno di vicinanza alle loro popolazioni sofferenti, seppure in contesti e situazioni diversi. Ringrazio di cuore le Autorità di entrambi i Paesi per l’impegno organizzativo e per l’accoglienza riservatami. Il viaggio in Sud Sudan ha avuto peraltro un carattere ecumenico, essendo stato accompagnato dall’Arcivescovo di Canterbury e dal Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, a testimonianza dell’impegno condiviso delle nostre Comunità ecclesiali per la pace e la riconciliazione.

Sebbene non vi siano guerre aperte nelle Americhe, fra alcuni Paesi, per esempio tra il Venezuela e la Guyana, vi sono forti tensioni, mentre in altri, come in Perù, osserviamo fenomeni di polarizzazione che compromettono l’armonia sociale e indeboliscono le istituzioni democratiche.

Desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa Cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione.

Eccellenze, Signore e Signori

dietro questo quadro che ho voluto tratteggiare brevemente e senza pretese di esaustività, si trova un mondo sempre più lacerato, ma soprattutto si trovano milioni di persone – uomini, donne, padri, madri, bambini – i cui volti ci sono per lo più sconosciuti e che spesso dimentichiamo.

D’altra parte, le guerre moderne non si svolgono più solo su campi di battaglia delimitati, né riguardano solamente i soldati. In un contesto in cui sembra non essere osservato più il discernimento tra obiettivi militari e civili, non c’è conflitto che non finisca in qualche modo per colpire indiscriminatamente la popolazione civile. Gli avvenimenti in Ucraina e a Gaza ne sono la prova evidente. Non dobbiamo dimenticare che le violazioni gravi del diritto internazionale umanitario sono crimini di guerra, e che non è sufficiente rilevarli, ma è necessario prevenirli. Occorre dunque un maggiore impegno della Comunità internazionale per la salvaguardia e l’implementazione del diritto umanitario, che sembra essere l’unica via per la tutela della dignità umana in situazioni di scontro bellico.

All’inizio di quest’anno risuona quanto mai attuale l’esortazione del Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes: «Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. […] Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra». [2] Anche quando si tratta di esercitare il diritto alla legittima difesa, è indispensabile attenersi ad un uso proporzionato della forza.

Forse non ci rendiamo conto che le vittime civili non sono “danni collaterali”. Sono uomini e donne con nomi e cognomi che perdono la vita. Sono bambini che rimangono orfani e privati del futuro. Sono persone che soffrono la fame, la sete e il freddo o che rimangono mutilate a causa della potenza degli ordigni moderni. Se riuscissimo a guardare ciascuno di loro negli occhi, a chiamarli per nome e ad evocarne la storia personale, guarderemmo alla guerra per quello che è: nient’altro che un’immane tragedia e “un’inutile strage” [3], che colpisce la dignità di ogni persona su questa terra.

D’altra parte, le guerre possono proseguire grazie all’enorme disponibilità di armi. Occorre perseguire una politica di disarmo, poiché è illusorio pensare che gli armamenti abbiano un valore deterrente. Piuttosto è vero il contrario: la disponibilità di armi ne incentiva l’uso e ne incrementa la produzione. Le armi creano sfiducia e distolgono risorse. Quante vite si potrebbero salvare con le risorse oggi destinate agli armamenti? Non sarebbe meglio investirle in favore di una vera sicurezza globale? Le sfide del nostro tempo travalicano i confini, come dimostrano le varie crisi – alimentare, ambientale, economica e sanitaria – che stanno caratterizzando l’inizio del secolo. In questa sede, reitero la proposta di costituire un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame [4] e promuovere uno sviluppo sostenibile dell’intero pianeta.

Tra le minacce causate da tali strumenti di morte, non posso poi tralasciare di menzionare quella provocata dagli arsenali nucleari e dallo sviluppo di ordigni sempre più sofisticati e distruttivi. Ribadisco ancora una volta l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari. Al riguardo, esprimo l’auspicio che si possa giungere al più presto alla ripresa dei negoziati per il riavvio del Piano d’azione congiunto globale, meglio noto come “Accordo sul nucleare iraniano”, per garantire a tutti un futuro più sicuro.

Per perseguire la pace, tuttavia, non è sufficiente limitarsi a rimuovere gli strumenti bellici, occorre estirpare alla radice le cause delle guerre, prime fra tutte la fame, una piaga che colpisce tuttora intere regioni della Terra, mentre in altre si verificano ingenti sprechi alimentari. Vi è poi lo sfruttamento delle risorse naturali, che arricchisce pochi, lasciando nella miseria e nella povertà intere popolazioni, che sarebbero i beneficiari naturali di tali risorse. Ad esso è connesso lo sfruttamento delle persone, costrette a lavorare sottopagate e senza reali prospettive di crescita professionale.

Tra le cause di conflitto vi sono anche le catastrofi naturali e ambientali. Certamente vi sono disastri che la mano dell’uomo non può controllare. Penso ai recenti terremoti in Marocco e in Cina, che hanno causato centinaia di vittime, come pure a quello che ha colpito duramente la Turchia e parte della Siria e che ha lasciato dietro di sé una tremenda scia di morte e distruzione. Penso pure all’alluvione che ha colpito Derna in Libia, distruggendo di fatto la città, anche a causa del concomitante crollo di due dighe.

Vi sono però i disastri che sono imputabili anche all’azione o all’incuria dell’uomo e che contribuiscono gravemente alla crisi climatica in atto, come ad esempio la deforestazione dell’Amazzonia, che è il “polmone verde” della Terra.

La crisi climatica e ambientale è stata oggetto della XXVIII Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP28), tenutasi a Dubai il mese scorso, alla quale mi rincresce di non aver potuto partecipare personalmente. Essa è iniziata in concomitanza con l’annuncio dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale che il 2023 è stato l’anno più caldo rispetto ai 174 anni precedentemente registrati. La crisi climatica esige una risposta sempre più urgente e richiede il pieno coinvolgimento di tutti quanti, così come dell’intera comunità internazionale [5].

L’adozione del documento finale alla COP28 rappresenta un passo incoraggiante e rivela che, di fronte alle tante crisi che stiamo vivendo, vi è la possibilità di rivitalizzare il multilateralismo attraverso la gestione della questione climatica globale, in un mondo in cui i problemi ambientali, sociali e politici sono strettamente connessi. Alla COP28 è emerso chiaramente come quello in corso sia il decennio critico per fronteggiare il cambiamento climatico. La cura del creato e la pace «sono le tematiche più urgenti e sono collegate» [6]. Auspico, pertanto, che quanto stabilito a Dubai porti a «una decisa accelerazione della transizione ecologica, attraverso forme che […] trovino realizzazione in quattro campi: l’efficienza energetica; le fonti rinnovabili; l’eliminazione dei combustibili fossili; l’educazione a stili di vita meno dipendenti da questi ultimi» [7].

Le guerre, la povertà, l’abuso della nostra casa comune e il continuo sfruttamento delle sue risorse, che sono alla radice di disastri naturali, sono cause che spingono pure migliaia di persone ad abbandonare la propria terra alla ricerca di un futuro di pace e sicurezza. Nel loro viaggio mettono a rischio la propria vita su percorsi pericolosi, come nel deserto del Sahara, nella foresta del Darién al confine tra Colombia e Panama, in America centrale, nel nord del Messico, alla frontiera con gli Stati Uniti, e soprattutto nel Mare Mediterraneo. Questo, purtroppo, è diventato nell’ultimo decennio un grande cimitero, con tragedie che continuano a susseguirsi, anche a causa di trafficanti di esseri umani senza scrupoli. Tra le tante vittime, non dimentichiamolo, ci sono molti minori non accompagnati.

Il Mediterraneo dovrebbe essere piuttosto un laboratorio di pace, un «luogo dove Paesi e realtà diverse si incontrino sulla base dell’umanità che tutti condividiamo» [8], come ho avuto modo di sottolineare a Marsiglia, nel corso del mio viaggio, per il quale ringrazio gli organizzatori e le Autorità francesi, in occasione dei Rencontres Méditerranéennes. Davanti a questa immane tragedia finiamo facilmente per chiudere il nostro cuore, trincerandoci dietro la paura di una “invasione”. Dimentichiamo facilmente che abbiamo davanti persone con volti e nomi e tralasciamo la vocazione propria del Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba, ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che la migrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti, nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione. D’altra parte occorre pure richiamare il diritto di poter rimanere nella propria Patria e la conseguente necessità di creare le condizioni affinché esso possa effettivamente esercitarsi.

Dinanzi a questa sfida nessun Paese può essere lasciato solo, né alcuno può pensare di affrontare isolatamente la questione attraverso legislazioni più restrittive e repressive, approvate talvolta sotto la pressione della paura o per accrescere il consenso elettorale. Accolgo perciò con soddisfazione l’impegno dell’Unione Europea a ricercare una soluzione comune mediante l’adozione del nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, pur rilevandone alcuni limiti, specialmente per ciò che concerne il riconoscimento del diritto d’asilo e per il pericolo di detenzioni arbitrarie.

Cari Ambasciatori

la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio. Al riguardo, ritengo deprecabile la pratica della cosiddetta maternità surrogata, che lede gravemente la dignità della donna e del figlio. Essa è fondata sullo sfruttamento di una situazione di necessità materiale della madre. Un bambino è sempre un dono e mai l’oggetto di un contratto. Auspico, pertanto, un impegno della Comunità internazionale per proibire a livello universale tale pratica. In ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte, che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani e malati.

La via della pace esige il rispetto dei diritti umani, secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, di cui abbiamo da poco celebrato il 75° anniversario. Si tratta di principi razionalmente evidenti e comunemente accettati. Purtroppo, i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originalmente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace.

Il dialogo, invece, dev’essere l’anima della Comunità internazionale. L’attuale congiuntura è anche causata dall’indebolimento di quelle strutture di diplomazia multilaterale che hanno visto la luce dopo il secondo conflitto mondiale. Organismi creati per favorire la sicurezza, la pace e la cooperazione non riescono più a unire tutti i loro membri intorno a un tavolo. C’è il rischio di una “monadologia” e della frammentazione in “club” che lasciano entrare solo Stati ritenuti ideologicamente affini. Anche quegli organismi finora efficienti, concentrati sul bene comune e su questioni tecniche, rischiano una paralisi a causa di polarizzazioni ideologiche, venendo strumentalizzati da singoli Stati.

Per rilanciare un comune impegno a servizio della pace, occorre recuperare le radici, lo spirito e i valori che hanno originato quegli organismi, pur tenendo conto del mutato contesto e avendo riguardo per quanti non si sentono adeguatamente rappresentati dalle strutture delle Organizzazioni internazionali.

Certamente dialogare richiede pazienza, perseveranza e capacità di ascolto, ma quando ci si adopera nel tentativo sincero di porre fine alle discordie, si possono raggiungere risultati significativi. Penso ad esempio all’Accordo di Belfast, noto anche come Accordo del Venerdì Santo, firmato dai Governi britannico e irlandese, di cui lo scorso anno si è ricordato il 25° anniversario. Esso, ponendo fine a trent’anni di violento conflitto, può essere preso ad esempio per spronare e stimolare le Autorità a credere nei processi di pace, nonostante le difficoltà e i sacrifici che richiedono.

La via della pace passa per il dialogo politico e sociale, poiché esso è alla base della convivenza civile di una moderna comunità politica. Il 2024 vedrà la convocazione di elezioni in molti Stati. Le elezioni sono un momento fondamentale della vita di un Paese, poiché consentono a tutti i cittadini di scegliere responsabilmente i propri governanti. Risuonano più che mai attuali le parole di Pio XII: «Esprimere il proprio parere sui doveri e i sacrifici, che gli vengono imposti; non essere costretto ad ubbidire senza essere stato ascoltato: ecco due diritti del cittadino, che trovano nella democrazia, come indica il suo nome stesso, la loro espressione. Dalla solidità, dall’armonia, dai buoni frutti di questo contatto tra i cittadini e il governo dello Stato, si può riconoscere se una democrazia è veramente sana ed equilibrata, e quale sia la sua forza di vita e di sviluppo» [9].

È perciò importante che i cittadini, specialmente le giovani generazioni che saranno chiamate alle urne per la prima volta, avvertano come loro precipua responsabilità quella di contribuire all’edificazione del bene comune, attraverso una partecipazione libera e consapevole alle votazioni. D’altronde la politica va sempre intesa non come appropriazione del potere, ma come «forma più alta di carità» [10] e dunque del servizio al prossimo in seno a una comunità locale o nazionale.

La via della pace passa pure attraverso il dialogo interreligioso, che innanzitutto richiede la tutela della libertà religiosa e il rispetto delle minoranze. Duole, ad esempio, constatare come cresca il numero di Paesi che adottano modelli di controllo centralizzato sulla libertà di religione, con l’uso massiccio di tecnologia. In altri luoghi, le comunità religiose minoritarie si trovano spesso in una situazione sempre più drammatica. In alcuni casi sono a rischio di estinzione, a causa di una combinazione di azioni terroristiche, attacchi al patrimonio culturale e misure più subdole come la proliferazione delle leggi anti-conversione, la manipolazione delle regole elettorali e le restrizioni finanziarie.

Preoccupa particolarmente l’aumento degli atti di antisemitismo verificatisi negli ultimi mesi; e ancora una volta sono a ribadire che questa piaga va sradicata dalla società, soprattutto con l’educazione alla fraternità e all’accoglienza dell’altro.

Parimenti preoccupa la crescita della persecuzione e della discriminazione nei confronti dei cristiani, soprattutto negli ultimi dieci anni. Essa riguarda non di rado, seppure in modo incruento ma socialmente rilevante, quei fenomeni di lenta marginalizzazione ed esclusione dalla vita politica e sociale e dall’esercizio di certe professioni che avvengono anche in terre tradizionalmente cristiane. Nel complesso sono oltre 360 milioni i cristiani nel mondo che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede, e sono sempre di più quelli costretti a fuggire dalle proprie terre d’origine.

Infine, la via della pace passa per l’educazione, che è il principale investimento sul futuro e sulle giovani generazioni. Ho ancora vivo il ricordo della Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi in Portogallo nell’agosto scorso. Mentre ringrazio nuovamente le Autorità portoghesi, civili e religiose, per l’impegno profuso nell’organizzazione, conservo nel cuore l’incontro con più di un milione di giovani, provenienti da ogni parte del mondo, pieni di entusiasmo e voglia di vivere. La loro presenza è stata un grande inno alla pace e la testimonianza che «l’unità è superiore al conflitto» [11] e che è «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» [12].

Nei tempi moderni, parte della sfida educativa riguarda un uso etico delle nuove tecnologie. Esse possono facilmente diventare strumenti di divisione o di diffusione di menzogna, le cosiddette fake news, ma sono anche mezzo di incontro, di scambi reciproci e un importante veicolo di pace. «I notevoli progressi delle nuove tecnologie dell’informazione, specialmente nella sfera digitale, presentano dunque entusiasmanti opportunità e gravi rischi, con serie implicazioni per il perseguimento della giustizia e dell’armonia tra i popoli» [13]. Per questo motivo ho ritenuto importante dedicare l’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace all’intelligenza artificiale, che è una delle sfide più importanti dei prossimi anni.

È indispensabile che lo sviluppo tecnologico avvenga in modo etico e responsabile, preservando la centralità della persona umana, il cui apporto non può né potrà mai essere rimpiazzato da un algoritmo o da una macchina. «La dignità intrinseca di ogni persona e la fraternità che ci lega come membri dell’unica famiglia umana devono stare alla base dello sviluppo di nuove tecnologie e servire come criteri indiscutibili per valutarle prima del loro impiego, in modo che il progresso digitale possa avvenire nel rispetto della giustizia e contribuire alla causa della pace» [14].

Occorre dunque una riflessione attenta ad ogni livello, nazionale e internazionale, politico e sociale, perché lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si mantenga al servizio dell’uomo, favorendo e non ostacolando, specialmente nei giovani, le relazioni interpersonali, un sano spirito di fraternità e un pensiero critico capace di discernimento.

In tale prospettiva acquisiscono particolare rilevanza le due Conferenze Diplomatiche dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, che avranno luogo nel 2024 e alle quali la Santa Sede parteciperà come Stato membro. Per la Santa Sede, la proprietà intellettuale è essenzialmente orientata alla promozione del bene comune e non può svincolarsi da limitazioni di natura etica dando luogo a situazioni di ingiustizia e indebito sfruttamento. Speciale attenzione va poi prestata alla tutela del patrimonio genetico umano, impedendo che si realizzino pratiche contrarie alla dignità dell’uomo, quali la brevettabilità del materiale biologico umano e la clonazione di esseri umani. 

Eccellenze, Signore e Signori

in quest’anno la Chiesa si prepara al Giubileo che inizierà il prossimo Natale. Ringrazio in particolare le Autorità italiane, nazionali e locali, per l’impegno che stanno profondendo nel preparare la città di Roma ad accogliere numerosi pellegrini e consentire loro di trarre frutti spirituali dal cammino giubilare.

Forse oggi più che mai abbiamo bisogno dell’anno giubilare. Di fronte a tante sofferenze, che provocano disperazione non soltanto nelle persone direttamente colpite, ma in tutte le nostre società; di fronte ai nostri giovani, che invece di sognare un futuro migliore si sentono spesso impotenti e frustrati; e di fronte all’oscurità di questo mondo, che sembra diffondersi anziché allontanarsi, il Giubileo è l’annuncio che Dio non abbandona mai il suo popolo e tiene sempre aperte le porte del suo Regno. Nella tradizione giudeo-cristiana il Giubileo è un tempo di grazia in cui sperimentare la misericordia di Dio e il dono della sua pace. È un tempo di giustizia in cui i peccati sono rimessi, la riconciliazione supera l’ingiustizia, e la terra si riposa. Esso può essere per tutti – cristiani e non cristiani – il tempo in cui spezzare le spade e farne aratri; il tempo in cui una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, né si imparerà più l’arte della guerra (cfr Is 2,4).

È questo l’augurio, cari fratelli e sorelle, l’augurio che formulo di cuore a ciascuno di voi, cari Ambasciatori, alle vostre famiglie, ai collaboratori e ai popoli che rappresentate. Grazie e buon anno a tutti!
 

 

[1] Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.

[2] Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), 79.

[3] Cfr Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti (1° agosto 1917).

[4] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti sulla fraternità e l’amicizia sociale (3 ottobre 2020), 262.

[5] Cfr Esort. ap. Laudate Deum a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica (4 ottobre 2023).

[6] Discorso alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 2 dicembre 2023.

[7] Ibid.

[8] Discorso alla Sessione conclusiva dei «Rencontres Méditerranéennes», Marsiglia, 23 settembre 2023, 1.

[9] Cfr Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, 24 dicembre 1944.

[10] Pio XI, Udienza ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica, 18 dicembre 1927.

[11] Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 228.

[12] Ibid.

[13] Messaggio per la LVII Giornata Mondiale della Pace (8 dicembre 2023), 1.

[14] Ibid., 2.

Angelus, 7 gennaio 2024, Festa del Battesimo del Signore

Dom, 07/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi celebriamo il Battesimo del Signore (cfr Mc 1,7-11). Esso avviene presso il fiume Giordano, dove Giovanni – detto per questo “Battista” – compie un rito di purificazione, che esprime l’impegno a lasciare il peccato e a convertirsi. Il popolo va a farsi battezzare con umiltà, con sincerità e, come dice la Liturgia, “con l’anima e i piedi nudi”, e anche Gesù ci va, inaugurando il suo ministero: mostra così di voler stare vicino ai peccatori, di essere venuto per loro, per noi tutti che siamo peccatori.

E proprio in quel giorno succedono alcuni fatti straordinari. Giovanni Battista dice qualcosa di insolito, riconoscendo pubblicamente in Gesù, apparentemente uguale a tutti gli altri, uno «più forte» (v. 7) di lui, che «battezzerà in Spirito Santo» (v. 8). Poi si aprono i cieli, lo Spirito Santo scende su Gesù come una colomba (cfr v. 10) e dall’alto la voce del Padre proclama: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 11).

Tutto questo, se da una parte ci rivela che Gesù è il Figlio di Dio, dall’altra ci parla del nostro Battesimo, che ci ha resi a nostra volta figli di Dio, perché il Battesimo ci fa figli di Dio.

Il Battesimo è Dio che viene in noi, purifica, guarisce il nostro cuore, ci fa suoi figli per sempre, suo popolo, sua famiglia, eredi del Paradiso (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1279). E Dio diviene intimo a noi e non se ne va più. Per questo è importante ricordare il giorno del Battesimo e anche conoscerne la data. Io domando a tutti voi – ognuno ci pensi –: “Io ricordo la data del mio Battesimo?”. Se tu non la ricordi, quando tornerai a casa, domandala per non dimenticarla più, perché è un nuovo compleanno, perché con il tuo Battesimo sei nato alla vita della grazia. Ringraziamo il Signore per il Battesimo. E anche, ringraziamolo per i genitori che ci hanno portato al fonte, per chi ci ha amministrato il Sacramento, per il padrino, per la madrina, per la comunità in cui lo abbiamo ricevuto. Festeggiare il proprio Battesimo: è un nuovo compleanno.

E possiamo chiederci: io sono consapevole del dono immenso che porto in me per il Battesimo? Riconosco, nella mia vita, la luce della presenza di Dio, che mi vede come suo figlio amato, come sua figlia amata? E ora, in memoria del nostro Battesimo, accogliamo la presenza di Dio in noi. Possiamo farlo con il segno della croce, che traccia in noi il ricordo della grazia di Dio, il quale ci ama e desidera stare con noi. Quel segno della croce che ci ricorda questo. Facciamolo insieme: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

E non dimenticatevi la data del Battesimo che è un compleanno. Maria, tempio dello Spirito, ci aiuti a celebrare ed accogliere le meraviglie che il Signore compie in noi.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Nell’odierna festa del Battesimo del Signore, ho battezzato alcuni neonati. Preghiamo per loro e per le loro famiglie. Estendo questa preghiera a tutti i bambini che in questi giorni ricevono il santo Battesimo.

Oggi le comunità ecclesiali dell’Oriente che seguono il Calendario Giuliano celebrano il Santo Natale. In spirito di gioiosa fraternità auguro che la nascita del Signore Gesù le ricolmi di luce, di carità e di pace.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per la liberazione, senza condizioni, di tutte le persone attualmente sequestrate in Colombia. Questo gesto, che è un dovere davanti a Dio, favorirà anche un clima di riconciliazione e di pace nel Paese.

Sono molto vicino alle popolazioni della Repubblica Democratica del Congo colpite nei giorni scorsi da inondazioni. E per favore continuiamo a pregare per la pace; per la pace in Ucraina, in Palestina, Israele e nel mondo intero.

E saluto tutti voi, pellegrini provenienti dall’Italia e da tante parti del mondo, in particolare i ragazzi della parrocchia del Santissimo Crocifisso in Roma, il gruppo Scout Milano 35 e l’associazione “Totus tuus” di Potenza.

Auguro a tutti una bella festa. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

Festa del Battesimo del Signore (7 gennaio 2024)

Dom, 07/01/2024 - 09:30

Cari fratelli e sorelle,

noi siamo qui per battezzare, per dare il dono della fede ai nostri bimbi. E loro sono i protagonisti in questa cerimonia: loro possono parlare, andare, gridare… Loro comandano, perché è la loro festa: riceveranno il dono più bello, il dono della fede, il dono del Signore.

Se piangono – per il momento sono silenziosi, ma è sufficiente che uno dia la nota e incomincia il concerto – lasciateli piangere; se hanno fame, allattateli, tranquilli, qui. Se hanno caldo, togliete le vesti, che a volte il caldo fa male.

Loro sono i protagonisti, perché loro oggi daranno anche a noi la testimonianza di come si riceve la fede: con innocenza, con apertura di cuore.

E a voi, genitori e padrini, auguro che la vostra vita sia di aiuto per questi bambini, di aiuto per la crescita. Vi auguro di accompagnarli nella crescita, perché questo è un modo di aiutare, affinché la fede cresca in loro. Grazie tante per la vostra testimonianza, per averli portarli qui a ricevere la fede.

E adesso, continuiamo con il rito del Battesimo.

Angelus, 6 gennaio 2024, Solennità dell'Epifania del Signore

Sab, 06/01/2024 - 12:00

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona festa!

Oggi celebriamo l’Epifania del Signore, cioè la sua manifestazione a tutti i popoli, impersonati dai Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi sono dei saggi ricercatori che, dopo essersi lasciati interrogare dall’apparizione di una stella, si mettono in cammino e giungono a Betlemme. E lì trovano Gesù, «con Maria sua madre», si prostrano e gli offrono «oro, incenso e mirra» (v. 11).

Uomini sapienti che riconoscono la presenza di Dio in un semplice Bambino: non in un principe o in un nobile, ma in un figlio di povera gente, e si prostrano davanti a Lui, adorandolo. La stella li ha condotti lì, davanti a un Bimbo; e loro, nei suoi occhi piccoli e innocenti, colgono la luce del Creatore dell’universo, alla cui ricerca hanno dedicato l’esistenza.

È l’esperienza decisiva per loro e importante anche per noi: in Gesù Bambino, infatti, vediamo Dio fatto uomo. E allora guardiamo a Lui, meravigliamoci della sua umiltà. Contemplare Gesù, restare davanti a Lui, adorarlo nell’Eucaristia: non è perdere tempo, ma è dare senso al tempo. Adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. Questo è importante, lo ripeto: adorare non è perdere tempo, ma dare senso al tempo. È ritrovare la rotta della vita nella semplicità di un silenzio che nutre il cuore. 

E troviamo anche il tempo per guardare i bambini, come i Magi guardano Gesù: i piccoli che pure ci parlano di Gesù, con la loro fiducia, la loro immediatezza, il loro stupore, la loro sana curiosità, la loro capacità di piangere e ridere con spontaneità, di sognare. Dio si è fatto così: Bambino, fiducioso, semplice, amante della vita (cfr Sap 11,26). Se staremo davanti a Gesù bambino e in compagnia dei bambini impareremo a stupirci e ripartiremo più semplici e migliori, come i Magi. E sapremo avere sguardi nuovi, sguardi creativi di fronte ai problemi del mondo.

Chiediamoci dunque: in questi giorni ci siamo fermati ad adorare, abbiamo fatto un po’ di spazio a Gesù nel silenzio, pregando davanti al presepe? Abbiamo dedicato del tempo ai bambini, a parlare e a giocare con loro? E infine, riusciamo a vedere i problemi del mondo con lo sguardo dei bambini?

Maria, Madre di Dio e nostra, accresca il nostro amore per Gesù Bambino e per tutti i bambini, specialmente quelli provati da guerre e ingiustizie.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle!

Sessanta anni fa, proprio in questi giorni, il Papa San Paolo VI e il Patriarca Ecumenico Atenagora si incontrarono a Gerusalemme, rompendo un muro di incomunicabilità che per secoli aveva tenuto lontani cattolici e ortodossi. Impariamo dall’abbraccio di quei due grandi della Chiesa sulla strada dell’unità dei cristiani, pregando insieme, camminando insieme, lavorando insieme.

E pensando a quello storico gesto di fraternità compiuto a Gerusalemme, preghiamo per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo. Tante vittime delle guerre, tanti morti, tanta distruzione… Preghiamo per la pace.

Esprimo la mia vicinanza al popolo iraniano, in particolare ai familiari delle numerose vittime dell’attacco terroristico avvenuto a Kerman, ai tanti feriti e a tutti coloro che sono colpiti da questo grande dolore.

L’Epifania è la Giornata dell’Infanzia Missionaria. Saluto i bambini e i ragazzi missionari del mondo intero, li ringrazio per il loro impegno nella preghiera e nel sostegno concreto all’annuncio del Vangelo e, in particolare, alla promozione dei ragazzi nelle terre di missione. Grazie, grazie tante a voi!

Accolgo con gioia i partecipanti al corteo storico-folcloristico, che quest’anno è dedicato al territorio della Valle del fiume Tevere, ai suoi valori umani e religiosi.

Saluto i fedeli venuti dalla Germania, i giovani del Movimento “Tra Noi”, gli “Amici della storia e delle tradizioni” di Carovilli, il gruppo AVIS di Paderno Franciacorta. Ed estendo la mia benedizione ai partecipanti al grande Corteo dei Re Magi che si svolge a Varsavia e in tante città della Polonia.

E a tutti auguro una buona Festa dell’Epifania. Continuate per favore a pregare per me e andate avanti, coraggiosi! Il Signore vi benedica. Buon pranzo e arrivederci!

Solennità dell'Epifania del Signore (6 gennaio 2024)

Sab, 06/01/2024 - 10:00

I Magi si mettono in viaggio alla ricerca del Re che è nato. Essi sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio, degli stranieri che ora sono condotti sul monte del Signore (cfr Is 56,6-7), dei lontani che adesso possono udire l’annuncio della salvezza (cfr Is 33,13), di tutti gli smarriti che sentono il richiamo di una voce amica. Perché ora, nella carne del Bambino di Betlemme, la gloria del Signore si è rivelata a tutte le genti (cfr Is 40,5) e «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6). È il pellegrinaggio umano, di ognuno di noi, dalla lontananza alla vicinanza.

I Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo, ma i piedi in cammino sulla terra e il cuore prostrato in adorazione. Ripeto: gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione.

Anzitutto, i Magi hanno gli occhi puntati verso il cielo. Sono abitati dalla nostalgia dell’infinito e il loro sguardo è attratto dagli astri celesti. Non vivono guardando la punta dei loro piedi, ripiegati su sé stessi, prigionieri di un orizzonte terreno, trascinandosi nella rassegnazione o nella lamentela. Essi alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto. E così vedono spuntare una stella, più luminosa di tutte, che li attrae e li mette in cammino. Questa è la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti, se siamo affamati di beni e consolazioni mondane – che oggi ci sono e domani non ci saranno più – invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne. I Magi, che pure sono stranieri e ancora non hanno incontrato Gesù, ci insegnano a guardare in alto, ad avere lo sguardo rivolto al cielo, ad alzare gli occhi verso i monti da dove ci verrà l’aiuto, perché il nostro aiuto viene dal Signore (cfr Sal 121,1-2).

Fratelli e sorelle, gli occhi puntati al cielo! Abbiamo bisogno di aver lo sguardo rivolto verso l’alto anche per imparare a vedere la realtà dall’alto. Ne abbiamo bisogno nel cammino della vita, per farci accompagnare dall’amicizia con il Signore, dal suo amore che ci sostiene, dalla luce della sua Parola che ci guida come stella nella notte. Ne abbiamo bisogno nel cammino della fede, perché non si riduca a un insieme di pratiche religiose o a un abito esteriore, ma diventi un fuoco che ci brucia dentro e ci fa diventare appassionati cercatori del volto del Signore e testimoni del suo Vangelo. Ne abbiamo bisogno nella Chiesa, dove, invece che dividerci in base alle nostre idee, siamo chiamati a rimettere Dio al centro. Ne abbiamo bisogno per abbandonare le ideologie ecclesiastiche, per trovare il senso della Santa Madre Chiesa, l’habitus ecclesiale. Ideologie ecclesiastiche, no; vocazione ecclesiale, sì. Il Signore, e non le nostre idee o i nostri progetti, dev’essere al centro. Ripartiamo da Dio, cerchiamo in Lui il coraggio di non fermarci davanti alle difficoltà, la forza di superare gli ostacoli, la gioia di vivere nella comunione e nella concordia.

I Magi non solo guardano la stella, le cose alte, ma hanno anche i piedi in cammino sulla terra. Essi si mettono in viaggio verso Gerusalemme, e chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Una cosa sola: i piedi collegati con la contemplazione. L’astro che brilla nel cielo li rimanda a percorrere le strade della terra; alzando il capo verso l’alto sono sospinti a scendere in basso; cercando Dio sono inviati a trovarlo nell’uomo, in un Bambino che giace in una mangiatoia, perché Dio che è l’infinitamente grande si è svelato in questo piccolo, infinitamente piccolo. Ci vuole saggezza, ci vuole l’assistenza dello Spirito Santo per capire la grandezza e la piccolezza nella manifestazione di Dio.

Fratelli e sorelle, i piedi in cammino sulla terra! Il dono della fede non ci è dato per restare a fissare il cielo (cfr At 1,11), ma per camminare sulle strade del mondo come testimoni del Vangelo; la luce che illumina la nostra vita, il Signore Gesù, non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fratelli. Contemplare Dio è bello, ma soltanto è fecondo se noi rischiamo, il rischio del servizio di portare Dio. I Magi cercano Dio, il grande Dio, e trovano un Bambino. Questo è importante: incontrare Dio in carne e ossa, nei volti che ogni giorno ci passano accanto, specialmente quelli dei più poveri. I Magi, infatti, ci insegnano che l’incontro con Dio sempre ci apre a una speranza più grande, che ci fa cambiare stile di vita e ci fa trasformare il mondo. Benedetto XVI affermava: «Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo. […] Per questo c’è bisogno di uomini che nutrano una grande speranza e possiedano perciò molto coraggio. Il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti a un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi» (Omelia, 6 gennaio 2008).

Infine, pensiamo anche che i Magi hanno il cuore prostrato in adorazione. Guardano la stella nel cielo, ma non si rifugiano in una devozione staccata dalla terra; si mettono in viaggio, ma non vagano come turisti senza meta. Essi arrivarono a Betlemme e, quando videro il Bambino, «si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2,11). Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. «Con questi mistici doni fanno conoscere chi è colui che adorano: con l’oro dichiarano che egli è Re, con l’incenso che è Dio, con la mirra che è mortale» (S. Gregorio Magno, Omelia X nel giorno dell’Epifania, 6). Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore. Il Dio che, «mentre si manifestava nell’immensità del cielo con i segni degli astri, si faceva trovare […] in un angusto rifugio; debole nelle carni di un bambino, avvolto in panni da neonato veniva adorato dai magi e temuto dai malvagi» (S. Agostino, Discorsi, 200). Fratelli e sorelle, abbiamo perso l’abitudine di adorare, abbiamo perso questa capacità che ci dà l’adorazione. Riscopriamo il gusto della preghiera di adorazione. Riconosciamo Gesù come nostro Dio, come nostro Signore, e adoriamo. Oggi i Magi ci invitano ad adorare. Manca l’adorazione oggi tra noi.

Fratelli e sorelle, come i Magi, alziamo gli occhi al cielo, mettiamoci in cammino alla ricerca del Signore, pieghiamo il cuore in adorazione. Guardare il cielo, andare in cammino e adorare. E chiediamo la grazia di non perdere mai il coraggio: il coraggio di essere cercatori di Dio, uomini di speranza, intrepidi sognatori che scrutano il cielo, il coraggio della perseveranza nel camminare sulle strade del mondo, con la stanchezza del vero cammino, e il coraggio di adorare, il coraggio di guardare il Signore che illumina ogni uomo. Che il Signore ci dia questa grazia, soprattutto la grazia di saper adorare.

Ai membri di Unicoop Firenze e della Fondazione "Il cuore si scioglie" (5 gennaio 2024)

Ven, 05/01/2024 - 11:15

Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Saluto la Presidente e tutti voi. Sono contento di incontrarvi, così numerosi, alla vigilia dell’Epifania. Questa Festa, come tutto il Tempo di Natale, ci chiama a celebrare il mistero dell’Incarnazione del Signore: nel Bambino Gesù vediamo come Dio si è fatto vicino a noi nella nostra povertà (cfr Fil 2,6-7), indicandocela come via privilegiata per incontrarlo. E questo contesto spirituale è significativo anche per il vostro impegno, che da 50 anni, come Cooperativa, e da oltre dieci, come Fondazione, è rivolto alle persone più bisognose, in vari ambiti di servizio: dall’indigenza economica al bisogno di cultura, dalla solitudine all’esigenza di formazione, utilizzando, oltre ai consueti mezzi di aiuto finanziario e alimentare, tanti altri strumenti, come l’escursionismo, la letteratura, l’arte e la musica. Grazie, grazie di questo.

Unicoop Firenze è nata – cito lo Statuto – per «salvaguardare gli interessi dei consumatori, la loro salute e sicurezza anche accrescendone e migliorandone l’informazione e l’educazione» (n. 2). Così facendo, nel 2010 ha poi dato vita alla Fondazione “Il cuore si scioglie”, pensata per spingere le persone a fare qualcosa per gli altri: potremmo dire, usando un’espressione biblica, per favorire la formazione di “cuori di carne” al posto di “cuori di pietra” (cfr Ez 36,36). E questa è una cosa molto bella: il cuore è una fonte di conoscenza. Qualcuno mi dirà: “Ma no, Padre, noi conosciamo con la mente, con l’intelletto”. Questa, da sola, è una conoscenza incompleta. Senza il cuore non c’è conoscenza umana. Per conoscere, dobbiamo conoscere con la mente, con il cuore e poi fare con le mani. Non dimenticate i tre linguaggi: che la mente sia unita al cuore e alle mani, che il cuore sia unito alle mani, per fare, e alla mente; e che le mani siano al servizio del cuore e della mente. Non dimenticate questo, nel vostro agire.

E vorrei proprio fermarmi un momento a riflettere con voi sul valore di questo cammino. Infatti, considerando fin dall’inizio la tutela del consumatore al di sopra del suo semplice aspetto commerciale, voi siete arrivati a coglierne una dimensione umana fondamentale: quella di aiutare ciascuno a fare qualcosa per gli altri, cioè a vivere la carità, l’amore fattivo (cfr Lett. Enc. Fratelli tutti, 87). In questo modo ricordate che salvaguardare il bene della persona significa non solo prendersi cura di alcuni suoi interessi settoriali, ma promuoverne la piena realizzazione e dignità. E a questo livello l’incontro tra chi ha maggiori possibilità e chi invece è nell’indigenza, lungi dal ridursi a mera filantropia, costituisce sempre la provvidenziale opportunità per un arricchimento reciproco. Proponete così un modello di tutela che unisce i singoli non tanto “contro” la minaccia di un comune avversario, quanto “per” la costruzione di relazioni virtuose di reciproco sostegno (cfr ivi, 215). E tutto questo lo fate con tanta creatività, come avviene quando si lavora insieme animati da un sogno comune.

Essere vicino alle persone che noi aiutiamo, essere vicini. Quando, nelle confessioni, a volte domando alle persone: “Lei fa elemosina, aiuta?” – “Sì, sì” – “E mi dica, quando lei fa l’elemosina, guarda negli occhi la persona, tocca la mano, o butta i soldi lì?”. Toccare, toccare l’indigenza, toccare, un cuore che tocca; guardare e capire. Non dimenticatevi questo.

Cari amici, grazie per quello che fate, in Italia e all’estero; in particolare, in questo momento drammatico, a sostegno della martoriata Ucraina: è terribile, quello che succede lì! Grazie per la vostra collaborazione con il Dicastero per il Servizio della Carità, le cui attività sostenete da tempo. Continuate a puntare, nel vostro lavoro, allo sviluppo integrale della persona, alla crescita comunitaria nella condivisione di risorse e competenze, all’inclusione valorizzando ciò che ciascuno porta di proprio, per il bene di tutti. Vi benedico e vi auguro ogni bene per l’anno da poco iniziato. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me, pregare a favore, non contro! Grazie.

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